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Cassazione Civile 28221/2017 – Caparra confirmatoria – Risoluzione del contratto per diffida ad adempiere – Richiesta di ritenzione della caparra o di restituzione del doppio

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Ordinanza 28221/2017

Caparra confirmatoria – Risoluzione del contratto per diffida ad adempiere – Richiesta di ritenzione della caparra o di restituzione del doppio

La risoluzione per diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui si stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 27 novembre 2017, n. 28221

Art. 1454 cc (Diffida ad adempiere) – Giurisprudenza

Art. 1385 cc (Caparra confirmatoria) – Giurisprudenza

 

RILEVATO CHE:

È stata impugnata la sentenza n. 383/2013 della Corte di Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari, con ricorso fondato su due ordini di motivi e resistito dalla parte intimata.

Giova, anche al fine di una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogare, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

La Corte territoriale, con la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte, riformava parzialmente la decisione del Giudice di prime cure e dichiarava il diritto della parte oggi intimata, (OMISSIS), a ritenere la pattuita caparra. Tanto all’esito del giudizio di merito sorto con citazione del (OMISSIS) Che aveva agito per ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare di vendita di un terreno della (OMISSIS) (odierna ricorrente).

Il giudizio, va – per completezza – rilevato, era stato definito in primo grado dall’adito Tribunale di Sassari – Sezione Distaccata di Alghero con la declaratoria di risoluzione e l’affermazione della insussistenza del diritto alla ritenzione della caparra.

Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., con ordinanza in Camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.

È stata depositata memoria dalla parte ricorrente.

CONSIDERATO CHE:

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione ed errata applicazione di norme in diritto ex artt. 1454 e 1385 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo si sostanza, in buona parte, nella narrazione dei fatti di causa ed, in particolare, sofferma sulla motivazione con cui il Giudice di secondo grado, pretesamente violando le suddette invocate norme, non ha condiviso la motivazione della decisione del Tribunale di primo grado che, come accennato, aveva escluso la possibilità di ritenzione, nella fattispecie, della caparra.

Il motivo non può essere accolto.

Parte ricorrente, innanzitutto, non esplicita con dovuta specificazione quale principio sarebbe stato violato con la decisione impugnata in ordine allà questione sottesa, in punti, ovvero alla nota natura della caparra, alla sua funzione di determinazione anticipata del ristoro in caso di altrui inadempimento ed ai correlati effetti dell’esercizio dell’azione di risoluzione.

La Corte Distrettuale, rifacendosi alla più recente e qui ribadita e condivisa interpretazione di questa Corte, ha optato per una soluzione differente rispetto a quella cui aveva fatto ricorso il Tribunale di prima istanza rigettando l’istanza di ritenzione della caparra sulla scorta di pregresso, ma superato orientamento giurisprudenziale (Cass. 23 agosto 2007, n. 17923).

La soluzione della Corte territoriale è corretta.

Essa si fonda sul noto orientamento per cui “la risoluzione per diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui si stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio” (Cass. civ., Sez. Terza, sent. 28 febbraio 2012, n. 2999).

Va rilevato, per inciso, che tale ultima citata decisione di questa Corte si poneva in continuità con i principi già enunciati dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 553/2009, secondo cui “…..il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento gravemente colpevole ” e “….la caparra costituisce liquidazione anticipata, convenzionale, forfettaria del risarcimento del danno”.

Il motivo qui in esame, in quanto infondato, va dunque respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione per omessa e insufficiente motivazione su fatto controverso decisivo per il giudizio ai fini dell’esercizio del diritto di recesso con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il motivo è del tutto inammissibile.

Nell’ipotesi trova applicazione – ratione temporis – l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Tale norma deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici, dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata e prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta della motivazione anche sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della “sufficienza” della motivazione (Cass. civ., S.U. 8053/2014 e Cass. n. 14324/2015).

3.- Il ricorso va, quindi, rigettato.

4.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come da dispositivo.

5.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 7 giugno 2017.