Ordinanza 26981/2023
Impugnazione – Raddoppio del contributo unificato – Condizioni – Collegamento con la condanna alle spese – Esclusione
In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R., n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 21/09/2023, n. 26981 (CED Cassazione 2023)
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 130/2015, depositata in data 30 dicembre 2014,
il Giudice di pace di Viterbo, in parziale accoglimento della domanda
proposta da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e
volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa della non
potabilità dell’acqua erogata da (OMISSIS) S.p.a., per l’eccessiva
concentrazione di arsenico in essa presente, l’accertamento del diritto
degli attori a corrispondere solo il 50% del canone acqua potabile per
il periodo di non potabilità e divieto di consumo umano dell’acqua
erogata nonché la restituzione del 50% delle somme versate,
condannò la convenuta (OMISSIS) S.p.a. al risarcimento del danno in
favore degli attori, liquidato, per ciascuno di essi, in euro 700,00,
oltre interessi dalla citazione; in accoglimento della domanda di
manleva proposta dalla convenuta nei confronti della chiamata in
causa Regione Lazio, condannò quest’ultima a tenere indenne (OMISSIS)
S.p.a. di ogni somma dovuta in conseguenza di quella sentenza;
compensò le spese tra gli attori e l’Autorità d’Ambito AATO (o ATO
come pure indicato in atti) n. 1 Lazio Nord e la Regione Lazio, da un
lato, e di quelle tra ATO e (OMISSIS) S.p.a., dall’altro, condannò (OMISSIS)
S.p.a. alle spese di lite nei confronti degli attori e condannò la
Regione Lazio al ristoro delle spese di lite in favore di (OMISSIS) S.p.a..
La Regione Lazio propose appello avverso la decisione di primo
grado, eccependo il difetto di giurisdizione del G.O. sulla domanda di
manleva, il difetto della sua legittimazione passiva e, nel merito, la
violazione dell’art. 113, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 1226 c.c..
Si costituirono in secondo grado (OMISSIS),
(OMISSIS) e (OMISSIS), che proposero pure appello incidentale,
nonché (OMISSIS) S.p.a. mentre rimase contumace ATO n. 1 Lazio Nord,
nei cui confronti (OMISSIS) S.p.a. ha dedotto, nel ricorso per cassazione,
di aver rinunciato, nel corso di quel giudizio, alla domanda proposta
nei confronti della stessa, rinuncia accettata da quest’ultima.
Con sentenza n. 1197/2019, pubblicata il 14 ottobre 2019, il
Tribunale di Viterbo statuì come segue: «in accoglimento dell’appello
principale, in parziale riforma della sentenza del GDP di Viterbo n.
130 del 30/12/2014, dichiara il proprio difetto di giurisdizione sulla
domanda di (OMISSIS) Spa nei confronti di Autorità d’Ambito – Ato n. 1
Lazio Nord – Viterbo e di Regione Lazio, compensando le spese anche
di primo grado tra le medesime parti processuali; rigetta l’appello
incidentale proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) ed
(OMISSIS), compensando integralmente le spese relative al presente
grado di giudizio; dà atto dei presupposti di cui all’art. 13, 1 quater
DPR 115/2002 per il pagamento di un ulteriore importo pari al
contributo unificato a carico di (OMISSIS), (OMISSIS) ed
(OMISSIS)».
Avverso la sentenza d’appello (OMISSIS) S.p.a. ha proposto ricorso
per cassazione articolato in due motivi.
Hanno resistito, con controricorso contenente pure ricorso
incidentale basato su due motivi, (OMISSIS), (OMISSIS) e
(OMISSIS).
Ha resistito con controricorso anche la Regione Lazio.
Autorità d’Ambito AATO (o ATO come pure indicato in atti) n. 1
Lazio Nord non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
Il P.M. non ha depositato sue conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione o falsa
applicazione dell’art. 141 e ss. del T.U. Ambiente (D.Lgs. 152/2006),
degli artt. 9, 12 e 13 del D.Lgs. 31/2001 (‘Attuazione della Direttiva
98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo
umano’) e della O.P.C.M. 3921/2011, rapportati all’art. 1218 c.c., ai
sensi e per gli effetti dell’art. 360, n. 3, c.p.c.», avendo il Tribunale di
Viterbo escluso la giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria con
riferimento alla domanda di manleva rivolta dalla ricorrente avverso
la Regione Lazio, pur essendo tale domanda riconducibile
esclusivamente al rapporto civilistico fra tali parti.
1.1. Il motivo di ricorso in esame è fondato; va, pertanto,
dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di
manleva proposta da (OMISSIS) S.p.a. nei confronti della Regione Lazio
(si rileva che (OMISSIS) ha ribadito in questa sede di aver rinunciato alla
domanda nei confronti di ATO che l’avrebbe accettata, senza però
indicare ove tali rinuncia e accettazione siano rinvenibili in questa
sede e quando le stesse sia state precisamente depositate,
dimostrando così, comunque, carenza di interesse in relazione a tale
domanda).
Si osserva che la sentenza impugnata (v. p. 9) ha dichiarato il
difetto di giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria sulla
domanda di manleva nei confronti di Regione Lazio e dell’ATO,
rilevando che «trattandosi di domanda fondata sull’esercizio o
mancato esercizio del potere amministrativo, pare necessariamente
doversi affermare la giurisdizione di cui all’art. 133 dlgs 104/2010
relativamente alla domanda stessa, sia nei riguardi di Regione Lazio
che di Autorità d’Ambito-ATO 1 Lazio Nord»».
Va però evidenziato che tale domanda di garanzia impropria
proposta dal Gestore altro non è che il riflesso della domanda
risarcitoria rivolta contro il Gestore stesso e sulla quale, come già
affermato, sussiste la giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
Non può, pertanto, pervenirsi a diverse conclusioni per la
domanda accessoria, rispetto a quella principale (Cass., Sez. Un.,
33209/2018 già cit., p. 6 e 7), come affermato di recente dalle
Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 36897 del
26/11/2021.
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta «omesso
esame di un fatto … decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 n. 5
c.p.c.», costituito dal “ruolo-chiave” della Regione Lazio in relazione
alla vicenda di cui si discute. Tale mezzo attiene, in sostanza, al
merito della domanda di manleva rivolta dalla (OMISSIS) S.p.a. nei
confronti della Regione Lazio, e, pertanto, è assorbito dalla ritenuta
fondatezza del terzo motivo.
3. Con il primo motivo, rubricato «Violazione o falsa applicazione
dell’art. 1492 c.c. ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. in
relazione all’art. 1570 c.c. – Violazione o falsa applicazione dell’art.
2697 c.c. in relazione anche al principio dell’onere della prova anche
in termini di quantum del danno, liquidabile dal giudice di merito
anche in via equitativa ex art. 1226 c.c. – Motivazione solo
apparente», i ricorrenti incidentali lamentano che il Tribunale,
ritenendo dubbia, senza motivare al riguardo, «la possibilità di
chiedere la riduzione del prezzo pagato per le future
somministrazioni, sino al ritorno della potabilità» e reputando la
domanda rivolta ad ottenere il ristoro del 50% in forza della disciplina
dell’actio quanti minoris non accoglibile in base a quanto indicato
nell’impugnata sentenza, avrebbe comunque solo apparentemente
motivato il rigetto dell’appello incidentale. Sostengono che la richiesta
di riduzione del prezzo pagato, nella misura dl 50%, ovvero nella
minore somma ritenuta di giustizia, non sarebbe altro che un
possibile parametro, valutabile dal giudice del merito, di riduzione del
prezzo e censurano, inoltre, la sentenza impugnata anche nella parte
in cui il Tribunale ha ritenuto, con riferimento alla richiesta
restitutoria, di non poter determinare, per ciascuna parte, gli importi
complessivamente pagati, nonostante la produzione agli atti (copia
delle fatture pagate), così applicando erroneamente l’art. 1226 c.c.
anche in combinato disposto dell’art. 2697 c.c., «richiedendo in ogni
caso l’adempimento eccessivamente gravoso dell’onere della prova in
una situazione in cui il danno si può considerare in re ipsa e, per tutto
quanto detto, liquidabile in via equitativa».
3.1. Il motivo è infondato.
Precisato che il riferimento all’ammissibilità o meno della
domanda sul “prezzo futuro” non costituisce la ratio decidendi della
statuizione impugnata ma è un mero rilievo operato dal Tribunale ad
abundantiam («anche a voler prescindere dalla stessa ammissibilità
della domanda sul “prezzo futuro”, per i successivi ed “eventuali
periodi di non potabilità” e fino alla “nuova potabilità dell’acqua”») e
costituisce un mero obiter dictum, neppure preso specificamente
all’esame dal giudice del merito, che non ha influito sul dispositivo
della decisione, va osservato che la ratio decidendi è in realtà
rappresentata dalle argomentazioni che seguono nella motivazione
impugnata, con le quali il Tribunale, oltre ad aver interpretato la
domanda in questione, come formulata in citazione e anche alla luce
dello specifico motivo di appello sub A), ritenendola «rivolta, previo
accertamento del diritto alla riduzione del corrispettivo, al mero
recupero parziale delle somme già versate a titolo di canone» e a cui
applicare la disciplina dell’actio quanti minoris, l’ha rigettata, sul
rilievo che l’invocata riduzione «postula necessariamente l’allegazione
dell’ammontare complessivamente corrisposto e l’individuazione della
misura del canone periodico, quali parametri indispensabili per la
quantificazione delle somme oggetto di rimborso».
Si osserva al riguardo che è pur vero che questa Corte ha avuto
modo di affermare che la legge non impone particolari criteri da
seguire per la determinazione della somma dovuta per riduzione di
prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta e che il ricorso a criteri
equitativi ed al prudente apprezzamento del giudice, ancorché non
previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della
vendita, è consentito in questa materia sia in conformità all’origine e
alla tradizione storica dell’actio quanti minoris, sia in applicazione di
un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell’art. 1226
cod. civ. costituisce una particolare specificazione in tema di
risarcimento del danno (Cass. n. 13332 del 6/10/2000 e n. 3156 del
25/10/1974).
Va tuttavia precisato che il ricorso al criterio equitativo è rimesso
al prudente apprezzamento del giudice del merito, che può procedere
alla liquidazione equitativa anche senza la domanda di parte qualora
la determinazione del danno sia impossibile o particolarmente
difficoltosa (Cass. n. 13558 del 16/09/2003), solo a condizione però
che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di
elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione (Cass.
n. 3794 del 15/02/2008), non trattandosi peraltro, nel caso
all’esame, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti
incidentali, di danno in re ipsa.
Nella specie il Giudice di appello ha fatto corretta applicazione di
tali principi, ritenendo motivatamente – e la motivazione sul punto,
contrariamente all’assunto dei ricorrenti, non risulta essere
meramente apparente – ed in base ad una valutazione di merito, non
censurabile in questa sede, di non poter addivenire ad una
liquidazione, evidentemente anche equitativa, di quanto richiesto,
non essendogli stati offerti elementi idonei per procedere a tale
liquidazione, laddove afferma che il richiamo alla delibera del CIP n.
26/1975 risulta non utile in quanto tale parametro offerto dagli utenti
per la determinazione della misura della quota da stornare
«presuppone pur sempre l’indicazione dell’entità periodica del
canone, oltre che la composizione del canone stesso», che «in difetto
di qualsivoglia illustrazione, inoltre, non appare in alcun modo
intellegibile il computo di euro 350,00 oggetto della richiesta
restitutoria. Né appare possibile ricostruire, per ciascuno degli istanti,
gli importi complessivamente pagati nel periodo considerato …
attraverso le fatture/bollette dagli stessi prodotte per documentare
l’intestazione delle utenze», trattandosi «di produzione documentale
genericamente richiamata e indistintamente versata in atti, che
certamente non può supplire alla mancata allegazione dei fatti posti a
fondamento della domanda giudiziale».
4. Parimenti infondato è il secondo motivo, rubricato «Raddoppio
del contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115
del 2002 – Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 91 e 92
c.p.c, e dell’art. 88 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)», e con
il quale i ricorrenti incidentali lamentano di essere stati «gli unici ad
essere condannati al pagamento dell’ulteriore importo pari al
contributo unificato» e sostengono che il giudice dell’appello avrebbe
dovuto, invece, «condannare, in forza del principio della
soccombenza, sia (OMISSIS) spa soccombente nei confronti della Regione
Lazio, sia gli odierni controricorrenti a tale “sanzione”, oppure, ed a
maggior ragione, avendo compensato le spese processuali tra le
parti, avrebbe dovuto evitare tale applicazione unilaterale».
Ed invero il giudice dell’impugnazione deve rendere l’attestazione
della sussistenza del presupposto processuale per il raddoppio del
contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, quando la pronuncia adottata è inquadrabile nei tipi
previsti dalla norma (integrale rigetto, inammissibilità o
improcedibilità dell’impugnazione) (v. Cass., sez. un., n. 4315 del
20/02/2020) e di tale principio ha fatto corretta applicazione il giudice
di appello, evidenziandosi, peraltro, che il presupposto dell’insorgenza
di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma, ripetesi,
al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito,
negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n.
10306).
5. Conclusivamente, va accolto il primo motivo del ricorso
principale e va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla
domanda di manleva proposta da (OMISSIS) S.p.a. nei confronti della
Regione Lazio; va dichiarato assorbito l’esame del secondo motivo del
predetto ricorso; va rigettato il ricorso incidentale; la sentenza
impugnata va cassata in relazione al motivo del ricorso principale
accolto e la causa va rinviata, anche per le spese del presente
giudizio di legittimità, al Tribunale di Viterbo, in persona di diverso
magistrato.
6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, ai sensi dell’art. 13,
comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara
la giurisdizione del Giudice Ordinario sulla domanda di manleva
proposta da (OMISSIS) S.p.a. nei confronti della Regione Lazio; dichiara
assorbito l’esame del secondo motivo del predetto ricorso; rigetta il
ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto del ricorso principale e rinvia la causa, anche per le
spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Viterbo, in
persona di diverso magistrato.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, ai sensi dell’art. 13,
comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 aprile 2023.