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Cassazione Civile 2702/2022 – Sentenza d’inammissibilità dell’appello per mancato deposito dell’atto di gravame nella cancelleria della commissione tributaria di primo grado

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Ordinanza 2702/2022

Sentenza d’inammissibilità dell’appello per mancato deposito dell’atto di gravame nella cancelleria della commissione tributaria di primo grado – Impugnazione della sentenza con la revocazione ordinaria e non col ricorso per cassazione

La verifica, da parte del giudice tributario di secondo grado, dell’avvenuto deposito dell’atto d’appello presso la segreteria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, quando il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario (ai sensi dell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992), costituisce oggetto di un accertamento di fatto, e non di un’interpretazione degli atti processuali. Pertanto, la parte la quale lamenti che il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame, sull’erroneo presupposto che il suddetto deposito non fosse avvenuto, ha l’onere di impugnare la sentenza con la revocazione ordinaria, e non col ricorso per cassazione.

Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Ordinanza 28.1.2022, n. 2702   (CED Cassazione 2022)

 

 

Rilevato che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Bo. Er., titolare della ditta individuale “(OMISSIS) di Bo. Er.”, quattro avvisi di accertamento relativi agli anni 2001, 2002, 2003 e 2004, con i quali aveva rideterminato maggiori redditi imponibili ai fini Iva, Irpef e Irap, in considerazione del fatto che le fatture erano relative ad operazioni inesistenti, attesa la partecipazione del contribuente ad una frode carosello; avverso gli atti impositivi il contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Bergamo; avverso la decisione del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Bergamo, ha dichiarato inammissibile l’appello, avendo rilevato d’ufficio che l’appellante non aveva assolto all’adempimento di cui all’art. 53, comma 2, d. lgs. n. 546/1992, e in particolare che, essendo stato l’atto di appello notificato direttamente dal difensore a mezzo del servizio postale, non risultava agli atti il deposito di copia dell’atto di appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale che aveva emesso la sentenza;

il contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a cinque motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

questa Corte, con ordinanza del 29 gennaio 2020, aveva disposto il rinvio a nuovo ruolo per l’acquisizione dei fascicoli relativi ai giudizi di merito;

considerato che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per avere erroneamente dichiarato inammissibile l’appello per inosservanza dell’adempimento di cui all’art. 53, d.lgs. n. 546/1992, in quanto, invece, per mero errore materiale, il giudice di appello non ha verificato che la documentazione era stata ritualmente prodotta dinanzi alla segreteria della Commissione tributaria provinciale che aveva emesso la sentenza di primo grado;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza per avere ritenuto assorbita la doglianza relativa alla nullità degli avvisi di accertamento attesa la carenza di motivazione;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza per avere ritenuta assorbita la questione relativa alla carenza di prova circa la sussistenza degli elementi costitutivi della attività fraudolenta;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza per avere ritenuta assorbita la questione relativa alla estraneità del ricorrente all’operazione fraudolenta;

con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza per avere ritenuta assorbita la questione relativa alla mancata deducibilità dei costi in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti;

il ricorso è inammissibile;

ed invero, questa Corte (Cass., Sez. Un., 30 giugno 2009, n. 15227) ha affermato che la verifica, da parte del giudice tributario di secondo grado, dell’avvenuto deposito dell’atto d’appello presso la segreteria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, quando il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario (ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2), costituisce oggetto di un accertamento di fatto, e non di una interpretazione degli atti processuali. Pertanto, la parte la quale lamenti che il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame, sull’erroneo presupposto che il suddetto deposito non fosse avvenuto, ha l’onere di impugnare la sentenza con la revocazione ordinaria, e non col ricorso per cassazione;

la rilevata inammissibilità del ricorso impedisce l’esame delle ulteriori doglianze proposte dal ricorrente, afferenti a motivi non esaminati dal giudice di appello perché ritenuti assorbiti;

ai fini delle spese di lite del presente giudizio, le stesse vanno integralmente compensate tra le parti, ai sensi dell’art. 92, cod. proc. civ., comma secondo, integrando, all’uopo, giusto motivo la certamente non immediata percepibilità della ritenuta natura revocatoria del peculiare vizio denunziato;

si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese di lite;

dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, addì 6 dicembre 2021.