Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 27830/2017 – Azione revocatoria fallimentare – Garanzie per debiti preesistenti non scaduti – Sussistenza di altri debiti preesistenti scaduti

Richiedi un preventivo

Sentenza 27830/2017

Azione revocatoria fallimentare – Garanzie per debiti preesistenti non scaduti – Sussistenza di altri debiti preesistenti scaduti

In tema di revocatoria fallimentare, gli atti costitutivi di titoli di prelazione per debiti preesistenti, non scaduti, sono inefficaci, ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 3), l.fall., anche in presenza di altri debiti preesistenti e già scaduti ovvero contestualmente creati nei confronti del titolare della garanzia, restando l’atto pregiudizievole comunque inopponibile alla massa dei creditori per l’intera esposizione debitoria garantita.

Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 22 novembre 2017, n. 27830   (CED Cassazione 2017)

 

 

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 22 dicembre 2011, accogliendo l’appello della (OMISSIS) s.r.l., in amministrazione straordinaria (di seguito breviter (OMISSIS)), nel giudizio di opposizione allo stato passivo della stessa procedura proposto dalla (OMISSIS) s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa (in prosieguo solo (OMISSIS)), dichiarò inefficace, ex art. 67, primo comma, n. 3), L. Fall., l’ipoteca concessa dalla società poi ammessa all’amministrazione straordinaria, ammettendo la banca al concorso con il grado chirografario per i crediti vantati in forza dei mutui fondiari erogati; compensò poi nella misura della metà le spese del primo grado, condannando (OMISSIS) alla rifusione della restante metà di quelle ivi sostenute da (OMISSIS) e per intero delle spese dell’appello.

Ritenne il giudice di merito, anzitutto, che l’appello fosse fondato in relazione alla decisione di primo grado che aveva senz’altro respinto, per difetto di tempestiva indicazione degli elementi di fatto, la domanda riconvenzionale spiccata dalla (OMISSIS) tesa ad ottenere la revocatoria dell’ipoteca volontaria; pronunciando quindi sulla detta domanda riconvenzionale, la corte catanese, ritenuta l’esistenza di debiti preesistenti non scaduti della mutuataria e non dimostrata la inscentia decoctionis della (OMISSIS), dichiarò inefficace l’ipoteca iscritta in suo favore.

Avverso la detta sentenza della corte d’appello, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi; (OMISSIS) ha depositato controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Preliminarmente va dato atto che (OMISSIS) ha depositato, in data 17 ottobre 2016, un “ricorso in riassunzione ex art. 303 c.p.c.”, in seno al quale allega che con decreto del Tribunale di Catania depositato il 19 luglio 2016, la procedura di amministrazione straordinaria della (OMISSIS) s.r.l. è stata convertita in fallimento, invocando in conseguenza di ciò l’adozione dei provvedimenti necessari.

Osserva tuttavia la Corte che deve escludersi la necessità di adottare provvedimento alcuno, in quanto per orientamento consolidato la dichiarazione di fallimento di una delle parti non integra una causa di interruzione del giudizio in sede di legittimità, posto che in quest’ultimo opera il principio dell’impulso d’ufficio e non trovano, pertanto, applicazione le comuni cause di interruzione del processo contemplate in via generale dalla legge (Cass. 23/03/2017, n. 7477).

  1. Con il primo motivo (OMISSIS) deduce violazione degli artt. 112, 161, 163 e 342 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè la corte d’appello erroneamente non ha rilevato la nullità dell’atto di appello proposto da (OMISSIS) per difetto di specificità, esaminando domande ed eccezioni nuove formulate per la prima volta soltanto con la comparsa conclusionale.

Con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 5, nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il giudice di merito ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale spiccata dalla (OMISSIS), in violazione del sistema delle preclusioni processuali in ordine ai fatti costitutivi rilevanti della stessa.

Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 67, comma 1, n. 3) L. Fall., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo il giudice d’appello ritenuto i debiti della (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) preesistenti e non scaduti, pure in difetto di idonea prova, ed erroneamente affermato che la banca non avesse dimostrato la propria inscientia decoctionis.

Con il quarto motivo lamenta violazione degli artt. 2808, 2809, 2838 e 2855 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4), nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè la corte d’appello, una volta accertato che la garanzia era stata costituita anche per debiti contestualmente creati, avrebbe dovuto escludere la revocabilità della stessa limitatamente ai detti debiti.

Con il quinto mezzo eccepisce la violazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando l’erronea parziale compensazione tra le parti delle spese del primo grado e la condanna al pagamento di quelle sostenute dalla (OMISSIS) in appello.

  1. Il primo motivo è infondato.

Com’è noto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel giudizio di appello – che non è un novum iudicium – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono.

Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. 27/09/2016, n. 18932; Cass. 27/01/2014, n. 1651; Cass. 13/04/2010, n. 8771; Cass. 18/04/2007, n. 9244).

Nella vicenda in esame la mera lettura dell’atto di appello formulato dalla (OMISSIS), consente di addivenire alla conclusione che le ragioni di doglianza dell’appellante siano state esposte in maniera sufficientemente specifica, dovendosi escludere che attraverso la comparsa conclusionale siano stati in qualche modo integrati gli originari motivi o addirittura proposti di nuovi; del resto dalla lettura della sentenza di appello non risulta che la stessa (OMISSIS) ebbe mai a dolersi, nel corso del giudizio, di una presunta inammissibilità del gravame proposto.

  1. Il secondo motivo è infondato.

Va premesso che l’art. 183 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, prima della novella risalente al Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, al quarto comma, consentiva all’attore, entro la prima udienza di trattazione, di proporre le eccezioni e le domande che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto, mentre permetteva alle parti, nel termine di cui al successivo comma 5, solo la precisazione e la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni già proposte, ma non la proposizione di ulteriori e diverse eccezioni e domande.

Peraltro, come di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “modificazione” della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Cass. s.u. 15/06/2015, n. 12310).

Ne consegue la sicura ammissibilità della modifica, fino al deposito della memoria ex art. 183 c.p.c., u.c., dell’originaria domanda formulata anche in relazione ad uno o più dei c.d. “fatti principali”, cioè di quei fatti costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa dedotta in giudizio; restano invece precluse quelle modificazioni della domanda e delle eccezioni già proposte, che intervengano successivamente alla scadenza dei termini per il deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c., quando esse possano determinare in concreto, attraverso l’allegazione di nuovi fatti principali, una modifica del petitum o della causa petendi.

Al contrario, per i c.d. “fatti secondari”, vale a dire per tutti quegli elementi fattuali dedotti in funzione di prova determinante di una circostanza principale, essendo all’evidenza inidonei a modificare il petitum o la causa petendi, non valgono le cennate preclusioni, potendo fare ingresso nel processo fino alla scadenza dei termini previsti per le istanze istruttorie e, dunque, nel regime previgente alla riforma del 2005, almeno fino al deposito delle memorie ex art. 184 c.p.c., comma 1.

Nella vicenda che ci occupa, allora, come correttamente rilevato dalla corte d’appello, (OMISSIS) articolò la domanda riconvenzionale nella comparsa di risposta in maniera sufficientemente chiara, deducendo sia il petitum (la declaratoria di inefficacia dell’ipoteca posta a fondamento dell’invocato rango privilegiato), sia la causa petendi con l’indicazione dei fatti principali costituivi della pretesa (cioè la revocabilità delle garanzie concesse per debiti preesistenti non scaduti in forza dell’art. 67, comma 1, n. 3), L. Fall., ovvero, con la consapevolezza del pregiudizio alle ragioni dei creditori, ai sensi dell’art. 2901 c.c.).

Devono invece ritenersi alla stregua di fatti secondari, tesi a dimostrare i fatti principali, quelli allegati dall’attrice in riconvenzionale per dimostrare la fondatezza della domanda soltanto con la memoria ex art. 184 c.p.c. (tutti sostanzialmente tesi a provare, da un lato, la presenza di debiti preesistenti non scaduti e, dall’altro, l’elemento soggettivo nella revocatoria ordinaria), come tali di certo idonei a contribuire alla formazione del thema probandum ma non ad integrare il thema decidendum, restando così sottratti alle preclusioni di cui al ridetto art. 183 c.p.c., u.c..

  1. Il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente attesa l’evidente connessione, sono entrambi privi di fondamento.

Avuto riguardo all’eccezione sollevata nella memoria ex art. 378 c.p.c. dalla (OMISSIS), va anzitutto escluso che sui fatti oggetto dell’odierno processo sia intervenuto giudicato esterno favorevole alla predetta, per effetto del passaggio in cosa giudicata di altra sentenza resa dalla corte d’appello di Catania, per la decisiva ed assorbente considerazione che la detta decisione – come affermato dalla medesima ricorrente -, risulta essere stata pronunciata tra la (OMISSIS) e altro soggetto giuridico (la (OMISSIS) s.p.a.) diverso dalla odierna controricorrente.

Orbene, la corte d’appello ha ritenuto revocabile ex art. 67, comma 1, n. 3), L.F. – nel testo applicabile ratione temporis precedente alla riforma introdotta dal cennato Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35 – il rogito concluso in data 1.3.1995, in forza del quale la (OMISSIS) in bonis concesse ipoteca volontaria sui propri beni in favore della (OMISSIS), trattandosi di garanzia costituita nel biennio anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza della debitrice.

Al riguardo, va osservato che nel caso di atti costitutivi di garanzie reali, ai sensi dell’originaria disciplina della legge fallimentare del 42, la revocatoria delle ipoteche iscritte nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, restava consentita purchè esse fossero state costituite “per debiti preesistenti non scaduti”; quando invece si fosse trattato di “debiti scaduti”, ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 4), L. Fall., l’inefficacia restava astretta soltanto alle garanzie rilasciate entro l’arco temporale di un anno precedente la dichiarazione di fallimento, come pure nel caso di debiti “contestualmente creati”, per i quali veniva meno, altresì, ai sensi dell’art. 67, comma 2, L. Fall., la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza in capo al beneficiario della garanzia.

Ora, la distinzione, ancora oggi presente nella legge fallimentare riformata, fra debiti “preesistenti” e debiti “contestuali”, ai fini della diversa disciplina stabilita, rispettivamente, nell’art. 67, commi 1 e 2 L. Fall., trova la sua ratio nel dato di comune esperienza in forza del quale la richiesta di una garanzia per un debito contestuale rientra nella normale prudenza e non costituisce indice di quella conoscenza dello stato di insolvenza, sulla quale si fonda invece la presunzione di frode posta dal comma 1 del citato art. 67 L.F. (così già Cass. 27/01/1968, n. 264).

Come bene ha osservato la corte d’appello, nella vicenda che ci occupa l’ipoteca oggetto di lite fu costituita a garanzia delle esposizioni debitorie analiticamente elencate nella convenzione interbancaria stipulata il 9.2.1995 tra un pool di banche (compresa la (OMISSIS)) e le società che costituivano il c.d. gruppo Costanzo tra le quali rientrava anche la (OMISSIS) -, in forza della quale venne prevista non solo l’erogazione in favore delle società del detto gruppo di nuove linee di credito – riconducibili nell’ambito dei debiti contestualmente creati – ma anche il “consolidamento” delle esposizioni debitorie già in essere per mutui e scoperti di conto corrente, mediante la cristallizzazione del saldo debitorio complessivo alla data del 30.9.1994 – oltre interessi calcolati a decorrere dal 1.1.1994 -, e l’espressa previsione di un termine ultimo per il rimborso del detto saldo consolidato, oltre interessi convenzionali, entro la data del 31.12.1999.

Dunque, non v’è da dubitare che accanto a debiti “contestualmente creati”, nella convenzione del 9.2.1995 vennero ricompresi anche debiti preesistenti e, tuttavia, per patto espresso, non ancora scaduti (rectius esigibili) alla data della stipula dell’ipoteca impugnata, essendo stata prevista una precisa dilazione dei tempi del programmato rimborso, alla stregua di quello che può definirsi un vero e proprio pactum de non petendo.

La circostanza che l’ipoteca iscritta fosse riferita anche ad eventuali debiti scaduti ed immediatamente esigibili, ovvero contestualmente creati, non esclude allora che quella medesima garanzia sia stata accesa anche per debiti preesistenti, ancorchè al momento della sua costituzione non più immediatamente esigibili, essendo stati assoggettati alle descritte operazioni di “consolidamento”.

Nè può dirsi che l’esistenza di una pluralità di debiti aventi diversa natura – taluni scaduti, altri non scaduti, altri ancora contestuali – garantiti dalla medesima garanzia reale, costituisca ostacolo alla sua revocabilità ai sensi del richiamato comma 1, n. 3), dell’art. 67 L. Fall., ove ne ricorrano le condizioni anche con riferimento ad uno solo dei debiti garantiti, perchè com’è noto la garanzia opera per intero con riguardo a ciascuno dei debiti per cui è costituita (Cass. 25/01/2008, n. 1745).

In altre parole, una volta che l’atto astrattamente pregiudizievole (nella specie consistente nella costituzione di ipoteca volontaria), risulti intervenuto nel biennio sospetto in presenza di una pluralità di debiti, tra i quali solo taluni preesistenti e non esigibili da parte del creditore garantito, ne discende la sua integrale inefficacia nei confronti della massa dei creditori fallimentari, non essendo consentita nell’ambito del “sistema concorsuale” una inopponibilità alla massa dell’atto che viola la par condicio creditorum solo parziale, in relazione cioè a taluni tra i crediti concorrenti e non ad altri.

Va allora affermato il seguente principio di diritto: “In tema di revocatoria fallimentare, gli atti costitutivi di titoli di prelazione per debiti preesistenti non scaduti, sono inefficaci ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 3), L. Fall., anche in presenza di altri debiti preesistenti e già scaduti ovvero contestualmente creati nei confronti del titolare della garanzia, restando l’atto pregiudizievole comunque inopponibile alla massa dei creditori per l’intera esposizione debitoria garantita”.

Inammissibili, infine, si mostrano tutte le doglianze avanzate da (OMISSIS) in relazione all’elemento soggettivo della dichiarata revocatoria.

Com’è noto, in tema di revocatoria fallimentare, alla luce della presunzione iuris tantum stabilita dall’art. 67, comma 1, L. Fall., non spetta alla curatela dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza, ma spetta al convenuto in revocatoria fornire la prova della inscientia decoctionis, dimostrando la insussistenza, al momento dell’atto, di elementi rivelatori dello stato di insolvenza, ovvero la prova della ricorrenza di circostanze tali da indurre una persona di normale prudenza e avvedutezza a ritenere che l’impresa si trovasse in situazione di normale esercizio.

È chiaro poi che la effettiva mancanza di conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purchè idonei a fornire la prova per presunzioni di tale condizione soggettiva.

Tuttavia la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (Cass. 19/02/2015, n. 3336).

Orbene, assumendo che la corte d’appello abbia motivato in maniera insufficiente e contraddittoria gli elementi indiziari in atti, in realtà la ricorrente intende sollecitare a questa Corte una inammissibile rivalutazione di tutte le risultanze istruttorie che hanno condotto il giudice del gravame a ritenere, da un lato, insuperata la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza in capo alla banca e, dall’altro lato, accertata la sua piena consapevolezza della effettiva lesività dell’atto costitutivo dell’ipoteca rispetto alle ragioni del restante ceto creditorio.

  1. Il quinto motivo è inammissibile.

Invero in tema di compensazione delle spese processuali ai sensi dell’art. 92 c.p.c. – nel testo, qui applicabile ratione temporis, come novellato alla L. 28 dicembre 2005, n. 263 e prima dell’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 -, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri “giusti motivi” (Cass. 31/03/2017, n. 8421; Cass. 19/06/2013, n. 15317; Cass. 06/10/2011, n. 20457).

Nel caso a mano, allora, la corte d’appello nel regolare le spese del grado di appello ha fatto applicazione del principio della soccombenza, atteso che (OMISSIS) risultava interamente vittoriosa, con decisione che si sottrae a censure di sorta, mentre ha ritenuto di compensare in ragione della metà le spese del primo grado, in ragione del parziale accoglimento dell’opposizione allo stato passivo proposta da (OMISSIS), ponendo la restante metà di quelle sostenute da (OMISSIS) a carico della prima, rimasta evidentemente soccombente rispetto alla riconvenzionale spiccata dalla seconda.

  1. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2017.