Sentenza 27381/2022
Opposizione a precetto fondato su assegno bancario – Contestazione dell’autenticità della sottoscrizione – Disconoscimento firma
In caso di opposizione a precetto fondato su assegno bancario, l’autenticità della relativa sottoscrizione può essere contestata mediante il disconoscimento ex art. 214 c.p.c. (con conseguente onere del creditore opposto che intenda valersi del titolo esecutivo stragiudiziale di chiederne la verificazione ai sensi dell’art. 216 c.p.c.), senza che ciò sovverta le regole sull’onere probatorio applicabili a tale giudizio, trattandosi dell’ordinario strumento processuale idoneo a contrastare l’apparenza dell’esecutività del titolo, fondata sulla genuinità della detta sottoscrizione, contestata dal suo supposto autore.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 19-9-2022, n. 27381 (CED Cassazione 2022)
Art. 615 cpc (Opposizione all’esecuzione) – Giurisprudenza
Art. 214 cpc (Disconoscimento della scrittura privata) – Giurisprudenza
Art. 474 cpc (Titolo esecutivo) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. La società (OMISSIS) S.p.a. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 3542/19, del 25 giugno 2019, della Corte di Appello di Napoli, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 1558/18, del 7 maggio 2018, del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – ha confermato l’accoglimento dell’opposizione a precetto proposta da (OMISSIS), quale titolare dell’impresa individuale (OMISSIS), e con essa la declaratoria di non autenticità di quattro assegni postali, posti dalla società (OMISSIS) a fondamento della propria azione esecutiva per l’importo di Euro 41.820,00.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che la (OMISSIS), nel proprio atto di opposizione, dopo aver premesso che la (OMISSIS) aveva intrattenuto, nell’anno 2012, relazioni commerciali con essa società (OMISSIS) (approvvigionandosi presso la stessa di materiale elettrico, il cui saldo avveniva mensilmente, con assegni postali postdatati di novanta giorni), assumeva che, in ragione del ritardo di alcuni pagamenti, si erano determinate delle spese accessorie a garanzia della cui liquidazione la predetta società aveva preteso il rilascio di quattro assegni privi di sottoscrizione.
Ancorchè risultasse chiaro – sempre secondo la ricostruzione dell’opponente, come riprodotta nel presente ricorso l’ammontare che avrebbe dovuto essere corrisposto per tale titolo (pari a complessivi Euro 4.688,54), la società creditrice, improvvisamente e senza autorizzazione alcuna, avrebbe completato e compilato di sua iniziativa, e dunque abusivamente, i suddetti quattro assegni.
Di qui, pertanto, l’iniziativa assunta dalla (OMISSIS), che nell’atto di opposizione contestava alla società (OMISSIS) non solo l’abusiva compilazione dei titoli, ma anche l’inesistenza del credito in essi riportato, ponendo, infine, una serie di questioni – non più di interesse, nella presente sede di legittimità – sul calcolo degli interessi, ritenuti di natura anatocistica.
Per parte propria, l’opposta eccepiva la non contestazione – ad opera dell’opponente – sia della fornitura che del mancato pagamento della stessa, la genericità della contestazione relativa all’asserita falsità dei quattro assegni (e, comunque, il mancato e/o irrituale disconoscimento della sottoscrizione in calce agli stessi, da intendersi, pertanto, come riconosciuta tacitamente), la necessità, infine, della proposizione della querela di falso.
Accolta l’opposizione dal Tribunale sammaritano, la decisione veniva confermata in appello, ove veniva ribadita, oltre alla tempestività del disconoscimento dei titoli operato dall’opponente nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado, anche l’inidoneità dell’istanza di verificazione presentata dall’opposta, atteso che la società (OMISSIS) – se, nella propria memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, aveva manifestato la volontà di avvalersi dei titoli contestati – non aveva, però, provveduto a indicare i mezzi di prova che riteneva utili alla verificazione o a produrre le scritture di comparazione. Anche la sentenza resa in seconde cure, infine, escludeva – richiamando alcuni arresti di questa Corte in tema di opposizione a decreto ingiuntivo (nonchè, quanto all’opposizione all’esecuzione, Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2004, n. 11010) – che fosse onere dell’opponente provare la falsità della firma apposta sugli assegni, come invece sostenuto dall’opposta, secondo la quale, infatti, non potrebbe trovare applicazione il meccanismo di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c. e 2702 c.c.
3. Avverso la pronuncia della Corte partenopea ricorre per cassazione la società (OMISSIS), sulla base – come detto – di tre motivi, illustrati, peraltro, in modo unitario.
3.1. Il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. e dei principi in tema di disconoscimento di scrittura privata, per avere la sentenza impugnata “dichiarato efficace il disconoscimento degli assegni posti a base dell’atto di precetto”.
Il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. e dei principi in tema di disconoscimento di scrittura privata, “atteso l’error in procedendo posto in essere dal Giudice del merito in ordine al congegno disconoscimento-verificazione della scrittura privata”.
Il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione del regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, dell’art. 56 del regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., “atteso l’error in iudicando in ordine all’onere probatorio”.
3.2. La sentenza impugnata è censurata, in primo luogo, per aver disatteso il principio secondo cui il disconoscimento di una scrittura, ancorchè non richieda formule sacramentali, deve concretarsi in un’impugnazione chiara, esplicita e inequivoca dell’autenticità della stessa, o nella sua interezza, o quanto alla sottoscrizione, ciò che difetterebbe nel caso in esame, data l’assenza, da parte della (OMISSIS) nel proprio atto di opposizione, di una “formale negazione della propria scrittura o della propria sottoscrizione”. Solo per “scrupolo difensivo” la ricorrente evidenzia, inoltre, che nessun valore può attribuirsi al disconoscimento compiuto dall’opponente nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., difettando esso del carattere non solo della specificità ma pure della tempestività.
Ferma, dunque, l’irritualità del disconoscimento operato dall’opponente, quanto – in secondo luogo – all’istanza di verificazione, si sottolinea che essa è soggetta agli sbarramenti processuali di cui agli artt. 183, comma 6, e 345, c.p.c. e che non richiede formulazioni esplicite o schemi predeterminati, potendo persino desumersi dall’insistenza nella domanda di accoglimento della pretesa che trovi indefettibile presupposto nell’autenticità del documento disconosciuto. La sentenza impugnata, pertanto, si sarebbe discostata da tali principi (violando gli artt. 214, 215 e 216 c.p.c.), avendo essa società (OMISSIS) insistito – già comparsa di risposta, oltre che nella memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. – per l’accoglimento della pretesa presupponente l’autenticità dei citati quattro assegni, dichiarando espressamente la volontà di avvalersene. Inoltre, essa – a corredo della propria comparsa di costituzione – ebbe a depositare una consulenza tecnica espletata nell’ambito di un procedimento penale, su incarico della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord (consulenza dalla quale risulta che le firme di traenza dei quattro assegni “sono riconducibili alla funzionalità grafica della denunciante (OMISSIS)”), oltre a sedici assegni, sempre a firma della (OMISSIS) dalla stessa non disconosciuti, quali documenti “idonei alla funzione di comparazione”.
In terzo – e ultimo – luogo, l’odierna ricorrente contesta l’implicita equiparazione che la Corte partenopea ha operato, in tema di distribuzione di onere della prova della falsità dei documenti, tra opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione esecutiva. Difatti, la sentenza impugnata mostra di ignorare che l’opposizione all’esecuzione – secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità – instaura un vero e proprio giudizio di cognizione diretto all’accertamento negativo della pretesa vantata dal creditore procedente e risultante dal titolo esecutivo, sicchè è l’opponente a dover dare prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto contenuto nel titolo e degli elementi di diritto che costituiscono i motivi di opposizione, ivi compreso, pertanto, il carattere apocrifo della sottoscrizione del titolo di credito fatto valere come titolo esecutivo.
4. (OMISSIS), nella già ricordata qualità, ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, ovvero, in subordine, di infondatezza.
5. La ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie censure.
6. Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo sostituto, ha rassegnato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7. Il ricorso – che supera, come si dirà appena di seguito, il vaglio di ammissibilità, quantunque risulti predisposto con singolare tecnica redazionale – va rigettato.
7.1. “In limine”, infatti, va escluso che l’illustrazione unitaria dei tre motivi di ricorso concretizzi l’ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione per c.d. “mescolanza” di motivi eterogenei.
Il dubbio – che sarebbe, in definitiva, quello di carenza di specificità dei motivi – può essere, infatti, superato, in considerazione del fatto che la loro illustrazione porta ad individuare, con sufficiente chiarezza, le tre questioni (genericità del disconoscimento dell’autenticità delle scritture, o meglio delle loro sottoscrizioni, idoneità e tempestività dell’istanza di verificazione, distribuzione degli oneri probatori nel giudizio di opposizione all’esecuzione) decise dalla sentenza impugnata e sulle quali si incentra la critica svolta dall’odierna ricorrente.
Tanto basta, dunque, per ritenere l’impugnazione ammissibile, se è vero che persino “il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (così Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01; in senso sostanzialmente analogo, sebbene con affermazione “a contrario”, si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 643681-01).
7.2. Ciò detto, il ricorso va rigettato.
7.2.1. Il primo motivo non è fondato.
La copiosa giurisprudenza, richiamata nel ricorso a sostegno del motivo, nell’enunciare il principio secondo cui il disconoscimento dell’autenticità di una scrittura o della sua sottoscrizione deve presentare il carattere della “specificità e determinatezza”, al tempo stesso esclude, però, la necessità del rispetto di formule “sacramentali o vincolate” (sul punto, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 22 gennaio 2018, n. 1537, Rv. 64708001), sicchè ciò che rileva, in definitiva, è l’esistenza di una manifestazione “inequivoca”, così “da potersene desumere con certezza la negazione della autenticità della scrittura o della sottoscrizione” (Cass. Sez. 3, sent. 8 febbraio 1974, n. 369, Rv. 368044-01; Cass. Sez. 2, sent. 4 agosto 1977, n. 3507, Rv. 387090-01; Cass. Sez. 2, sent. 12 dicembre 1979, n. 6475, Rv. 403207-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 settembre 1986, n. 5599, Rv. 448087-01; Cass. Sez. 5, sent. 13 agosto 2004, n. 15856, Rv. 575597-01; Cass. Sez. 3, sent. 19 luglio n. 12448 del 19/07/2012; Rv. 623355-01).
Orbene, della sussistenza – nel caso in esame – di tale manifestazione “inequivoca” non può dubitarsi, visto che nella citazione in opposizione (il cui contenuto è riprodotto, tra l’altro, proprio dalla ricorrente, nel suo atto di impugnazione) era stato dedotto sia che i quattro assegni, rilasciati solo “a garanzia” di ritardati pagamenti, risultavano “privi di sottoscrizione”, sia che la società (OMISSIS) aveva “compilato e completato, di sua iniziativa, abusivamente e senza autorizzazione alcuna, i predetti quattro assegni”.
Tanto basta, dunque, per ritenere che la (OMISSIS) abbia espresso, in modo “inequivoco”, la volontà di disconoscere la sottoscrizione dei titoli; e ciò anche in relazione al fatto che il disconoscimento si fondava sulla denuncia di un riempimento del documento avvenuta “contra pacta” – avendo le parti stabilito che gli assegni fossero rilasciati solo a garanzia di pagamenti non ancora onorati, “con l’impegno che i titoli sarebbero stati compilati o completati con la sottoscrizione successivamente insieme”, e ciò “in ragione dei conteggi da farsi” – e non “absque pactis”, donde la legittimità del ricorso allo strumento del disconoscimento ex art. 215 c.p.c. e non della querela di falso (Cass. Sez. 2, ord. 22 agosto 2019, n. 21587, Rv. 654901-01; Cass. Sez. 3, ord. 17 gennaio 2018, n. 899, Rv. 647124-01).
7.2.2. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato.
1,) premesso, invero, che non è qui in discussione il tema della tempestività dell’istanza di verificazione, ma piuttosto quello della presenza (o meglio, dell’assenza), a corredo della stessa, della indicazione dei mezzi di prova che la società (OMISSIS) riteneva utili alla verificazione, nonchè della produzione le scritture di comparazione.
Reputa, in particolare, la ricorrente di aver assolto tale onere già in comparsa di risposta, avendo depositato una consulenza tecnica grafologica espletata nell’ambito di un procedimento penale instaurato su denuncia proprio della (OMISSIS), e con essa pure sedici assegni, sempre a firma della stessa, non disconosciuti.
Sul punto, tuttavia, appare sufficiente richiamare quanto già affermato da questa Corte. Ovvero, che “la produzione o l’indicazione delle scritture di comparazione da parte di colui che intende valersi della scrittura privata disconosciuta costituisce un onere imprescindibile per una corretta proposizione dell’istanza di verificazione”, essendosi, così, precisato – a conferma che esso vada specificamente soddisfatto in occasione della presentazione dell’istanza, e non in altro modo – che tale onere non può essere assolto “mediante l’allegazione di tali scritture ad una perizia di parte” (come, invece, pretenderebbe di sostenere la società (OMISSIS)), in quanto, “una cosa è produrre le scritture di comparazione, indicandole al giudice ed alle controparti, ed altra cosa è allegarle semplicemente quali documenti ad una perizia di parte; infatti secondo il procedimento delineato dal codice di rito, la parte che intende valersi della scrittura privata disconosciuta, nel chiederne la verificazione, deve proporre i mezzi di prova ritenuti utili e produrre o indicare le scritture di comparazione (art. 216, comma 1, c.p.c.), ed anzi a tal riguardo il giudice stabilisce il termine per il deposito in cancelleria delle scritture di comparazione e poi determina quelle che debbono servire di comparazione, mentre la nomina di un consulente tecnico è comunque eventuale (art. 217, commi 1 e 2, c.p.c.), potendo il giudice di merito procedere direttamente alla verifica, senza necessità di ricorrere alla perizia grafologica”, vale a dire, “desumendo la veridicità del documento attraverso la comparazione di esso con altre scritture incontestabilmente provenienti dalla medesima parte e ritualmente acquisite al processo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 17 ottobre 2014, n. 22078, non massimata sul punto).
7.2.3. Infine, anche il terzo motivo di ricorso non è fondato.
Ritiene, infatti, questo collegio di dover dare seguito all’orientamento espresso, già in passato, da questa stessa sezione Terza della Corte, secondo cui è proprio grazie alle “disposizioni processuali contenute nell’art. 214 e negli artt. 216 e seguenti c.p.c.” che, in un giudizio di opposizione a precetto, “l’efficacia della scrittura privata (quale è una cambiale)” – ma lo stesso principio non può che valere, identicamente, per l’assegno – “viene meno per effetto del disconoscimento della sua sottoscrizione”, non essendo “a tal fine necessaria la proposizione della querela di falso” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2004, n. 11010, Rv. 170471-01). Si tratta, per vero, di principio ancora di recente ribadito, in relazione ad un caso – al quale è, nuovamente, assimilabile quello presente – in cui “l’opponente aveva tempestivamente contestato l’autenticità delle (…) cambiali sia nella prima udienza del giudizio di opposizione, sia – ancor prima – nell’atto di opposizione” (come avvenuto nel caso che oggi occupa), traendone, pertanto, questa Corte, come conseguenza, che, “per effetto di tale contestazione sarebbe stato onere dei creditori”, che avevano posto a fondamento del precetto un titolo l’autenticità della cui sottoscrizione era stata, appunto, disconosciuta, “proporre istanza di verificazione di scrittura privata” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 9 agosto 2016, n. 16650, non massimata), e ciò in quanto “col disconoscimento della sottoscrizione”, apposta in calce ad una scrittura idonea a porsi come titolo esecutivo stragiudiziale, “non si è formulata una contestazione sulla regolarità formale del titolo esecutivo, ma se ne è contestata l’esistenza stessa” (così, sempre in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 30 giugno 2020, n. 13010).
Non ignora, peraltro, questo collegio che – in difetto di piena consonanza con l’indirizzo appena delineato – si è anche affermato, nella giurisprudenza di questa Corte, che, in caso di opposizione a precetto basato su titolo cambiario, aprendo la stessa “un normale giudizio di cognizione, in ordine al quale l’attore deve provare i fatti costitutivi del proprio diritto, mentre al convenuto incombe l’onere della prova di quelli estintivi o modificativi”, colui che “introduce una domanda di opposizione ad un’esecuzione promossa per un credito fondato su di una ricognizione di debito, insita nell’emissione della cambiale, è tenuto a provare i fatti che tolgono valore al riconoscimento del debito preesistente e sottostante all’emissione delle cambiali”, ivi compresa “la denunciata non autenticità della sottoscrizione” (così, in motivazione, Cass. Sez. Sez. 6-1, ord. 8 novembre 2019, n. 28874, Rv. 656092-01). Su tali basi, pertanto, si è affermato che “nella opposizione a precetto la falsità della firma per sottoscrizione della cambiale non può essere dedotta nel corso del processo considerandola alla pari di qualsivoglia documento di prova, perchè le ragioni di contestazione del diritto a procedere esecutivamente sulla base di quel documento devono essere indicate nell’atto di opposizione e provate dall’opponente”, donde, allora, la ritenuta inidoneità del disconoscimento in via incidentale ex art. 214 c.p.c. per contestare l’autenticità della sottoscrizione (così, nuovamente, Cass. Sez. 6-1, ord. n. 28874 del 2019, cit.).
Ritiene, tuttavia, questo collegio che non vi siano ragioni per discostarsi dall’orientamento tradizionale, sopra delineato, che reputa quello del disconoscimento strumento del tutto idoneo a fondare – qualora si contesti l’autenticità della sottoscrizione di un titolo di credito – l’opposizione al precetto che sia stato adottato in base ad esso.
In disparte, infatti, il rilievo che nel caso che oggi si esamina – diversamente da quello cui si riferisce l’arresto di questa Corte da ultimo citato – la falsità della sottoscrizione non risulta “dedotta nel corso del processo”, ma con la stessa opposizione al precetto, deve osservarsi, ulteriormente, quanto segue.
Non coglie, infatti, nel segno la tesi – che è sottesa all’esclusione dell’operatività del disconoscimento della sottoscrizione del titolo stragiudiziale, posto a fondamento della pretesa di agire “in executivis” – secondo cui quello previsto dall’art. 214 c.p.c. sarebbe uno strumento destinato ad operare solo all’interno dell’attività di istruzione probatoria, e, più precisamente, allo scopo di impedire che acquisti piena efficacia di prova, ex art. 702 c.p.c., la scrittura prodotta “contro” la parte, e non certo per esonerare la medesima dall’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, ovvero, nel caso che occupa, l’inidoneità del titolo a fondare l’esecuzione.
Siffatta impostazione, per vero, pur muovendo dal corretto presupposto secondo cui colui che propone opposizione all’esecuzione riveste la posizione di attore nel giudizio di cognizione che si instaura all’esito dell’iniziativa dallo stesso intrapresa (sicchè, ove l’esecuzione risulti iniziata contro il soggetto contemplato nel titolo esecutivo, spetta a quest’ultimo, esecutato opponente, fornire la prova del fatto che rende inopponibile o inesigibile, nei suoi confronti, la pretesa azionata), non tiene in debito conto le peculiarità proprie dell’esecuzione intrapresa sulla base di un titolo stragiudiziale, e, di riflesso, dell’opposizione al precetto che si innesti su di essa.
Questa Corte, infatti, nella sua massima sede nomofilattica, ha affermato che in “caso di opposizione a precetto su titolo stragiudiziale”, con l’iniziativa assunta dall’opponente “a stretto rigore non si impugna, se non in via descrittiva o atecnica, il contratto o il negozio o il provvedimento cui – in casi ben definiti – l’ordinamento riconosce quell’efficacia esecutiva prima di un accertamento giudiziale ed anzi a prescindere da quello per esigenze di correntezza dei rapporti, visto che si attiva appunto un’ordinaria azione per sovvertire l’apparenza dell’esecutività del titolo a favore di chi vi appare come creditore”, di modo da “scongiurare che quest’ultimo possa agire in via esecutiva in base a quello specifico titolo” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 23 luglio 2019, n. 19889, non massimata sul punto).
Se, dunque, “non si contesta, per quanto detto, il diritto in sè come consacrato nel titolo, ma specificamente il diritto del creditore ad agire in via esecutiva per conseguire il concreto soddisfacimento delle ragioni riconosciutegli”, tanto che “la contestazione del diritto di agire in via esecutiva non solo non si esaurisce, ma neppure coincide necessariamente con la contestazione del titolo”, in particolare “nell’accezione ampia nel caso dello stragiudiziale e del paragiudiziale, ben potendo invece involgere numerosi elementi anche ad esso del tutto estrinseci” (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 19889 del 2019, cit.), non si comprende per quale ragione, in caso di opposizione fondata sulla denuncia della non genuinità della sottoscrizione di un titolo di credito, l’opponente non possa giovarsi della previsione dell’art. 214 c.p.c.
Infatti, l’opposizione non è, come detto, “un4impugnazione” del titolo, nè si “esaurisce” (o “coincide”) con la contestazione dello stesso, presentandosi, piuttosto, come “azione per sovvertire l’apparenza dell’esecutività del titolo”, sicchè non è dato comprendere per quale ragione tale apparenza – quando si fondi sulla genuinità di una sottoscrizione, invece, contestata dal supposto autore della stessa – non possa essere messa in discussione attraverso l’ordinario strumento che l’ordinamento processuale contempla per privare di efficacia probatoria una scrittura privata.
Considerazioni analoghe, del resto, sono state proposte dal Procuratore Generale presso questa Corte, secondo cui il disconoscimento di una scrittura “la rende inidonea a produrre effetti nei confronti di colui che apparentemente ne risulta l’autore, se l’autenticità della sottoscrizione non sia dimostrata all’esito del procedimento di verificazione, promosso ad istanza di colui che ha interesse all’utilizzazione della citata scrittura, sicchè il debitore opponente che intende contrastare un progetto fondato su un titolo di credito, può limitarsi a disconoscere la provenienza del documento per ribaltare sul creditore la necessità di provare che l’azione esecutiva poteva essere promossa”.
In conclusione, dunque, resta valido quanto affermato – più di quarant’anni orsono – da questo giudice di legittimità, ovvero che, nella distribuzione degli oneri probatori nei giudizi di opposizione esecutiva, “occorre avere riguardo alla posizione sostanziale delle parti rispetto al rapporto dedotto in giudizio e non già al fatto, meramente estrinseco e casuale, che la lite sia stata iniziata dall’una o dall’altra parte” (Cass. Sez. 3, sent. 5 novembre 1980, n. 5941, Rv. 409732-01).
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
9. A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando la società (OMISSIS) S.p.a, a rifondere, a (OMISSIS), nella già indicata qualità, le spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.300,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi – in forma camerale, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge 18 dicembre 2020, n. 176, non essendo pervenuta alcuna richiesta di trattazione “in presenza” – il 5 aprile 2022.