Ordinanza 27900/2017
Risoluzione del contratto – Rapporto tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione
La disciplina dell’accessione ex art. 936 c.c. richiede, per la propria applicazione, che i soggetti coinvolti siano fra loro terzi e, cioè, non legati da un vincolo contrattuale, dovendosene escludere l’operatività ove, al contrario, l’attività costruttiva costituisca non già l’esercizio di un diritto, ma l’adempimento di un’obbligazione, nel qual caso la risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte determina l’insorgere di un obbligo restitutorio, ex art. 1458 c.c.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 23 novembre 2017, n. 27900 (CED Cassazione 2017)
Art. 1458 cc (Risoluzione per inadempimento) – Giurisprudenza
RILEVATO CHE:
è stata impugnata la sentenza n. 393/2013 della Corte di Appello di Messina con ricorso fondato su un motivo e resistito con controricorso delle parti intimate;
giova, anche al fine di una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogare, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue;
la gravata decisione della Corte territoriale, nella fattispecie, dichiarava che gli effetti della risoluzione dei contratti inter partes dovevano essere disciplinati ex art. 1458 c.c. e non art. 936 c.c.;
in particolare, nella sostanza, la questione per cui si controverte e per quanto rileva nel presente giudizio è costituita dalla qualificazione dell’ “attività costruttiva” come adempimento di obbligazione contrattuale con conseguente applicabilità dell’art. 1458 c.c. – ovvero esercizio di un diritto comportante, quindi, l’applicazione dell’art. 936 c.c..
Il P.G. ha rassegnato, come da atti, le proprie conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. con ordinanza in camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.
CONSIDERATO CHE:
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione degli artt. 936 e 1458 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nonchè contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Quanto alla doglianza relativa alla pretesa carenza motivazionale della gravata decisione il motivo è inammissibile poichè presuppone come ancora esistente (ed applicabile nella concreta fattispecie) il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza nei termini in cui esso era possibile prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 apportata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, essendo viceversa denunciabile soltanto l’omesso esame di uno specifico fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, rimanendo – alla stregua della detta novella legislativa – esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. civ., SS.UU., Sent. n. 8053/2014).
In ordine al preteso vizio di violazione di legge deve osservarsi quanto segue.
L’art. 936 c.c. trova applicazione solo quando l’opera edilizia per cui si controverte sia stata realizzata da un soggetto che sia effettivamente terzo del tutto estraneo ad ogni rapporto e, quindi, non quando sia stato preesistente un contratto di poi venuto meno – come nella fattispecie – inter partes.
Secondo il condiviso orientamento, da tempo affermato da questa Corte (Cass. civ. Sez. Seconda, Sent. 19 gennaio 2012, n. 740; 31 gennaio 2012, n. 1378) l’invocata applicabilità dell’art. 936 c.c. è possibile solo in assenza di un vincolo contrattuale con esclusione della sua applicabilità anche nel caso di attività costruttiva realizzata in adempimento di una obbligazione contrattuale col conseguente effetto delle dovute restituzioni ex art. 1458 c.c..
In altre parole, come ben affermato dalla Corte territoriale, quando l’attività costruttiva costituisca non già l’esercizio di un diritto, ma l’adempimento di una obbligazione, la risoluzione del “contratto che ne costituisce la fonte determina l’insorgere di un obbligo restitutorio ai sensi dell’art. 1458 c.c.”.
Tale principio, per di più, è stato ulteriormente ribadito da Cass. 21 giugno 2013, n. 15705.
Il motivo in esame non può, dunque, essere accolto.
2.- Il ricorso va, pertanto, rigettato.
3.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna la Curatela ricorrente al pagamento in favore delle parti contro ricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 18 maggio 2017.