Ordinanza 28160/2017
Appalto di opere pubbliche – Sospensione dei lavori – Presupposti e condizioni – Esigenze pubbliche non previste né prevedibili
In tema di appalto di opere pubbliche, “le ragioni di pubblico interesse o necessità” che ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 1063 del 1962, legittimano l’ordine di sospensione dei lavori, devono consistere in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste né prevedibili dall’Amministrazione con l’uso dell’ordinaria diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza della stessa P.A.
Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 24 novembre 2017, n. 28160 (CED Cassazione 2017)
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1981/2012, depositata il 16 aprile 2012, accogliendo parzialmente gli appelli della (OMISSIS) s.p.a. e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e disattendendo il gravame incidentale proposto dal Comune di Lentini, ha parzialmente riformato la decisione n. 44961/2002, con la quale il Tribunale di Roma aveva condannato il Comune di Lentini ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in solido, al pagamento dell’importo di Euro 1.997.592,10, oltre interessi legali, in favore della (OMISSIS) s.p.a., in relazione alle riserve formulate con riferimento al contratto di appalto stipulato tra l’ente locale e la predetta società in data 4 aprile 1980;
per la cassazione della pronuncia di appello ha proposto ricorso principale il Comune di Lentini, nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sulla base di due motivi;
la resistente (OMISSIS) s.p.a. ha replicato con controricorso e con memoria;
l’intimato Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, pur non essendosi costituito formalmente con controricorso, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.;
il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il Comune di Lentini censura l’impugnata sentenza anzitutto (punto 2) per avere posto a fondamento del rigetto l’eccessiva durata delle sospensioni, senza distinguere, al riguardo, tra sospensioni determinate da “cause di forza maggiore”, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, art. 30, comma 1, e sospensioni determinate da “ragioni di pubblico interesse o necessità”, laddove dai due diversi tipi di sospensione discenderebbero conseguenze diverse sul piano delle pretese economiche che l’appaltatore potrebbe – in ipotesi avanzare;
il ricorrente si duole, poi, del fatto che la Corte territoriale (punto 3) abbia imputato al Comune di Lentini il ritardo nel richiedere il nulla osta alla Sovrintendenza dei beni culturali, a seguito del ritrovamento di importanti reperti archeologici nel corso dei lavori, e di avere omesso di effettuare la preventiva indagine del sottosuolo;
Rilevato che:
la vicenda per cui è causa trae origine da un contratto di appalto stipulato tra la (OMISSIS) ed il Comune di Lentini in data 4 aprile 1980, avente ad oggetto la realizzazione della rete idrica e fognaria comunale, a seguito del quale l’esecuzione dei lavori andava incontro a notevoli difficoltà che davano luogo ad un giudizio arbitrale, conclusosi con l’emanazione del lodo in data 5 giugno 1985, impugnato dal Comune di Lentini dinanzi alla Corte d’appello di Catania;
il 20 aprile 1988 veniva, peraltro, stipulato tra le parti un atto di transazione cui faceva seguito, il 25 giugno 1989, una nuova – dopo la prima avvenuta il 18 dicembre 1979 – consegna dei lavori all’impresa appaltatrice;
tali lavori, che avrebbero dovuto essere eseguiti in due anni, terminavano, invece, solo il 30 novembre 1998;
Considerato che:
l’impugnata sentenza, a fronte del suesposto svolgimento dei fatti, che evidenziava un’abnorme durata della fase di esecuzione dei lavori, ha rilevato che la norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, art. 30, comma 2, invocata dall’ente pubblico non poteva trovare applicazione, essendo la protrazione della sospensione dei lavori per un periodo eccessivo, come indicato dal consulente tecnico d’ufficio, ascrivibile a responsabilità del Comune, per non avere il medesimo predisposto le misure necessarie ad ovviare a situazioni prevedibili con l’uso dell’ordinaria diligenza ed, in particolare, per non essersi attivato per acquisire il nulla osta della Sovrintendenza – che avrebbe consentito una più rapida ripresa dei lavori – e per avere omesso una preventiva indagine nel sottosuolo, dalla quale si sarebbe potuto rilevare la presenza di reperti archeologici nell’area interessata dai lavori;
Ritenuto che:
la Corte d’appello si sia conformata, al riguardo, all’insegnamento di questa Corte, secondo cui, in tema di appalto di opere pubbliche, “le ragioni di pubblico interesse o necessità” che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 1063 del 1962, art. 30, comma 2, legittimano l’ordine di sospensione dei lavori, vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste nè prevedibili dall’Amministrazione con l’uso dell’ordinaria diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell’Amministrazione medesima (Cass. 25/10/2012, n. 18239; Cass. 22/07/2004, n. 13643);
pertanto, debba considerarsi inadempiente all’obbligo di consentire l’esecuzione dei lavori il Comune che abbia stipulato il contratto omettendo una preventiva attività d’indagine in relazione al sottosuolo archeologico ed abbia sospeso i lavori lasciando decorrere un tempo irragionevole prima di rilevare l’impraticabilità di ogni progetto di esecuzione degli stessi nella zona, per l’esistenza di testimonianze archeologiche, dovendosi escludere che la causa della sospensione sia qualificabile come forza maggiore, costituita, quale “factum principis”, dal denegato nulla osta della Soprintendenza, assumendo rilievo la colpa dell’amministrazione nella mancata attività d’indagine e di accertamento (Cass. 10/05/2005, n. 9795);
di conseguenza, in ipotesi di sospensione dei lavori disposta come nella specie – solo per ovviare al proprio comportamento negligente per la mancata predisposizione delle misure necessarie a rimediare ad una situazione prevedibile con l’ordinaria diligenza, l’Amministrazione – che non si avvalga, per difetto dei presupposti, della facoltà di disporre la risoluzione unilaterale o la rescissione d’ufficio del contratto d’appalto, o l’esecuzione dei lavori ineseguiti in danno dell’appaltatore sia tenuta a risarcire quest’ultimo per i danni subiti per la illegittima protrazione della durata dei lavori (Cass. 08/06/2007, n. 13509);
per le ragioni suesposte, non sia pertanto ravvisabile, nella specie, la dedotta violazione del disposto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1083 del 1962, art. 30 per cui la doglianza debba essere disattesa;
Considerato che:
con il secondo motivo di ricorso – denunciando il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis) – il Comune di Lentini si duole del fatto che la Corte territoriale, nel respingere l’appello dell’ente pubblico, abbia omesso di considerare che la sospensione dei lavori ordinata il 13 dicembre 1990, era stata disposta “a seguito di un evento sismico e della sopravvenuta necessità di deviare per un certo tratto il torrente (OMISSIS), a causa del restringimento delle sezioni della galleria artificiale evidenziatosi in fase esecutiva”;
la Corte d’appello sarebbe, pertanto, pervenuta alla decisione di escludere la violazione del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, art. 30, comma 2, senza tenere in considerazione alcuna tali eventi del tutto imprevedibili per la stazione appaltante;
Ritenuto che:
contrariamente all’assunto del ricorrente, la decisione di appello – sia pure in maniera sintetica e stringata – abbia motivato sul punto, in conformità al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis), avendo la Corte chiaramente ricondotto – sul piano generale, ivi compresa, quindi, la sospensione del 13 dicembre 1990 – l’abnorme durata dell’esecuzione dei lavori, “per i lunghi periodi indicati dal consulente tecnico ing. (OMISSIS)”, ad esclusiva responsabilità del Comune;
il giudice del merito non sia tenuto a fornire un’argomentata e dettagliata motivazione, laddove aderisca alle elaborazioni del consulente ed esse non siano state contestate in modo specifico dalle parti, mentre, ove siano state sollevate censure dettagliate e non generiche, abbia l’obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle specifiche critiche sollevate, corredando con una più puntuale motivazione la propria scelta di aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio (Cass. 19/06/2015, n. 12703; Cass. 20/05/2005, n. 10668);
nel caso di specie, peraltro, il ricorrente non abbia neppure dedotto – con autosufficiente allegazione – di avere proposto specifiche e dettagliate osservazioni alla c.t.u. sul punto in questione, sottoponendole al giudice di appello;
la censura debba, pertanto, essere disattesa;
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso incidentale, la (OMISSIS) s.p.a. – denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1226 e 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – censura l’impugnata sentenza per avere la Corte d’appello applicato, con riferimento alle diverse voci di danno riconosciute, un indice Istat inferiore a quello corrente nel periodo in questione, e per avere applicato alla fattispecie gli interessi al tasso legale, anzichè quelli previsti per le transazioni commerciali dal Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, o comunque un tasso che tenga conto della natura imprenditoriale dell’attività svolta dalla ricorrente;
Ritenuto che:
per quanto concerne la rivalutazione monetaria, in tema di liquidazione del danno, fuori dai casi in cui è obbligatoria, l’applicazione dei cosiddetti indici Istat nel calcolo della svalutazione monetaria sia rimessa alla prudente discrezionalità del giudice di merito e si sottragga al sindacato di legittimità, sotto il profilo dell’inosservanza dei limiti parametrici dei suddetti indici, tutte le volte in cui il giudice di merito abbia adeguatamente giustificato la misura adottata della svalutazione monetaria, facendo riferimento ad un necessario criterio equitativo (Cass. 11/05/2007, n. 10839);
nel caso di specie, la determinazione dell’indice Istat, operata dalla Corte territoriale in relazione alle diverse epoche di verificazione del danno sofferto dall’impresa, anche tenendo conto di quanto rilevato, al riguardo, dal c.t.u., non possa, pertanto, costituire oggetto di censura in questa sede;
d’altro canto, l’erronea applicazione degli indici Istat di rivalutazione monetaria, ai quali il giudice di merito abbia fatto riferimento per la liquidazione di un danno derivante da illecito extracontrattuale, possa costituire oggetto di ricorso per cassazione, non come violazione di legge a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come ha fatto la ricorrente nella specie, ma solo sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 28/03/2001, n. 4504);
quanto agli interessi, la Corte d’appello abbia correttamente applicato il disposto dell’art. 1224 c.c., che prevede la liquidazione degli interessi al tasso legale, nè risulta che la (OMISSIS) – come si desume dalla domanda trascritta nel controricorso (pp. 9 e ss.) – abbia richiesto in giudizio l’applicazione del diverso tasso di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2002; la censura debba, di conseguenza, essere rigettata;
Considerato che:
il secondo motivo di ricorso – con il quale, denunciando sostanzialmente un’omissione di pronuncia – la (OMISSIS) lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, di pagamento del saldo lavori, per l’importo di Euro 162.373,34, a titolo di importi regolarmente contabilizzati e fatturati, e tuttavia non corrisposti all’impresa appaltatrice;
Ritenuto che:
affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, sia necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività (Cass. 16/04/2003, n. 6055; Cass. 04/03/2013, n. 5344), anche ai fini della verifica dell’eventuale formazione del giudicato interno su tale domanda o eccezione;
Rilevato che:
nel caso concreto, la (OMISSIS) non deduce in alcun modo, nel motivo di ricorso in esame, di avere riproposto la domanda di pagamento del saldo lavori anche nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c..
Ritenuto che:
di conseguenza, sia il ricorso principale che quello incidentale debbano essere rigettati;
concorrano giusti motivi, tenuto conto dell’esito finale del giudizio, per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incide integralmente le spese del presente giudizio. Doppia contribuzione per legge.
Così deciso in Roma il 28/06/2017.