Ordinanza 27544/2017
Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. – Presunzione di colpa – Prova liberatoria – Concorso di colpa del danneggiato
In materia di responsabilità civile, il limite della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. risiede nell’intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene non già ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del danneggiante ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. – espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso – con conseguente diminuzione del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all’incidenza della colpa del danneggiato.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Ordinanza 21 novembre 2017, n. 27544 (CED Cassazione 2017)
Art. 1227 cc (Concorso del fatto colposo del creditore) – Giurisprudenza
Art. 2050 cc – (Responsabilità per esercizio di attività pericolose) – Giurisprudenza
Rilevato che:
- Nel 2001, An. D.U. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, Ferrovie dello Stato S.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti nel 1998 allorché, mentre attraversava i binari nella stazione di Castelmaggiore (Bo), priva di sottopassaggi, era stato investito di striscio da un sopraggiungente treno, di cui non si era avveduto perché coperto dal treno in partenza nella direzione opposta.
Si costituì la società convenuta contestando le pretese attoree.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18537/2006, rigettò la domanda, ritenendo che il sinistro fosse stato determinato in via esclusiva da fatto o colpa dello stesso attore, che con gravissima imprudenza aveva intrapreso l’attraversamento del binario senza essersi previamente accertato che non sopraggiungesse altro convoglio.
- La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3209 del 31 maggio 2013.
La Corte di Appello, diversamente dal giudice di primo grado, ha ritenuto che le Ferrovie dello Stato fossero responsabili del determinismo dell’evento, sia ai sensi dell’art. 2050 c.c. (poiché la situazione di fatto era connotata da pericolosità per via della mancanza di un sottopassaggio e della visuale del binario coperta da altro treno in partenza), sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., emergendo dagli atti la prova positiva della mancanza di adeguata vigilanza da parte del personale addetto.
Tuttavia, la Corte ha ritenuto che nella causazione del fatto abbia inciso il comportamento colposo del D.U., che non aveva prestato attenzione al rischio dell’attraversamento, violando anche l’art. 17 del D.P.R. 753/1980 in base al quale gli utenti delle ferrovie devono usare le precauzioni necessarie e vigilare sulla propria sicurezza e incolumità.
Di conseguenza, la Corte, ai sensi degli artt. 1227 e 2056 c.c., ha ritenuto di valutare nella percentuale del 50% il fatto colposo della vittima.
La Corte di Appello ha poi ritenuto che la quantificazione dei postumi permanenti delle lesioni effettuata dal consulente tecnico di ufficio nella misura del 22%, e non contestata specificamente dalla convenuta, sia adeguata a compensare sia il danno funzionale che quello estetico subito dal D.U., in considerazione della “ipervalutazione del danno funzionale”, alla luce “delle tabelle medico legali per la valutazione del danno biologico”, nonché della relazione tecnica di parte allegata dall’attore, nella quale i postumi permanenti erano stimati nella percentuale più contenuta del 15%.
Per la concreta liquidazione dei danni non patrimoniali, la Corte romana ha utilizzato le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma, accrescendo l’importo risultante dalle stesse di una percentuale adeguata a compensare anche le sofferenze psicologiche patite dal soggetto. Secondo la Corte territoriale, infatti, il richiamo che la giurisprudenza di legittimità fa alle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano risponde in realtà all’esigenza di una liquidazione onnicomprensiva del danno non patrimoniale.
Relativamente al danno patrimoniale, per quel che qui ancora rileva, la Corte di Appello ha respinto la domanda relativamente al lucro cessante affermando che, dalla documentazione in atti, non emerge chiaramente quale sia stata la situazione reddituale del D.U. dopo il declassamento subito a causa del sinistro e se tale situazione abbia comportato un detrimento patrimoniale, né quando sia avvenuto il congedo.
Infine, la Corte ha rigettato anche la domanda volta ad ottenere il danno da perdita di chance, per non aver potuto il D.U. conseguire la qualifica di specializzato che il genio Ferrovieri rilascia a coloro che completano la ferma volontaria triennale e che avrebbe dato la possibilità di partecipare con titolo preferenziale ai concorsi per l’assunzione da parte delle ferrovie.
La Corte ha infatti osservato, da un lato, che l’attore non ha provato quanto sostenuto sul titolo preferenziale per la partecipazione a concorsi derivante dalla qualifica che avrebbe conseguito all’esito della ferma volontaria, dall’altro, che la circostanza che il sinistro sia avvenuto il primo giorno di ammissione alla ferma volontaria non permette di fornire supporto concreto alla fondatezza delle aspirazioni, che devono essere fondate su elementi atti a far ritenere non del tutto aleatorie le aspettative.
- Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione, illustrato da memoria, An. D.U., sulla base di sci motivi.
3.1. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. (già Ferrovie dello Stato S.p.a.).
3.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte concludendo per il rigetto del ricorso.
Considerato che:
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione, anche sotto il profilo della illogicità manifesta e contraddittorietà circa i punti decisivi della controversia e, in particolare, in relazione all’applicazione dell’art. 17 DPR 753/1980 e degli artt. 1227, 2050 e 2056 c.c.”.
La sentenza impugnata sarebbe illogica per aver ritenuto, da un lato, che il comportamento tenuto dalle Ferrovie dello Stato abbia violato l’art. 2050 c.c., dall’altro che la condotta del D.U. abbia violato il principio sancito dall’art. 17, comma 3, D.P.R. 753/1980.
L’applicazione di quest’ultima norma, infatti, comporta l’esclusione del diritto al risarcimento dell’utente che viola una delle norme di comportamento contemplate dalla norma stessa.
Inoltre, dall’istruttoria sarebbero emerse solo le gravi omissioni da parte del personale delle Ferrovie dello Stato e nulla a carico del ricorrente.
D’altra parte, l’art. 17 DPR 753/1980 sarebbe una norma residuale, applicabile solo in caso di sinistri dipendenti dagli stessi utenti e non quando tali sinistri derivino dal mancato rispetto delle norme comportamentali da parte dei dipendenti delle ferrovie.
Il motivo è inammissibile, poiché risulta articolato nello svolgimento di censure promiscue e multiple.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che, “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dai numeri 3 e 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di questione sotto profili incompatibili quali quelli della violazione o falsa applicazione di norma di legge e del vizio di motivazione” (cfr., da ultimo, Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-11-2016, n. 23889).
In ogni caso, il motivo è infondato.
In materia di responsabilità civile, il limite della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. (indipendentemente dal punto, oggetto di contrasto in dottrina, se detta norma sia costruita come ipotesi di presunzione di colpa o – invece – di presunzione di responsabilità) risiede nell’intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità.
Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del danneggiante ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c. – espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso – con conseguente diminuzione del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all’incidenza della colpa del danneggiato (Cass. civ. Sez. III, 08-05-2003, n. 6988).
A tali principi la corte di merito si è sostanzialmente attenuta laddove, con valutazione di merito evidentemente non reiterabile in questa sede ed infondatamente censurata sotto il profilo del vizio di motivazione, ha ritenuto che nella produzione dell’evento il comportamento del danneggiato — colpevole perché violativo delle elementari regole di prudenza, prima ancora che dell’art. 17 del DPR 753/1980 — avesse inciso in misura paritaria nella produzione dell’evento dannoso. Inoltre il motivo manca di specificità, perché la colpa della vittima è stata fondata sull’accertamento di merito circa il suo incauto comportamento.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione, anche sotto il profilo della mera apparenza della motivazione — illogicità della stessa circa punti decisivi della controversia — in relazione agli artt. 116 c.p.c., 2697, 1227, 2056 c.c. in merito alla valutazione del materiale probatorio”.
La Corte di Roma avrebbe fornito una motivazione solo apparente in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso di colpa del danneggiato, non avendo indicato gli elementi probatori da cui sarebbe emersa la mancanza di attenzione del medesimo danneggiato nell’attraversamento del binario.
Inoltre, l’onere della prova circa il concorso di colpa e l’evitabilità del danno con la diligenza dovuta è a carico del danneggiante, che non l’avrebbe fornita.
Il motivo è inammissibile per le ragioni indicate nel motivo precedente in ordine alla mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazioni eterogenei.
D’altra parte, il motivo risulta pure infondato.
La Corte d’appello ha rilevato d’ufficio la sussistenza della colpa della vittima nella causazione del danno (disciplinato dall’art. 1227 c.c., comma 1), e non già la sussistenza della colpa della vittima nell’aggravamento del danno (disciplinato dall’art. 1227 c.c., comma 2).
Ed è pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che il concorso di colpa della vittima di cui all’art. 1227 c.c., comma 1 costituisce oggetto di una questione rilevabile d’ufficio (ex multis, Cass. civ. Sez. III, 12-04- 2017, n. 9355).
Per il resto le suddette censure, per quanto in parte prospettate anche come violazione di legge, in effetti mirano ad introdurre un diverso apprezzamento del fatto, rispetto a quello effettuato dal giudice di merito, risolvendosi in una diversa lettura delle risultanze processuali, effettuata dalla ricorrente, che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Non sussiste infatti il lamentato vizio motivazionale, in quanto la sentenza impugnata, riportandosi agli elementi, incontestati, emersi dall’istruttoria ha ritenuto che il sinistro fosse da ascrivere anche alla condotta del D.U., che aveva attraversato il binario nonostante la visuale di questo fosse parzialmente coperta dal treno da cui era disceso in partenza. Ciò a prescindere anche dal fatto che l’affermazione circa il comportamento processuale di controparte è apodittica (manca di autosufficienza) e l’attribuzione di pari responsabilità è legittimamente scaturita dall’accertamento del fatto
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “motivazione apparente e/o irriducibile contraddittorietà circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero in merito all’avvenuta adozione per la liquidazione del danno di tabelle medico legali diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, sarebbe censurabile per violazione di legge la sentenza di merito che non applica le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.
D’altra parte, il solo fatto di aver ritenuto necessario apportare un incremento alla quantificazione del danno ottenuta applicando le tabelle del Tribunale di Roma renderebbe evidente che tali tabelle non sono conformi con l’orientamento della suddetta giurisprudenza di legittimità secondo cui il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale.
L’applicazione delle tabelle di Roma, anziché di quelle di Milano avrebbe comportato un divario, in peius, della valutazione del danno.
Inoltre la sentenza sarebbe obiettivamente incomprensibile nella parte in cui, facendo applicazione delle tabelle romane, non illustra i criteri indicati nelle medesime tabelle, né fornisce spiegazioni dei calcoli svolti, impendendo così di verificarne la correttezza.
Il motivo è infondato.
Secondo i principi di questa Corte (Cfr. da ultimo Cass. n. 12288/2016; Cass. n. 12408/2011), in tema di liquidazione del danno alla persona e con riferimento ai criteri di cui alle cd. Tabelle milanesi, non soddisfa l’onere di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il ricorso per cassazione che si limiti a riportare le somme di denaro pretese dal ricorrente a titolo risarcitorio in forza delle citate tabelle, senza fare specifica indicazione delle stesse tra i documenti posti a fondamento del ricorso, come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), ed omettendo di indicare puntualmente con quale atto processuale sono state prodotte nel giudizio di merito ed il luogo del processo in cui risultano reperibili milanesi (Etr. Cass. n. 17678/16). Rimane escluso, infatti, per la stessa conformazione del giudizio di legittimità che la Corte, con riferimento alle menzionate tabelle, possa far ricorso al notorio o debba procedere alla loro ricerca di sua propria iniziativa.
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, della “motivazione apparente e/o irriducibile contraddittorietà circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero in merito al criterio per la quantificazione del danno”.
Il Giudice di secondo grado avrebbe fondato il proprio parere circa la adeguatezza della percentuale di invalidità permanente a compensare sia il danno funzionale che quello estetico, discostandosi dalle risultanze della ctu espletata in primo grado, su “tabelle medico legali per la valutazione del danno biologico” senza identificare le tabelle richiamate e senza dare conto di cosa emergerebbe da tali tabelle.
Inoltre, sarebbe illogica la sentenza impugnata per aver posto a fondamento della propria decisione un documento di parte, formato al di fuori del processo, anziché la ctu espletata in primo grado, i cui risultati non sono mai stati contestati.
Il motivo è infondato.
Il giudice del merito ha dato piena contezza del criterio di valutazione del danno estetico. Inoltre il motivo incontra il limite posto da Cass. S. U. n. 8053-8054/2014.
4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la “motivazione apparente e/o illogicità manifesta ovvero contraddittorietà manifesta della stessa circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero in merito al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante”.
Sarebbe fatto notorio che il declassamento in ambito militare determina l’acquisizione della qualifica di soldato semplice e che un soldato semplice, all’epoca dei fatti percepiva Lire 5.0000 al giorno.
Ciò avrebbe dispensato il D.U. da fornire la prova delle suddette circostanze.
4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la “motivazione apparente e/o illogicità manifesta della stessa circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero in merito al danno da perdita di chance.
Costituirebbero fatti notori anche il fatto che il genio Ferrovieri rilasciava la qualifica di specializzato a coloro che completavano la ferma triennale e che tale specializzazione costituiva titolo preferenziale per la partecipazione a concorsi riservati.
Inoltre, considerato che il Reggimento genio ferrovieri è un corpo dell’esercito altamente specializzato, per far parte del quale occorre partecipare ad un severo concorso, già nel momento in cui l’odierno ricorrente aveva partecipato a tale concorso e nel successivo arruolamento avevano preso concretezza le aspirazioni del ricorrente.
Il quinto ed il sesto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente e devono essere disattesi.
Il ricorso al fatto notorio ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito; pertanto, l’esercizio sia positivo, sia negativo, del potere di fare ricorso al notorio non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo, invece, censurabile solamente la positiva assunzione, a base della decisione, di un’inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura.
In tale nozione, evidentemente, non rientrano lo stipendio percepito da un soldato semplice in un dato periodo temporale, ovvero la circostanza che il conseguimento di una certificazione presso un corpo dell’esercito dia titoli preferenziali per l’accesso a concorsi presso enti privati. Ciò senza considerare che il ricorrente in realtà richiede un nuovo accertamento di merito.
- In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 26 settembre 2016.