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Cassazione Civile 27124/2018 –  Domanda di arricchimento senza causa proposta per la prima volta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

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Ordinanza 27124/2018


Domanda di arricchimento senza causa proposta per la prima volta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

La domanda di arricchimento senza causa è inammissibile, ove proposta dall’opposto nel giudizio incardinato ai sensi dell’art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo dallo stesso conseguito per il pagamento di prestazioni professionali, non potendo egli far valere in tale sede domande nuove, rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alla domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, determinanti un ampliamento dell’originario “thema decidendum” fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c. . (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la corte d’appello aveva escluso che, nel caso di decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento di prestazioni professionali, la proposizione, da parte dell’opponente, delle sole eccezioni di inesigibilità e prescrizione del credito avessero comportato l’introduzione di nuovi temi di indagine, tali da legittimare la proposizione di una nuova domanda, di arricchimento senza causa, da parte degli opposti).

Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 25-10-2018, n. 27124   (CED Cassazione 2018)

 Art. 633 cpc (Condizioni ammissibilità decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 645 cpc (Opposizione a decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 2041 cc (Azione generale di arricchimento) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

  1. Con decreto del 5 aprile 2002, il Tribunale di Brindisi, Sezione distaccata di Ostuni, ingiunse al Comune di Carovigno il pagamento della somma di Euro 239.949,43, oltre interessi, in favore dell’ing. (OMISSIS) e dell’arch. (OMISSIS), a titolo di compenso per il progetto di recupero ed ampliamento del cimitero comunale, affidato ai due professionisti.

1.1. Avverso il decreto ingiuntivo propose opposizione il Comune, il quale eccepì in via principale che la delibera di conferimento dell’incarico professionale subordinava la liquidazione del compenso al finanziamento dei lavori, mai ottenuto, ed in subordine la prescrizione triennale del credito.

Si costituirono il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), i quali eccepirono l’improcedibilità dell’opposizione, per tardiva costituzione dell’opponente, e l’infondatezza della stessa, assumendo da un lato che per la realizzazione del progetto era stato previsto un autofinanziamento, ed affermando dall’altro la nullità della clausola che subordinava il pagamento del compenso al finanziamento dell’opera; in subordine, proposero domanda di riconoscimento dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento.

A seguito d’interruzione per la morte del (OMISSIS), il giudizio fu riassunto nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualità di eredi, i quali si costituirono, riportandosi alle difese del loro dante causa.

1.1. Con sentenza del 6 marzo 2008, il Tribunale di Brindisi, Sezione distaccata di Ostuni, accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, rigettando la domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..

  1. L’impugnazione proposta dai (OMISSIS) e dal (OMISSIS) è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Lecce con sentenza dell’8 marzo 2012.

A fondamento della decisione, la Corte ha confermato la nullità della delibera di conferimento dell’incarico professionale e della successiva convenzione, ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 55, comma 5, osservando che la prima non recava alcun impegno di spesa nè l’attestazione della copertura finanziaria, in quanto, a fronte di un importo presuntivo di Lire 95.000.000 per competenze, si limitava ad imputare al competente capitolo di bilancio l’anticipo di Lire 10.000.000, cui si riferiva anche l’attestazione della copertura finanziaria da parte dell’Ufficio Ragioneria del Comune.

Rilevato inoltre che nella comparsa di costituzione in appello, tempestivamente depositata, il Comune aveva riproposto l’eccezione d’inammissibilità della domanda di riconoscimento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento, la Corte vi ha ravvisato la proposizione di un appello incidentale, ritenendo ininfluente a tal fine la mancanza di un’espressa dizione in tal senso. Premesso inoltre che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo soltanto l’opponente, nella sua veste di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, mentre l’opposto, in qualità di attore, non può proporre domande diverse da quelle avanzate nel ricorso, ha accolto la predetta eccezione, rilevando la novità della domanda rispetto a quella di adempimento contrattuale: precisato infatti che le due domande non sono intercambiabili, riguardando diritti eterodeterminati ed avendo oggetti diversi, ha osservato che, sostituendo la prima alla seconda, l’attore introduce nel processo gli elementi costitutivi di una nuova situazione giuridica, privi di rilievo nell’ambito del rapporto contrattuale.

  1. Avverso la predetta sentenza i (OMISSIS) ed il (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il Comune non ha svolto difese scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Preliminarmente, occorre rilevare l’irritualità della costituzione in giudizio del Comune, il cui difensore non ha provveduto al deposito del controricorso nel termine di cui all’art.370 cod. proc. civ., ma si è limitato a depositare, in prossimità dell’adunanza camerale, una procura speciale rilasciatagli il 2 luglio 2018 dal Sindaco, ai fini della partecipazione alla discussione in camera di consiglio.

Tale partecipazione è tuttavia esclusa dall’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotto dall’art. 1-bis, comma primo, lett. f), del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, ed applicabile, ai sensi del comma 2, anche ai ricorsi depositati anteriormente all’entrata in vigore della legge di conversione e per i quali non fosse stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in camera di consiglio, il quale, nel disciplinare il procedimento in camera di consiglio dinanzi alle Sezioni semplici di questa Corte, stabilisce espressamente che quest’ultima “giudica senza l’intervento del Pubblico Ministero e delle parti”, consentendo agli stessi di depositare in cancelleria, entro termini appositamente previsti, rispettivamente conclusioni scritte e memorie. In tale procedimento, il concorso delle parti alla fase decisoria si realizza pertanto in forma scritta, attraverso il deposito delle memorie, al quale è preordinata anche la comunicazione della data fissata per l’adunanza camerale, il cui invio presuppone tuttavia che l’intimato risulti già costituito a mezzo del controricorso; a differenza di quanto accade nel caso in cui il ricorso sia avviato alla trattazione in pubblica udienza, non può dunque considerarsi ammissibile la costituzione tardiva dell’intimato mediante il deposito della procura speciale, trattandosi di un adempimento preordinato esclusivamente alla discussione orale. Nessun rilievo può assumere, a tal fine, la circostanza che, trattandosi di ricorso proposto anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 197 del 2016, la parte abbia confidato nella possibilità di partecipare alla discussione in udienza pubblica o di essere sentita in camera di consiglio, venuta meno per effetto delle norme sopravvenute, potendo tale affidamento giustificare, al più, il deposito di una memoria scritta, ove sia ancora pendente il termine previsto dall’art. 380-bis c.p.c., comma 1, ma non il compimento di una formalità divenuta inutile, alla stregua del rito scelto per la trattazione del ricorso.

  1. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362, primo comma, e 1363 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 55, comma quinto, della legge n. 142 del 1990, nonchè l’omesso esame un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel rilevare la mancanza dell’impegno di spesa e dell’indicazione dei mezzi di copertura, la sentenza impugnata non ha correttamente interpretato la delibera di conferimento dell’incarico professionale, avendo omesso di valutare il contenuto complessivo dell’atto e di porlo in relazione con gli atti da esso richiamati. Affermano infatti che la delibera recava, oltre al parere favorevole in ordine alla regolarità contabile dell’atto, la formale attestazione della sussistenza della copertura finanziaria della spesa, il cui importo presuntivo era numericamente indicato nell’art. 5 del disciplinare, che costituiva parte integrante della delibera.

2.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, nell’escludere la sussistenza del requisito prescritto dall’art. 55 della legge n. 142 del 1990, la Corte territoriale non si è limitata a prendere in esame il testo della delibera di autorizzazione del conferimento dell’incarico professionale, ma ha esteso la propria valutazione anche ai relativi allegati, espressamente richiamati a sostegno della decisione: essa ha infatti rilevato che, a fronte dell’importo del compenso, presuntivamente determinato dal disciplinare in Lire 95.000.000, la delibera prevedeva l’imputazione in bilancio della somma di Lire 10.000.000, pari all’anticipo da versare ai professionisti, ed ha conseguentemente ritenuto che soltanto a tale importo, notevolmente inferiore a quello del compenso preventivato, potesse riferirsi l’attestazione dell’esistenza della copertura finanziaria, apposta in calce alla delibera dallo Ufficio Ragioneria del Comune. Non può pertanto ritenersi violato il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema d’interpretazione dei contratti, ma riferibile anche agli atti amministrativi (cfr. Cass., Sez. 1, 7/05/2002, n. 6535; Cass., Sez. 2, 12/11/1998, n. 11409; Cass., Sez. lav., 14/10/1988, n. 5581), secondo cui, ai fini della ricostruzione della volontà manifestata nell’atto, il significato testuale delle parole e delle espressioni utilizzate deve essere verificato alla luce dell’intero contesto negoziale, ponendo le singole clausole o proposizioni in correlazione tra loro e procedendo al coordinamento delle stesse a norma dell’art. 1363 cod. civ., dal momento che per “senso letterale delle parole”, indicato dall’art. 1362 cod. civ. come criterio ermeneutico prioritario, deve intendersi l’intera formulazione della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola proposizione di un atto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (cfr. Cass., Sez. lav., 26/02/2009, n. 4670; Cass., Sez. 3, 28/08/2007, n. 18180; Cass., Sez. 2, 28/05/2007, n. 12400). Nel contestare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, i ricorrenti non sono d’altronde in grado di indicare neppure le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento svolto a sostegno della decisione, ma si limitano ad insistere sull’omessa valutazione di elementi già presi in considerazione dalla sentenza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una rilettura degli atti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di procedere al riesame del merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito (cfr. Cass., Sez. 5, 4/08/2017, n. 19547; 16/12/2011, n. 27197; Cass., Sez. 1, 4/11/2013, n. 24679).

  1. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione degli artt.36, 112, 166, 167, 183 e 645 cod. proc. civ.e dell’art. 2041 cod. civ., sostenendo che, nel dichiarare inammissibile la domanda di riconoscimento dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, la sentenza impugnata l’ha erroneamente qualificata come domanda riconvenzionale, laddove si trattava di una domanda resa necessaria dalle difese svolte dal Comune, ritualmente proposta nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata, puntualmente riproposta a seguito della riassunzione del giudizio e reiterata nell’atto di appello.

3.1. Il motivo è infondato.

Il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento come “domanda riconvenzionale” non è infatti ascrivibile alla Corte territoriale, la quale, nell’esaminare l’appello incidentale proposto dal Comune, si è limitata a riportare un’espressione utilizzata dalla difesa di quest’ultimo per qualificare la domanda proposta dai professionisti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Tale qualificazione non è stata ritenuta condivisibile dalla sentenza impugnata, la quale, nel confermare l’inammissibilità della predetta domanda, ha precisato che soltanto il Comune, nella veste di opponente, avrebbe potuto proporre domande riconvenzionali, ed ha pertanto affermato che quella avanzata dai professionisti si configurava a tutti gli effetti come una domanda nuova, in quanto caratterizzata da un petitum e una causa petendi differenti da quelli della domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo: tale conclusione non merita censura, risultando perfettamente conforme al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel giudizio ordinario di cognizione che s’instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere nel procedimento monitorio, a meno che, per effetto di una domanda riconvenzionale formulata dallo opponente, non venga a trovarsi a sua volta nella posizione processuale di convenuto, non potendo in tal caso escludersi il suo diritto di difendersi nei confronti della nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione di una reconventio reconventionis (cfr. Cass., Sez. 3, 4/10/ 2013, n. 22754; 31/03/2007, n. 8077; 29/09/2006, n. 21245). Tale principio, più volte ribadito, ha trovato applicazione anche in tema di ingiustificato arricchimento, avendo questa Corte affermato l’inammissibilità della relativa domanda, ove proposta nel giudizio incardinato ai sensi dell’art. 645 cod. proc. civ. avverso il decreto ingiuntivo emesso per il pagamento del corrispettivo di una prestazione contrattuale, dal momento che in detta sede l’opposto non può far valere pretese nuove rispetto a quella di adempimento posta a fondamento della richiesta del provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alle domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dallo opponente, che si traducano in un ampliamento dell’originario thema decidendum (cfr. Cass., Sez. 3, 9/04/2013, n. 8582; 18/11/2003, n. 17440; Cass., Sez. 1, 29/11/2007, n. 24949). Tale ampliamento, nella specie, non è tuttavia ricollegabile alle eccezioni proposte dal Comune, le quali, riflettendo esclusivamente l’inesigibilità e la prescrizione del credito azionato, non comportavano l’introduzione nel giudizio di nuovi temi d’indagine, la cui prospettazione da parte dell’opponente potesse considerarsi idonea a legittimare la formulazione di una nuova domanda da parte degli opposti, ma si mantenevano nell’ambito delimitato dagli elementi costitutivi della domanda avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, senza lasciare spazio a nuove iniziative processuali fondate su titoli diversi.

  1. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 112, 132 e 183 cod. proc. civ.e dell’art. 111 Cost., comma 6, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che, nell’evidenziare la diversità dell’azione d’ingiustificato arricchimento rispetto a quella di adempimento contrattuale, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’identità delle circostanze di fatto poste a fondamento delle stesse, per effetto della quale la predetta domanda doveva considerarsi ammissibile, indipendentemente dall’accettazione del contraddittorio, peraltro intervenuta, avendo il Comune ampiamente controdedotto al riguardo.

4.1. Il motivo è infondato.

Nell’affermare la novità della domanda d’ingiustificato arricchimento, rispetto a quella di adempimento contrattuale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, la sentenza impugnata si è infatti attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in quanto riguardanti diritti eterodeterminati, per la cui individuazione occorre fare riferimento ai fatti costitutivi delle rispettive pretese, le predette domande si differenziano sensibilmente tra loro, trovando fondamento in distinte entità, nessuna delle quali può dirsi potenzialmente contenente l’altra o in essa contenuta: nel proporre l’azione d’ingiustificato arricchimento, l’attore non si limita infatti a chiedere l’attribuzione di un bene giuridico diverso, cioè un indennizzo in luogo del corrispettivo pattuito, ma introduce nel giudizio gli elementi costitutivi di una diversa situazione giuridica, consistenti nel proprio depauperamento con altrui arricchimento e nel riconoscimento dell’utilità della prestazione, che risultano invece privi di rilievo nel rapporto contrattuale (cfr. Cass., Sez. 1, 19/10/2016, n. 21190; 2/08/2007, n. 17007; Cass., Sez. 3, 2/12/2004, n. 22667). In coerenza con tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, la Corte territoriale ha correttamente negato ingresso alla pretesa in questione, indipendentemente dall’accettazione del contraddittorio ad opera del Comune, il cui comportamento processuale non poteva assumere alcun rilievo ai fini dell’ammissibilità della nuova domanda: nel regime, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, che ha modificato gli artt. 183 e 184 cod. proc. civ., introducendo un rigido sistema di preclusioni processuali, la questione riguardante la novità delle domande risulta infatti interamente sottratta alla disponibilità delle parti, e ricondotta esclusivamente al rilievo d’ufficio da parte del giudice, in virtù del principio secondo cui il thema decidendum non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione o dopo la scadenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 183, comma 5, cit. (cfr. Cass., Sez. 2, 31/05/2017, n. 13769; 30/11/2011, n. 25598; Cass., Sez. 3, 24/01/2012, n. 947).

  1. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

 

 

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