Ordinanza 27692/2021
Clausola risolutiva espressa – Eccezione di inadempimento
In materia di clausola risolutiva espressa, anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersene, il giudice deve valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 c.c., dall’accertamento di un inadempimento colpevole.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 12-10-2021, n. 27692
Art. 1456 cc (Clausola risolutiva espressa) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. Fr. Si. Co. ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 87/19, del 29 marzo 2019, della Corte di Appello di Potenza, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito avverso la sentenza n. 1380/17, del 12 dicembre 2017, del Tribunale di Matera – ha confermato il rigetto sia dell’opposizione a decreto ingiuntivo, proposta dall’odierno ricorrente con riferimento ad un provvedimento monitorio che gli ingiungeva il pagamento, alla società (OMISSIS) S.a.s. (d’ora in poi, “(OMISSIS)”), della somma di € 4.800,00, oltre interessi, a titolo di restituzione del deposito cauzionale relativo al contratto di locazione immobiliare ad uso non abitativo concluso il 26 febbraio 2016, sia della domanda riconvenzionale con cui il medesimo intendeva avvalersi di due clausole risolutive espresse presenti nel contratto.
2. In punto di fatto, il ricorrente riferisce che – a distanza di poco più di un mese dalla conclusione del contratto, con cui egli aveva locato alla predetta società (OMISSIS) un immobile di sua proprietà, perché fosse utilizzato ad uso panetteria – la conduttrice si limitava a versare il pagamento del canone relativo al mese di marzo 2016, omettendo la corresponsione di quelli per le mensilità successive. Inoltre, in data 26 aprile 2016, inviava – a mezzo di un legale – una nota con cui dichiarava di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa prevista all’art. 17.7 del testo contrattuale, sul presupposto che l’immobile locato non presentasse “i requisiti minimi per essere dichiarato agibile all’uso a cui è stato destinato”. Su tali basi, dunque, la conduttrice chiedeva – quantunque il locatore, come dallo stesso sottolineato in ricorso, avesse provveduto a trasmettere a mezzo “PEC”, il 30 marzo 2016, il “certificato di agibilità/autocertificazione” – la restituzione del deposito cauzionale, ritenendo risolto il contratto.
A fronte di tale iniziativa, il locatore, con missiva del 27 aprile 2016, contestava la sussistenza dei presupposti della risoluzione, atteso che il suddetto art. 17.7 era destinato ad operare esclusivamente per la mancata consegna del certificato di agibilità. Al contempo, tuttavia, egli si dichiarava disponibile a riprendere in consegna le chiavi dell’immobile, precisando, però, che ciò “non avrebbe comportato la rinuncia al diritto di dichiarare risolto il contratto per duplice inadempimento della parte conduttrice”, e ciò – come meglio si dirà più avanti – in relazione all’obbligazione sia di versare i canoni di locazione, che di consegnare fidejussione assicurativa.
Ciò premesso, ottenuto da (OMISSIS) il decreto che ingiungeva al Si. Co. la restituzione del deposito cauzionale, l’ingiunto proponeva opposizione, svolgendo anche domanda riconvenzionale con cui dichiara di avvalersi – a norma dell’art. 1456, comma 2, cod. civ. – delle due clausole risolutive, contemplate dagli artt. 17.1 e 17.6 del contratto, per le ipotesi di inadempimento del conduttore rispetto all’obbligo di versare i canoni (tale essendo la condizione di (OMISSIS) dall’aprile 2016) e di consegnare fideiussione assicurativa, agendo, comunque, per la risoluzione del contratto anche a norma dell’art. 1453 cod. civ.
Si costituiva in giudizio l’opposta – peraltro, evidenzia l’odierno ricorrente, con un giorno di ritardo rispetto al termine stabilito dall’art. 416 cod. proc. civ., come da esso stesso tempestivamente eccepito già in primo grado – per insistere nella domanda di restituzione e resistere alla domanda riconvenzionale. Istruita la causa mediante l’assunzione di prova testimoniale, il primo giudice rigettava l’opposizione e la domanda riconvenzionale dell’ingiunto, con decisione confermata dal giudice di appello, che respingeva il gravame dallo stesso esperito.
Esito, questo, al quale la Corte di Appello perveniva sul rilievo che la convenuta nel giudizio di opposizione, dopo aver già chiesto con il ricorso monitorio la restituzione del deposito cauzionale, “alla permanenza del vincolo opposta dal debitore” – proprio per neutralizzare l’avversaria pretesa posta alla base del ricorso per ingiunzione – “controeccepiva l’operatività della clausola 17.7” (vale a dire, la clausola risolutiva espressa prevista per l’ipotesi di inadempimento del locatore all’obbligo di consegnare il certificato di agibilità), sicché, “eccepita la permanenza del vincolo” da parte dell’attore in opposizione, costui non sui sarebbe potuto avvalere, a sua volta, “di una diversa clausola risolutiva” (o meglio, di due, quelle relativa al pagamento dei canoni e alla consegna della fideiussione assicurativa), “a contratto risolto e a locale commerciale liberato”.
3. Avverso la sentenza della Corte lucana ricorre per cassazione il Si. Co., sulla base – come detto – di sei motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – “nullità della decisione o del procedimento”, per omessa pronuncia sulla dedotta ultrapetizione (in riferimento agli artt. 112, 99 e 102 cod. proc. civ.) in cui sarebbe incorso il primo giudice, per aver accolto la domanda riconvenzionale dell’opposto quantunque lo stesso si fosse tardivamente costituito, così essendosi “conservata l’ultrapetizione portata all’attenzione della Corte d’Appello”.
Si censura, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che, a fronte della domanda riconvenzionale con cui il locatore intendeva valersi delle due clausole risolutive espresse (artt. 17.1 e 17.6 del contratto), relative alle obbligazioni del conduttore di versare il canone e di consegnare fideiussione assicurativa, la società (OMISSIS) “controeccepiva” la già avvenuta risoluzione del contratto, per inadempimento dell’obbligo di trasmettere il certificato di agibilità entro il 30 marzo 2016.
Senonché, in ragione della sua tardiva costituzione in giudizio, la convenuta opposta nulla avrebbe potuto controeccepire, donde la nullità della sentenza impugnata.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – “violazione degli artt. 1322, 1456, 1362 e 1366 cod. civ., lamentando “lesione dei canoni ermeneutici di interpretazione”, ai quali “soggiace” anche la clausola risolutiva espressa “al pari di tutte le altre clausole contrattuali”, in particolare censurandosi la scelta della Corte territoriale di disattendere il criterio “prioritario e fondamentale” dell’interpretazione letterale.
La contestazione, infatti, investe la decisione della Corte nella parte in cui ha ritenuto che la società conduttrice, con nota scritta del 26 aprile 2016, avesse inteso avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista in caso di mancata consegna, entro il 30 marzo 2016, del certificato di agibilità, perché, secondo il ricorrente, il tenore letterale di quella nota non lascerebbe adito a dubbi che con essa si intendesse contestare, invece, il difetto di agibilità del locale.
3.3. Il terzo motivo denuncia – sempre ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 1456 cod. civ., nonché degli artt. 24 e 25 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e degli artt. 40 e 43 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, oltre che dell’art. 1366 cod. civ.
Il ricorrente, in questo caso, contesta la ritenuta operatività della suddetta clausola risolutiva, negando di essere stato inadempiente rispetto all’obbligo di consegnare il certificato di agibilità, avendo consegnato dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
La sentenza impugnata, dunque, avrebbe violato il principio di semplificazione e non aggravamento, “esigendo un documento cartaceo”, oltre al canone dell’interpretazione del contratto secondo buona fede.
3.4. Il quarto motivo denuncia – nuovamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 1456 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver disatteso il principio secondo cui non può avvalersi della clausola risolutiva espressa “il contraente che annoveri inadempienze”.
Si deduce, infatti, che quando la società conduttrice ha manifestato – il 26 aprile 2016 – la volontà di avvalersi della clausola risolutiva (art. 17.7) relativa all’inadempimento del locatore dell’obbligo di consegnare il certificato di agibilità essa risultava già inadempiente all’obbligo di versare il canone di aprile 2016 (maturato il giorno 15 di quel mese) e di fornire la fideiussione.
Rileva, al riguardo, l’odierno ricorrente che la clausola risolutiva espressa non opera in modo automatico per effetto dell’altrui inadempimento, dovendo a tal scopo concorrere la dichiarazione della parte che intenda avvalersene, quale atto di esercizio di un diritto potestativo, proveniente da un soggetto, a propria volta, non inadempiente (sono citate Cass. Sez. 1, sent. 24 luglio 1968, n. 2677; Cass. Sez. 3, sent. 10 marzo 1974, n. 578). La dichiarazione è, pertanto, paralizzata dall’eccezione di inadempimento della parte contro cui la clausola sia fatta valere.
3.5. Il quinto motivo, in sostanziale continuità con quello che immediatamente lo precede, denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 1456 cod. civ., nonché degli artt. 1453 e ss cod. civ., compreso l’art. 1458.
Nel ribadire di non essere stato affatto inadempiente ai propri obblighi, quando la conduttrice dichiarò l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 17.7. del contratto, essendo, viceversa, il conduttore ad essere anteriormente inadempiente rispetto all’obbligo di versare il canone relativo alla mensilità di aprile 2016 e a quello di prestare garanzia fideiussoria, il ricorrente evidenzia di aver tempestivamente formulato – diversamente dalla (OMISSIS) – la domanda di risoluzione per inadempimento non solo ex art. 1456 cod. civ., ma anche ai sensi dell’art. 1453 cod. civ.
Sottolinea, in particolare, come l’inadempimento dell’obbligo di prestare fideiussione (dovendo la garanzia essere prestata entro il 28 febbraio 2016) abbia preceduto il – supposto, giacché recisamente negato dal ricorrente, in particolare con il terzo motivo – inadempimento dell’obbligo di consegnare il certificato di agibilità entro il 30 marzo 2016.
3.6. Infine, il sesto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, giacché, “in ragione della fondatezza e spessore delle prospettazioni” in merito all’inadempienza della conduttrice, il ricorrente assume che la sentenza impugnata andrà riformata nella parte in cui lo condanna al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio e senza l’accessorietà di cui dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
4. La (OMISSIS) ha resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, il rigetto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente a norma dell’art. 348- ter, ultimo comma, cod. proc. civ., sul rilievo che, nel caso che occupa, ricorre l’ipotesi della c.d. “doppia conforme di merito”.
Al riguardo va, infatti, osservato che tale norma non preclude in senso assoluto la proposizione del ricorso per cassazione, ma esclusivamente le censure che risultino formulate – e sempre che l’atto di appello risulti proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’il settembre 2012 (come, peraltro, avvenuto nella presente ipotesi) – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.
Nel caso che occupa, il primo motivo è posto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., e tutti i restanti – compreso il quinto, che pure fa riferimento anche al n. 5) del comma 1 del citato articolo 360 – deducono vizi di violazione di legge.
Non opera, pertanto, la preclusione nascente dall’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ.
6. Ciò premesso, il ricorso va accolto, per quanto di ragione.
7. I motivi in cui esso si articola vanno, peraltro, esaminati congiuntamente (tranne l’ultimo, che resta assorbito dall’accoglimento del ricorso, giacché il giudice del rinvio dovrà provvedere ad una rinnovata regolamentazione delle spese di lite), data la loro connessione.
Essi, infatti, censurano, da diversi angoli visuali, la decisione della Corte territoriale di dare rilievo all’eccezione – o meglio, alla controeccezione – con cui la conduttrice (OMISSIS) aveva dedotto l’avvenuta risoluzione del contratto, per essersi il locatore Si. Co. reso inadempiente all’obbligo di consegnare il certificato di agibilità dell’immobile, e ciò al fine paralizzarne la domanda riconvenzionale (proposta unitamente all’opposizione al provvedimento monitorio, che gli ingiungeva la restituzione del deposito cauzionale), finalizzata a conseguire la dichiarazione dell’avvenuta risoluzione del contratto per pregresso inadempimento della conduttrice all’obbligo di versare il canone di locazione per il mese di aprile 2016 ed a quello di prestare garanzia fideiussoria.
Difatti, per un verso, si assume che la (OMISSIS), costituitasi tardivamente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sarebbe decaduta dalla possibilità di far valere tale supposto inadempimento, per altro verso, invece, si contesta che esso Si. Co. si sia reso inadempiente all’obbligo contrattuale suddetto (avendo legittimamente consegnato, in luogo del certificato, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), nonché, infine, rilevandosi che la stessa conduttrice si sarebbe resa, in via pregressa, inadempiente alle due obbligazioni contrattuali già indicate ed oggetto di clausola risolutiva espressa, sicché, per tale ragione, impossibilitata a far valere l’altrui inadempimento.
7.1. Orbene, così ricostruito il tema complessivo portato all’esame di questa Corte, occorre scrutinare la prima di tali censure (oggetto, in particolare, del primo motivo di ricorso), che presenta carattere pregiudiziale, prospettando un vizio di natura processuale.
Tale censura, tuttavia, in disparte i dubbi sulla sua stessa ammissibilità avanzati dalla controricorrente (atteso che il Si. Co. ha prospettato la censura “sub specie” di omessa pronuncia su motivo di gravame, ciò che l’onerava di riprodurne il contenuto nella misura necessaria a soddisfare il requisito di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., essendo “inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano «nuove» e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte”; cfr. Cass. Sez. 2, sent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01), risulta non fondato.
Difatti, il giudice di appello ha mostrato di ritenere quella della convenuta opposta non come domanda riconvenzionale, il cui esame era certamente precluso dall’intempestività della costituzione in giudizio, ma come una “controeccezione” (con cui si era dedotta l’operatività della clausola risolutiva prevista per il mancato adempimento dell’obbligo del locatore di consegnare il certificato di agibilità), volta a contrastare, ad un tempo, l’eccezione del locatore in ordine alla permanenza del vincolo contrattuale e la sua domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento dell’obbligo del conduttore di pagare i canoni di locazione e di prestare la fideiussione assicurativa.
Trattandosi, dunque, non di una “reconventio reconventionis” (che pure il convenuto opposto può esperire nel giudizio ex art. 645 cod. proc. civ., quando, “per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente”, essa “si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto”, non potendo in tal caso “essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte”, ma sempre a condizione che siffatta iniziativa non sia tardiva, sicché essa “può essere introdotta solo nella domanda di risposta e non nel corso del giudizio di primo grado”; Cass. Sez. 3, 4 ottobre 2013, n. 22754, Rv. 629056-01), il giudice di appello, come già quello di prime cure, non poteva sottrarsi al compito di vagliarla, dovendo, pertanto, ritenersi che l’esame della stessa sia valsa come implicito rigetto del motivo di gravame relativo alla dedotta ultrapetizione.
Difatti, il giudice di merito, anche quando ritenga che la domanda di formulata dal convenuto in via riconvenzionale sia per qualsiasi motivo inammissibile, “non può esimersi dall’esaminare il relativo tema «sub specie» di eccezione, essendo a tale riguardo sufficiente che quest’ultima sia stata sollevata nei termini previsti dal codice di procedura” (così, con riferimento all’eccezione riconvenzionale di usucapione, ma con principio di portata generale, Cass. Sez. 6-2, ord. 4 marzo 2020, n. 6009, Rv. 657274-01).
7.2. In parte inammissibile e in parte, invece, non fondata è la censura – sulla quale insistono, segnatamente, il secondo e il terzo motivo di ricorso – con cui l’odierno ricorrente nega ricorressero le condizioni per ritenerlo inadempiente all’obbligo, contrattualmente assunto ed oggetto di clausola risolutiva espressa, di consegnare entro il 30 marzo 2016 il certificato di agibilità. Inammissibile è, infatti, la censura con la quale è dedotta “lesione dei canoni ermeneutici di interpretazione”, ai quali “soggiace” anche la clausola risolutiva espressa, “al pari di tutte le altre clausole contrattuali”, in particolare contestandosi la scelta della Corte territoriale di disattendere il criterio “prioritario e fondamentale” dell’interpretazione letterale.
L’inammissibilità della censura discende dal fatto che il ricorrente pretende di applicare i principi dell’ermeneutica contrattuale non all’interpretazione della clausola risolutiva espressa (come pure afferma di voler fare), bensì alla nota scritta del 26 aprile 2016 con cui la conduttrice comunicò l’intenzione di avvalersi del diritto potestativo contemplato da tale clausola.
Non fondata è, invece, la censura con cui il Si. Co. nega di essere reso inadempiente rispetto all’obbligo di consegnare il certificato di agibilità, avendo consegnato dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Invero, l’impegno contrattualmente assunto concerneva, specificamente, la consegna del certificato, non “surrogabile” con rilascio di un’autocertificazione, neppure potendo invocarsi la violazione delle norme sull’autocertificazione, che non concernono, salvo casi particolari specificamente previsti dal legislatore, i rapporti tra privati.
D’altra parte, va qui ribadito che la “pattuizione di una clausola risolutiva espressa esclude che la gravità dell’inadempimento possa essere valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 12 novembre 2019, n. 29301; Rv. 655842-01).
7.3. Fondata è, invece, l’ultima delle tre censure dianzi indicate.
Si è visto, infatti, che l’odierno ricorrente contesta la sentenza di appello anche per aver negato rilievo al dedotto inadempimento, addebitato alla conduttrice, delle obbligazioni – indicate dal Si. Co. come “geneticamente anteriori”, rispetto a quella gravante su di esso di consegnare il certificato di agibilità del locale – di pagare il canone di locazione, con riferimento alla mensilità di aprile 2016, e di consegnare fidejussione assicurativa, oggetto, anch’esse, di una duplice clausola risolutiva espressa (artt. 17.1 e 17.6 del contratto di locazione).
Siffatto esito è stato motivato dalla Corte territoriale sul rilievo che la conduttrice, prima che il locatore facesse valere in giudizio tali clausole, si era preventivamente avvalsa della clausola risolutiva relativa all’obbligazione di consegna del certificato di agibilità, sicché il contratto doveva intendersi già risolto allorché il Si. Co. intese esercitare (con la domanda riconvenzionale proposta in occasione dell’opposizione al decreto ingiuntivo che gli intimava la restituzione del deposito cauzionale) il diritto potestativo di cui all’art. 1456 cod. civ.
Tuttavia, la Corte potentina avrebbe dovuto considerare che l’odierno ricorrente, con la propria domanda riconvenzionale, non si limitò a richiedere l’operatività della doppia clausola risolutiva concernente l’obbligo di versare i canoni e di prestare la fidejussione assicurativa (obbligo, questo secondo, da adempiersi entro il 28 febbraio 2016, e dunque prima che il locatore fosse tenuto a fornire, entro il successivo 30 marzo, il certificato di agibilità), ma agì pure a norma dell’art. 1453 cod. civ. per far valere l’inadempimento di tali obbligazioni. Egli, pertanto, ebbe a richiamarsi al principio “Thadimplenti non est adimplendum”, visto che “l’inadempimento allegato con la domanda funge da eccezione”, che viene contrapposta all’altrui pretesa (nella specie, quella di avvalersi della clausola risolutiva), e ciò “sulla base della considerazione” che “il più (l’inadempimento di non scarsa importanza allegato con la domanda) comprenda anche il meno (l’inadempimento mero)” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, ord.17 ottobre 2019, n. 26634, Rv. 655383-01).
Ne consegue, pertanto, che la sentenza impugnata ha disatteso il principio secondo cui, anche quando “la parte interessata” (nella specie, la conduttrice) “abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte” (nel caso in esame, il locatore), “attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., dall’accertamento di un inadempimento colpevole” (Cass. Sez. 2, sent. 13 settembre 2013, n. 21115, Rv. 627837-01).
In altri termini, il giudice di appello avrebbe dovuto procedere ad una valutazione comparativa dei contrapposti inadempimenti, verifica alla quale si è, invece, sottratto.
Il presente ricorso, dunque, va accolto per quanto di ragione, con rinvio alla Corte di Appello di Potenza, in diversa composizione, per la decisione nel merito, alla stregua del principio sopra richiamato.
8. Il giudice del rinvio, infine, provvederà ad una rinnovata regolamentazione delle spese di lite, ivi comprese quelle relative al presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Potenza, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.
Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi – in forma camerale, ai sensi dell’art. 23, comma 8 -bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge 18 dicembre 2020, n. 176 – il 19 maggio 2021.