Sentenza 27836/2017
Contratti bancari – Forma scritta – Deroga
In materia di disciplina della forma dei contratti bancari, la L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e, successivamente, l’art. 117, comma 2, t.u.l.b., abilita la (OMISSIS), su conforme Delib. del CICR, a stabilire che “particolari contratti” possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicchè quanto da queste autorità stabilito c (OMISSIS)a la non necessità della forma scritta “in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto” deve essere inteso nel senso che l’intento di agevolare “particolari modalità della contrattazione” non comporta – in una equilibrata visione degli interessi in campo – una “radicale” soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi la necessaria indicazione, nel “contratto madre”, delle condizioni economiche a cui sarà assoggettato il “contratto figlio” (in applicazione di tale principio, va respinto il ricorso della Banca che, sulla base della sola menzione di condizioni quadro, generali ed astratte, contenute nel contratto di conto corrente, senza la previsione di regole relative alla parte economica, ha chiesto di considerare valido il contratto di apertura di credito, concluso per facta concludentia).
Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 22-11-2017, n. 27836 (CED Cassazione 2017)
FATTI DI CAUSA
1.La Corte d’appello di Napoli ha accolto l’impugnazione proposta dai signori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la (OMISSIS) SpA (d’ora in avanti, semplicemente (OMISSIS)), riguardante la sentenza del Tribunale di quella stessa città che aveva disatteso le domande di condanna della Banca convenuta al pagamento di una somma corrispondente a quella oggetto di pegno (risultante dal controvalore della gestione patrimoniale relativa ad un portafoglio di investimento), agli interessi ed al maggior danno, accogliendole pressochè pienamente e così disponendo la restituzione di quanto realizzato con il pegno, oltre agli interessi legali (escluso il maggior danno) e le spese del doppio grado di giudizio.
- Gli attori-appellanti, infatti, avevano garantito l’apertura di credito di una maggior somma, concessa dalla Banca alla società (OMISSIS) srl, rispetto alla quale la (OMISSIS) – dopo pochi anni – aveva revocato l’affidamento, richiesto vanamente la copertura dell’esposizione debitoria e quindi proceduto all’incasso delle somme corrispondenti ai titoli oggetto di pegno.
2.1. Secondo la Corte territoriale, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice (e per quello che ancora rileva in questa sede): a) il contratto di apertura di credito, concluso tra la società garantita e la banca, cui era collegato il contratto di pegno sui valori mobiliari di loro proprietà, non essendo redatto in forma scritta, come richiesto dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, art. 117 era nullo; b) in ragione del menzionato collegamento negoziale e l’interdipendenza tra i titoli, la nullità veniva a colpire anche il contratto di pegno; c) la nullità dichiarata non poteva essere esclusa in ragione del giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Napoli n. 5312 del 2007 in quanto non solo la sentenza riguardava i rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) srl ma essa aveva considerato invalido il solo contratto di conto corrente, non quello di apertura di credito.
3.Avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidato ad un unico motivo di censura, articolato in due profili ed illustrato anche con memoria, contro cui hanno resistito i sigg. (OMISSIS) e (OMISSIS), con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo profilo dell’unico complesso motivo del ricorso [violazione e falsa applicazione degli artt. 3, co. 3, L. n. 154 del 1992 e 117 TUB nonché 1327 e 2909 cod. civ. (art. 360 n. 3, cod. proc. civ.); difetto di motivazione ed omessa e falsa considerazione di prove documentali acquisite su punti decisivi della controversia (art. 360 n. 5, cod. proc. civ.)] la Banca ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha affermato la nullità del contratto di apertura di credito per difetto della forma scritta in quanto, nel contratto di conto corrente bancario, all’art. 8 delle norme contrattuali espressamente approvate per iscritto, vi era il chiaro riferimento all’apertura di credito.
1.1.Secondo (OMISSIS), premesso che a seguito della Delib. CICR 4 marzo 2003, adottata ai sensi dell’art. 117, 2° co., TUB, e dell’art. 3, 3° co., L. n. 154 del 1992, la forma scritta del contratto non sarebbe obbligatoria per le prestazioni e i servizi effettuati in esecuzione di previsioni contenute in precedenti contratti redatti per iscritto, così come affermato anche dalla SC con la sentenza n. 14470 del 2005, sarebbe evidente l’errore della Corte territoriale che non si sarebbe avveduta che il contratto di apertura di credito, in quanto richiamato da quello di conto corrente, non aveva bisogno della forma scritta ma si era perfezionato per facta concludentia, ossia sulla base della richiesta della (OMISSIS) e la conseguente esecuzione intrapresa dalla Banca (che sulla richiesta aveva messo a disposizione la somma richiesta dalla società garantita).
- Con il secondo profilo del detto mezzo (OMISSIS) si duole del travisamento del giudicato esterno esaminato nella sentenza in quanto – in disparte l’erroneità della considerazione sul fatto che esso non riguardava le stesse parti dei due giudizi – la decisione invocata non avrebbe escluso la validità sia del contratto di conto corrente che di quello di apertura di credito.
- Per ragioni di comodità espositiva la trattazione del secondo profilo del mezzo deve precedere quella del primo.
3.1. E tale profilo si palesa del tutto inammissibile, perchè – come questa Corte ha già affermato (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 15737 del 2017) “nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione.”.
3.2. Nel caso in esame vi è, da un lato, l’affermazione del ricorrente circa il fatto che, con quel giudicato esterno, si sarebbe pervenuti alla dichiarazione di invalidità non solo del contratto di conto corrente (sottoscritto dalla società (OMISSIS) srl con la (OMISSIS)), ma anche del negozio di apertura di credito inter partes e, dall’altro, quella del resistente che esclude radicalmente che il dictum giudiziale abbia riguardato (e la sentenza si sia soffermata su) l’invalidità del contratto di apertura di credito.
3.3. Era, pertanto, decisivo che il mezzo fosse sostenuto da un’autosufficiente esposizione, dimostrativa del testo oggetto di discussione tra le parti, che invece è mancata, con le conseguenze anzidette.
- Il primo profilo del motivo è, invece, infondato.
4.1. È bensì vero che questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui, “in materia di disciplina della forma dei contratti bancari, la L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e, successivamente, l’art. 117, comma 2, t.u.l.b., nella parte in cui dispongono che il C.I.C.R. può prevedere che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, possono essere stipulati in forma diversa da quella scritta, attribuiscono a detto Comitato interministeriale il potere – da questo conferito alla (OMISSIS) – di emanare disposizioni che integrano la legge e, nei limiti dalla stessa consentiti, possono derogarvi e che, perciò, costituiscono norme di rango secondario, la cui legittimità non è esclusa dalla mancata indicazione delle motivate ragioni tecniche della deroga, dovendo l’onere della motivazione ritenersi adempiuto mediante l’indicazione del tipo di contratto e la precisazione che esso deve riferirsi ad operazioni e servizi già individuati e disciplinati in contratti stipulati per iscritto.
(Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittime le disposizioni (….) in forza delle quali il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere stipulato per iscritto, a pena di nullità)” (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 14470 del 2005).
4.2. È però altrettanto vero che tale principio deve essere correttamente inteso perchè, com’è stato precisato, anche successivamente da questa stessa sezione, “l’intento di agevolare “particolari modalità della contrattazione” non (può) comportare – in una equilibrata visione degli interessi in campo (…) – una “radicale” soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi (..) la necessaria indicazione delle condizioni economiche del contratto ospitato” (Cass. Sez. 1, sent. n. 9068 del 2017; e si veda altresì Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 7763 del 2017 che ha respinto il ricorso incidentale formulato da una banca, avendo il giudice di merito rilevato la carenza sia di una stretta connessione funzionale ed operativa tra il contratto di apertura di credito e quello di conto corrente, sia di una sostanziale regolamentazione del contratto accessorio desumibile da quello formato per iscritto).
4.3. Nella specie, infatti, la Banca ricorrente richiama ed allega un testo contrattuale inter partes (riportato a p. 13 del ricorso) dalla lettura del quale non emerge alcun regolamento economico dell’ipotetico contratto di apertura di credito, ivi previsto solo come possibile, se non l’indicazione di condizioni quadro, generali ed astratte, che la Banca s’impegnava a seguire (ed il cliente a osservare) in caso di stipula di un’apertura di credito successiva con C lo stesso sottoscrittore del conto corrente bancario.
4.4. In sostanza, ed in tal senso, va integrata la motivazione reiettiva contenuta nella sentenza impugnata, ove risulta solo una generica indicazione delle condizioni normative senza alcuna specificazione del regolamento economico, cosicchè il richiamo appare del tutto lontano dall’interpretazione corretta del principio, enunciato da questa stessa sezione con il richiamato precedente del 2005 (e attualizzato dai più recenti arresti del 2017), sicchè il ricorso deve essere respinto con le conseguenze di legge.
- Il secondo aspetto del secondo profilo (il richiamo ai provvedimenti ministeriali) resta assorbito dalla reiezione del primo.
- In conclusione, il ricorso va respinto sulla base del seguente principio di diritto:
in materia di disciplina della forma dei contratti bancari, la L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e, successivamente, l’art. 117, comma 2, t.u.l.b., abilita la (OMISSIS), su conforme Delib. del CICR, a stabilire che “particolari contratti” possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicchè quanto da queste autorità stabilito c (OMISSIS)a la non necessità della forma scritta “in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto” deve essere inteso nel senso che l’intento di agevolare “particolari modalità della contrattazione” non comporta – in una equilibrata visione degli interessi in campo – una “radicale” soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi la necessaria indicazione, nel “contratto madre”, delle condizioni economiche a cui sarà assoggettato il “contratto figlio” (in applicazione di tale principio, va respinto il ricorso della Banca che, sulla base della sola menzione di condizioni quadro, generali ed astratte, contenute nel contratto di conto corrente, senza la previsione di regole relative alla parte economica, ha chiesto di considerare valido il contratto di apertura di credito, concluso per facta concludentia).
6.1. La ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
6.2. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte della ricorrente società (non anche della rinunciante Banca), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. I, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, che liquida – in favore dei resistenti, in solido – in complessivi Euro 6.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. I, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della la sezione civile, il 10 ottobre 2017.