Sentenza 27255/2017
Offerta non formale – Requisiti – Totalità della somma dovuta
Affinché l’offerta del debitore sia idonea a costituire in mora il creditore, è necessario che essa comprenda la totalità della somma dovuta, degli interessi e delle spese liquide, con la conseguenza che il rifiuto del creditore fondato sull’inidoneità della somma offerta a coprire l’intero ammontare del credito non viola il disposto dell’art. 1220 c.c., risultando lo stesso legittimamente formulato (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello ritenendo che l’offerta reale subordinata alla condizione che i creditori fossero tenuti al rimborso delle spese di offerta, fosse inidonea per incompletezza).
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 16 novembre 2017, n. 27255 (CED Cassazione 2017)
Articolo 1220 c.c. annotato con la giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
I signori Do. Ro. Mal. e Fi. Gu. ricorrono avverso la sentenza della Corte d’Appello di Potenza che, confermando parzialmente la sentenza del tribunale di Matera, ha accolto la domanda del signor Wa. Ma. avente ad oggetto la risoluzione del contratto preliminare di compravendita del 25.01.1994 con cui esso Ma. aveva promesso di acquistare dai signori Mal. e Gu., promittenti la vendita, un fabbricato sito in Policoro alla via (OMISSIS), per il prezzo di 245 milioni di lire, 30 dei quali versati a titolo di caparra confirmatoria.
La sentenza gravata, dopo aver escluso la nullità del preliminare per l’abusività dell’ immobile che ne formava oggetto, ha imputato la risoluzione all’inadempimento dei promittenti venditori.
Secondo la corte d’appello, pur dovendosi giudicare priva di effetto solutorio l’offerta di pagamento del prezzo a mezzo assegni bancari effettuata dal promissario acquirente, davanti al notaio, il 30.3.94 (giorno fissato nel preliminare quale termine per la stipula del rogito), il contratto non poteva tuttavia ritenersi risolto per effetto della clausola risolutiva espressa prevista nell’articolo 8 del contratto preliminare per il caso di mancato pagamento delle somme dovute alla venditrice nei termini concordati; ciò in quanto il rifiuto dei signori Mal. e Gu. di stipulare il contratto definitivo risultava contrario a buona fede, avendo i medesimi ingiustificatamente rifiutato l’offerta reale di pagamento del prezzo a mezzo di assegni circolari effettuata dal promissario acquirente il 31.03.1994, giorno immediatamente successivo a quello di scadenza del termine stabilito per la stipula del rogito.
Il ricorso si articola in otto motivi.
Il signor Ma. si è costituito con controricorso.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 13.9.17, per la quale entrambe le parti hanno depositato una memoria difensiva e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. e 1456 e 1457 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3,4 e 5 c.p.c.. Secondo i ricorrenti il giudice d’appello avrebbe errato nel qualificare la clausola contenuta all’articolo n. 8 del preliminare di compravendita quale clausola risolutiva espressa e non quale termine essenziale; sarebbe infatti chiara, al di là del richiamo all’art. 1456 c.c., la volontà delle parti di ritenere il contratto risolto allo scadere del termine, ove non fosse intervenuto tempestivamente l’adempimento del promissario acquirente. D’altra parte, argomentano i ricorrenti, non può considerarsi tempestiva l’offerta del promissario acquirente di pagare a mezzo assegni bancari, effettuata davanti al notaio il 30.3.1990, in quanto, come riconosciuto nella stessa sentenza gravata, l’assegno bancario, non avendo una provvista precostituita, non è un valido mezzo di pagamento e può essere legittimamente rifiutato dal creditore ai sensi del 1277 c.c.; né tantomeno, sempre secondo i ricorrenti, potrebbe considerarsi tempestiva l’offerta reale effettuata dal Ma. il successivo 31.3.1990, essendosi ormai prodotto l’effetto risolutivo del termine essenziale.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1337, 1456 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3,4 e 5 c.p.c. La corte d’appello ha affermato che i venditori non avrebbero potuto giovarsi della clausola risolutiva espressa, in mancanza della colpa del debitore. Secondo i ricorrenti, tuttavia, la corte lucana avrebbe dovuto ritenere tale colpa presunta ai sensi dell’articolo 1218 c.c., mentre l’onere di provare che l’inadempimento non era colpevole sarebbe gravato sul promissario acquirente, il quale nulla al riguardo aveva allegato. Nel mezzo di gravame si argomenta che, una volta ritenuto legittimo il rifiuto degli assegni bancari e, quindi, accertato l’oggettivo inadempimento del sig. Ma., la corte territoriale avrebbe dovuto, in assenza di prova della non imputabilità dell’inadempimento al promissario acquirente, addebitare a quest’ultimo la risoluzione del contratto, in forza della presunzione di colpa del debitore inadempiente, a nulla rilevando la successiva condotta dei contraenti, l’indagine sulla quale sarebbe stata inappropriata e ingiustificata.
Col terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1183, 1206, 1227, 1337, 1338, 1358, 1375 e 1460 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.. Sulla base del verbale di offerta reale – riprodotto integralmente nel motivo – i ricorrenti sottolineano come l’offerta fosse incompleta, perché non conteneva l’offerta di pagamento degli interessi e perché condizionata al pagamento delle spese della procedura di offerta da parte dei promittenti venditori, cosicché legittimamente essi l’avrebbero rifiutata. Nel motivo si lamenta altresì l’illogicità della valutazione della corte territoriale secondo cui la condotta degli oblati sarebbe stata “conflittuale ed ostruzionistica”.
Col quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1194, 1196, 1209, 1282 e 1362 e ss. c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.. La corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere illegittimo e contrario a buona fede il rifiuto dell’offerta reale dei promittenti venditori, in quanto essa sarebbe stata incompleta, oltre che intempestiva, e quindi inidonea a purgare la “mora debendi”. Intempestiva giacche al momento dell’offerta il contratto si era già risolto di diritto per effetto della clausola n. 8 del contratto; incompleta/ perché avente ad oggetto la sola sorte capitale e non gli interessi (ancorché esigui, in quanto relativi ad un solo giorno di ritardo) e le spese, che invece si pretendeva di porre a carico dei creditori.
Col quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173 e ss., 1209, 1351, 1362 e ss. c.c, nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’ad, 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.. Ad avviso dei ricorrenti la corte d’appello avrebbe errato nel valutare, a sostegno della tesi della scorrettezza del comportamento dei promittenti venditori, anche la circostanza che costoro avessero rifiutato gli assegni bancari in sede di versamento del prezzo, pur avendo accettato tali mezzi di pagamento in sede di versamento della caparra.
Col sesto motivo i ricorrenti censurano la violazione degli artt. 1209, 1337, 1351, 1362 e ss. e 2721 e ss. c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.. Secondo i ricorrenti la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere probante la testimonianza del sign. La., resa in primo grado, circa la volontà dei promittenti venditori di ottenere una maggiorazione del prezzo (circa 15.000.000) e la circostanza che essi avevano trovato un altro acquirente disposto a pagare un prezzo maggiore, circostanze da cui avrebbe ricavato la malafede dei sigg. Gu. e Mal.. Nel mezzo di gravame si argomenta che tali circostanze sarebbero del tutto irrilevanti, dal momento che la corte avrebbe dovuto limitarsi ad accertare la risoluzione di diritto per inadempimento dell’attore, ed inoltre la suddetta testimonianza sarebbe stata smentita da altri testi escussi su richiesta dei ricorrenti.
Col settimo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1209, 1337, 1362 ss., 1456 e 1457 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.. Nel mezzo di gravame si censura la valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice d’appello, riproponendo le censure già svolte nei precedenti motivi.
Con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata in punto di ripartizione delle spese di lite, denunciando la violazione degli art. 91 e ss. c.p.c., in relazione al 360 n. 3 c.p.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa a carico degli odierni ricorrenti ponendo le spese di entrambi i gradi di giudizio, nonostante il parziale accoglimento del loro appello e integrale rigetto dell’appello incidentale del sign. Ma..
Il primo motivo di ricorso va disatteso perché esso attinge l’interpretazione della clausola n. 8 del contratto preliminare inter partes operata dalla corte di appello, senza, tuttavia, specificare quali disposizioni regolatrici dell’ ermeneusi contrattuale sarebbero state da questa violate; laddove, come ancora di recente ribadito da questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (sent. n. 2465/15).
Il secondo motivo va disatteso perché la doglianza dei ricorrenti si focalizza sul profilo psicologico, di colpa, della condotta del promissario acquirente consistente nel mancato pagamento del prezzo entro il termine pattuito, senza tuttavia attingere l’argomento, costituente la ratio decidendi della sentenza gravata, secondo cui l’offerta reale del prezzo effettuata dal Mal. il giorno successivo alla scadenza del termine (ma ancora nella pendenza del rapporto contrattuale, perché antecedente alla manifestazione della volontà dei promittenti di avvalersi della clausola risolutiva espressa) costituiva comportamento idoneo ad escludere la di lui colpa.
Il terzo e quarto mezzo possono essere trattati congiuntamente, in quanto sostanzialmente censurano, sotto diversi profili, l’errore in cui la corte territoriale sarebbe incorsa giudicando illegittimo il rifiuto dei promittenti venditori di accettare l’offerta reale.
La doglianza va giudicata fondata, alla stregua del principio, fissato nella sentenza di questa Corte n. 562/2000, che, in base alla norma di cui all’art. 1208 c.c., affinché l’offerta del debitore sia idonea a costituire in mora il creditore è necessario che essa comprenda la totalità della somma dovuta, degli interessi e delle spese liquide, con la conseguenza che il rifiuto del creditore fondato sulla inidoneità della somma offerta a coprire l’intero ammontare del credito non viola il disposto del’art. 1220 c.c., risultando esso legittimamente formulato. Nella specie, la subordinazione dell’offerta reale alla condizione che i creditori “rimborsino le spese di offerta” (si veda l’ultimo rigo di pag. 25 del ricorso per cassazione, nella quale è trascritto il verbale dell’ offerta reale) determina l’incompletezza dell’offerta stessa, giacché l’addebito delle relative spese al ceditore si risolve in una riduzione della somma che, al netto di tali spese, risulta offerta al medesimo. Né a tale conclusione osta il disposto dell’articolo 1215 c.c., che pone a carico del creditore le spese occorse per l’offerta reale, quando questa è valida. Tale disposizione, infatti, presuppone che il debitore non sia in mora, ossia che l’offerta reale sia stata preceduta dal!’ offerta amichevole della prestazione. Nella specie, per contro, il promissario acquirente ha dato corso all’offerta reale senza previamente effettuare alcuna valida offerta amichevole, giacché l’offerta di pagamento da lui effettuata a mezzo assegni bancari il 30.3.94, nello studio del notaio, è stata giudicata invalida dalla corte di appello (cfr. pag. 18, primo capoverso, della sentenza gravata) con statuizione non impugnata; cosicché le spese dell’offerta reale non potevano che essere a carico del medesimo promissario, secondo la regola generale, fissata dall’articolo 1196 c.c., che addossa al debitore le spese del pagamento.
In definitiva, quindi, il ricorso va accolto con riferimento al terzo ed al quarto mezzo, rigettati primi due mezzi ed assorbiti gli altri, e la sentenza gravata va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla corte territoriale che si atterrà al principio che, affinché l’offerta reale del debitore sia idonea a costituire in mora il creditore è necessario che essa comprenda la totalità della somma dovuta, degli interessi e delle spese liquide, e che le spese dell’offerta reale non possono essere addossate al creditore se tale offerta non sia stata preceduta da una valida offerta amichevole.
PQM
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo ed il quarto, dichiara assorbiti gli altri e cassa la sentenza gravata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla corte d’appello di Potenza, in altra composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 13 settembre 2017