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Cassazione Civile 28233/2017 – Appalto – Rovina e difetti di cose immobili – Responsabilità del costruttore

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Sentenza 28233/2017

Appalto – Rovina e difetti di cose immobili – Responsabilità del costruttore – Disciplina applicabile

La responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. ha natura non contrattuale, derivando da un fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico, ex art. 1173 c.c. ed è, pertanto, esclusivamente a tale disciplina – e non alle norme generali dettate in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, ex artt. 1453 ss. c.c. – che occorre fare riferimento in caso di rovina e difetti di immobili, anche laddove l’opera appaltata non sia stata ultimata.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 27 novembre 2017, n. 28233   (CED Cassazione 2017)

Art. 1669 cc (Rovina e difetti di cose immobili) – Giurisprudenza

Art. 1453 cc (Risolubilità del contratto per inadempimento) – Giurisprudenza

 

 

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione notificato il 25 gennaio 1999, i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano dinanzi al Tribunale di Cagliari la (OMISSIS) s.n.c. e il Geom. (OMISSIS), esponendo che:

  1. a) essi erano proprietari di un immobile in (OMISSIS), in catasto al f. (OMISSIS) mapp. (OMISSIS), edificato in base a regolare concessione edilizia;
  2. b) avevano incaricato della progettazione e direzione dei lavori di costruzione il geom. (OMISSIS), il quale aveva affidato la materiale esecuzione dell’opera, svoltasi in totale loro assenza in quanto residenti in (OMISSIS), alla (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS);
  3. c) avevano notato la comparsa di lesioni sulle murature dell’immobile, considerate dal geometra (OMISSIS) di semplice assestamento;
  4. d) allarmati dalla progressione delle stesse, avevano proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo in data 22 gennaio 1998, all’esito del quale il consulente nominato aveva rilevato la sussistenza di gravissimi difetti incidenti sulle strutture portanti dell’immobile, ascrivendo la loro causa a difetti di progettazione e di esecuzione;
  5. e) avevano commissionato, nel giugno del 1998, all’ing. (OMISSIS) un progetto di manutenzione e consolidamento statico e, di seguito, eseguito i relativi lavori, costati Lire 25.880.992, oltre iva, sussistendo pericolo di crollo dell’edificio;
  6. f) avevano corrisposto, inoltre, Lire 6.040.875 per la direzione dei lavori e Lire 2.757.335 per la progettazione.

Gli attori chiedevano, pertanto, la condanna, anche in solido, dei convenuti al risarcimento di tutti i danni subiti per la somma minima di Lire 80.000.000 o per quella maggiore o minore che fosse risultata in corso di causa, oltre agli interessi legali e al danno da svalutazione monetaria.

La (OMISSIS) s.n.c. ed il (OMISSIS), costituitisi, contestavano la propria responsabilità ed in particolare entrambi eccepivano che:

1) gli attori erano incorsi nella decadenza e/o nella prescrizione di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c.;

2) i lamentati gravi difetti e il pericolo di crollo erano imputabili alle decisioni e istruzioni impartite dai (OMISSIS) – (OMISSIS), che avevano accettato l’opera fin dall’ottobre 1994 e avevano affidato il completamento dei lavori ad altra impresa;

3) i lavori interni dell’immobile ed il completamento del tetto erano stati affidati a terzi ed eseguiti senza che fossero state realizzate le opere statiche previste in progetto, ragione per la quale era stato impartito dallo stesso (OMISSIS) l’ordine di loro esecuzione e il divieto di realizzazione d’interventi non previsti e non autorizzati;

4) l’ordine di servizio era rimasto inosservato e nel settembre del 1996 il (OMISSIS) si era dimesso dall’incarico.

I convenuti sostenevano, inoltre, di non avere svolto attività come direttore dei lavori (il (OMISSIS)) e di avere eseguito solo le fondazioni e i muri portanti, mentre lo scavo era stato realizzato da terzi (la (OMISSIS) s.n.c.).

Entrambi concludevano per il rigetto delle avverse pretese e, in subordine, per l’accertamento del concorso di colpa degli attori ai sensi dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2.

Con sentenza n. 2871/2008 il Tribunale di Cagliari, accertata la responsabilità ex art. 1669 c.c. in capo ai convenuti, li condannava in solido al risarcimento dei danni cagionati agli attori, liquidati in complessivi Euro 39.328,00, oltre interessi in misura legale dalla decisione al saldo, nonchè alla rifusione delle spese processuali dell’accertamento tecnico preventivo e della causa di merito.

Contro tale decisione proponevano separati appelli il (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.n.c..

In entrambi i giudizi si costituivano i coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), che contestavano il fondamento delle impugnazioni, di cui chiedevano il rigetto.

Riunite le cause, la Corte di Appello di Cagliari, con sentenza del 17.2.2012, rigettava l’appello proposto dal (OMISSIS) ed accoglieva per quanto di ragione quello della (OMISSIS) s.n.c., per l’effetto, condannava quest’ultima al risarcimento dei danni nella minor misura di Euro 30.892,53, il tutto sulla base, per quanto ancora qui rileva, delle seguenti considerazioni:

1) i coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) avevano dedotto un’ipotesi di responsabilità di natura extracontrattuale, avendo lamentato l’esistenza di vizi di progettazione e di esecuzione che avevano gravemente compromesso la statica dell’edificio;

2) l’ambito di applicazione dell’art. 1669 c.c. andava esteso al costruttore con autonomia gestionale (nel caso di specie, la (OMISSIS) s.n.c., la quale non aveva agito – nella realizzazione del grezzo dell’edificio – come nudus minister nè aveva provato di aver segnalato l’eventuale inesigibilità del progetto o la necessità di variazioni), nonchè al progettista e al direttore dei lavori (nel caso di specie, il geom. (OMISSIS));

3) l’affermazione degli appellanti in ordine all’avvenuta assunzione diretta dell’esecuzione dei lavori da parte del (OMISSIS) non aveva trovato riscontro negli atti, con la conseguenza che era privo di fondamento il dedotto concorso dei danneggiati, al pari dell’eccepito aggravamento delle conseguenze dannose;

4) anche a ritenere che lo scavo del rustico fosse stato realizzato da parte di terzi, la (OMISSIS) s.n.c. era responsabile per averlo utilizzato senza sollevare alcuna contestazione in ordine alla sua eventuale inadeguatezza rispetto alla costruzione da eseguire;

5) tenuto conto che la conoscenza dei gravi vizi (anche quanto alla loro effettiva natura ed alle relative cause) di cui all’art. 1669 c.c. (la cui applicabilità non era stata censurata) doveva ritenersi acquisibile solo a seguito del deposito della relazione tecnica in sede di a.t.p. (avvenuta nel maggio del 1998), erano state tempestive la denuncia dei vizi (avvenuta con ricorso per a.t.p. depositato il 22.1.1998) e la proposizione dell’azione di responsabilità (avvenuta con citazione notificata il 22.1.1999);

6) in ogni caso, anche a voler ritenere che gli appellati avessero acquisito conoscenza della causa dei vizi alla fine del 1996, la denuncia effettuata il 25.2.1997 si sarebbe rivelata tempestiva e l’azione, un volta interrotto il termine di cui all’art. 1669 c.c. con la notifica del ricorso per a.t.p. (avvenuta il 27.1.1998), sarebbe stata esercitata entro l’anno (risultando la citazione introduttiva del giudizio notificata il 25.1.1999);

7) i vizi lamentati erano riferibili sia ad un difetto di progettazione sia ad errata esecuzione del grezzo dell’edificio;

8) al momento della sospensione dei lavori il rustico era già stato ultimato e successivamente gli appellati avevano eseguito interventi concernenti solo le rifiniture, dal che l’irrilevanza del tempo trascorso dalla comparsa delle lesioni all’accertamento tecnico;

9) fondato si rivelava, invece, il motivo di doglianza, sollevato dalla sola (OMISSIS) s.n.c. (e, come tale, non estensibile al (OMISSIS)), concernente i costi di progettazione e di esecuzione dei lavori, dovendosi gli stessi quantificare nella minor somma di Euro 30.892,53.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), sulla base di sette motivi. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso. La (OMISSIS) s.n.c. non ha svolto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1667 e 1669 c.c., nonchè la omessa e contraddittoria motivazione in ordine all’applicabilità delle dette norme (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la corte territoriale ritenuto che egli non avesse censurato l’affermata (da parte del giudice di prime cure) applicabilità, alla fattispecie in esame, dell’art. 1669 c.c. e per non aver, comunque, condiviso le doglianze concernenti l’inosservanza dei termini di cui alla disposizione menzionata.

1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In primo luogo, non attinge l’effettiva ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata, la quale ha posto in rilievo (cfr. fine pag. 19 – inizio pag. 20 della sentenza) l’impostazione difensiva degli allora appellanti che, pur richiamando i termini per la denuncia dei vizi e per la proposizione della relativa azione di responsabilità di cui all’art. 1667 c.c., non avevano censurato l’ulteriore profilo dell’affermata applicabilità dell’art. 1669 c.c. per il tipo e per l’entità dei vizi allegati dagli attori e riscontrati dai consulenti d’ufficio, tali da aver compromesso la stessa statica dell’edificio.

In secondo luogo, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente omette di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente significativi, la comunicazione da lui resa per iscritto in data 25.7.1996, dalla cui lettura complessiva si sarebbe dovuto desumere, secondo il suo assunto, la conoscenza a quell’epoca, da parte dei committenti, delle lesioni, con conseguente decorrenza da allora del termine per la denunzia dei vizi.

In terzo luogo, fermo restando che nessuna violazione è configurabile degli artt. 1667 e 1669 c.c. (avendo la corte d’appello correttamente applicato quest’ultima norma e fattone derivare le conseguenze sul piano della tempestività della denuncia dei vizi e dell’esperimento dell’azione), come è noto, in base all’art. 360, comma 1, n. 5), nella precedente formulazione applicabile ratione temporis, il vizio deducibile deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo ad una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

In particolare, il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Sez. U, Sentenza n. 25984 del 22/12/2010; conf. Sez. 1, Sentenza n. 3270 del 18/02/2015).

Ciò debitamente premesso, nel caso di specie il ricorrente sollecita solo una differente rivalutazione del materiale probatorio, ribadendo in modo apodittico che si sarebbero dovuti applicare i termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1667 c.c. (cfr. pagg. 24-25 del ricorso, avuto riguardo al reiterato richiamo al termine di 60 giorni per la denuncia dei vizi) e che già nel mese di luglio del 1996 gli originari attori avrebbero acquisito un’apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei fatti.

D’altra parte, sul punto, la corte cagliaritana è stata inequivoca nell’evidenziare (cfr. pag. 21) che gli allora appellati, anche avendo, con la lettera del 25.7.1996, ricevuto rassicurazioni dal direttore dei lavori (nella persona del geom. (OMISSIS)), non fossero, all’epoca in cui avevano segnalato le prime fessurazioni sui muri, a conoscenza della effettiva natura dei vizi e delle relative cause.

Ad analoga conclusione la corte di merito è pervenuta (cfr. fine pag. 21) con riferimento alle contestazioni mosse nel febbraio del 1997.

1.2. Circa la valenza interruttiva a riconoscersi al ricorso depositato per l’a.t.p., la corte territoriale ha adeguatamente argomentato (cfr. pagg. 22-23 della sentenza), anche richiamando due precedenti giurisprudenziali specifici di questa Corte, l’affermazione, pur ribadendo che l’apprezzabile conoscenza delle cause dei vizi lamentati era stata acquisita solo successivamente con il deposito (avvenuto nel maggio del 1998) della relativa perizia.

  1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla valutazione della perizia di parte allegata all’atto d’appello (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la corte di merito omesso di valutare quanto riportato nella stessa e poi trascritto nell’atto di appello.

2.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello dell’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo (Cass. n. 19443/11). Tale affastellamento di profili impedisce di distinguere tra l’una e l’altra censura e di coglierne i rispettivi significati incasellandoli nei vizi di legittimità previsti dall’art. 360 c.p.c..

Inoltre, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi salienti, la perizia di parte, onde porre questa Corte nelle condizioni di valutare se effettivamente la sua lettura avrebbe condotto a ricostruire i fatti in modo differente da come riportato in sentenza.

In ogni caso, la corte d’appello ha chiaramente affermato (cfr. fine pag. 23 della sentenza) che, da un lato, la relazione di parte, sul piano probatorio, aveva la natura di mera esposizione di difese tecniche e, dall’altro lato, essendo stata quasi integralmente trasfusa nell’atto di appello, sarebbe stata presa in considerazione nell’analisi dei vari motivi di doglianza.

2.2. Per quanto concerne la censura relativa all’asserita realizzazione, ad opera dei committenti, di ulteriori lavori tra il momento della sospensione degli stessi e quello del rilascio della concessione per manutenzione straordinaria (avvenuta il 3.7.1997), se ne rileva la inammissibilità (non avendo il ricorrente trascritto l’a.t.p. e le lettere racc.te a/r del 25.7.1996 e del 14.9.1996, dai quali documenti sarebbe, secondo il suo assunto, emerso il compimento di siffatte ulteriori lavorazioni che avrebbero creato di fatto una situazione di insostenibile spinta sulle pareti perimetrali dell’edificio) e, comunque, la infondatezza (alla luce di quanto rilevato dalla corte d’appello a pag. 28 della sentenza).

  1. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1453 e 2226 c.c., nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente all’applicazione delle dette norme (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la corte locale escluso, senza fornire alcuna motivazione, l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1453 c.c. (in luogo dell’art. 1669 c.c.), nonostante l’opera non fosse stata completata, e dell’art. 2226 c.c., con i conseguenti termini di decadenza e di prescrizione, nonostante l’esecuzione di un progetto da parte di un tecnico rientrasse nell’ambito delle obbligazioni di risultato.

3.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In primo luogo, nel ribadire il rilievo di incompatibilità tra le censure attinenti alla mancanza, alla insufficienza ed alla contraddittorietà della motivazione (cfr. § 2.1.), la corte cagliaritana ha preso in considerazione, fornendo sui rispettivi aspetti una motivazione coerente sul piano logico-formale e corretta dal punto di vista giuridico, i seguenti profili:

  1. a) l’esecuzione di lavori in economia da parte dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) (cfr. pagg. 1718 della sentenza, secondo cui l’assunto non ha trovato riscontro in atti);
  2. b) l’inquadramento della fattispecie nell’ambito del contratto d’opera, anzichè in quello d’appalto (cfr. pag. 24 – soprattutto lettera b -, secondo cui la responsabilità dei convenuti-appellanti era da ricondurre a quella extracontrattuale prevista dall’art. 1669 c.c., il cui ambito è più ampio della disciplina dell’appalto), con conseguente invocabilità del regime delle decadenze e prescrizioni di cui all’art. 2226 c.c. (cfr. pag. 31, secondo cui, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, oltre a non spiegare alcun rilievo la disciplina dettata dagli artt. 2226 c.c. e ss., si rivelava ininfluente la natura dell’obbligazione – se di risultato o di mezzi -).

Senza tralasciare, quanto al profilo sub b), che le disposizioni dell’art. 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per vizi dell’opera, sono inapplicabili alla prestazione d’opera intellettuale, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori, ovvero l’uno e l’altro compito, attesa l’eterogeneità della prestazione rispetto a quella manuale, cui si riferisce l’art. 2226 c.c., norma che perciò non è da considerare tra quelle richiamate dall’art. 2230 c.c.; pertanto, si deve escludere che il criterio risolutivo ai fini dell’applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione – priva di incidenza sul regime di responsabilità del professionista – fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato: e ciò tenuto conto anche della frequente commistione, rispetto alle prestazioni professionali in questione, delle diverse obbligazioni in capo al medesimo o a distinti soggetti in vista dello stesso scopo finale, a fronte della quale una diversità di disciplina normativa risulterebbe ingiustificata (cfr. Sez. U, Sentenza n. 15781 del 28/07/2005, che pose fine ad un contrasto di orientamenti; conf. Sez. 2, Sentenza n. 5091 del 09/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 28575 del 20/12/2013; Sez. 3, Sentenza n. 12871 del 22/06/2015).

3.2. Avuto riguardo all’asserita applicabilità dell’art. 1453 c.c., in luogo dell’art. 1669 c.c., in caso di opera incompleta, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è senz’altro quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 c.c., laddove la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti (cfr., fra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 8103 del 06/04/2006, Sez. 2, Sentenza n. 13983 del 24/06/2011 e Sez. 2, Sentenza n. 1186 del 22/01/2015).

Questo indirizzo è stato poi, nel corso degli anni, tralaticiamente esteso anche all’ipotesi di rovina e difetti di cose immobili disciplinata dall’art. 1669 c.c. (Sez. 2, Sentenza n. 10255 del 16/10/1998; Sez. 2, Sentenza n. 9849 del 19/06/2003; Sez. 2, Sentenza n. 9333 del 17/05/2004). Alla luce di tale ampliamento, il principio che si legge scolpito nelle massime è il seguente: “Le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (artt. 1667, 1668 e 1669 c.c.) integrano, ma non escludono, l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell’appaltatore ex artt. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue interamente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell’opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, nel caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera”.

In definitiva, si è formato il diffuso convincimento secondo cui, in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c., indifferentemente intese, integrino – senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni (cfr., in tal senso, Sez. 2, Sentenza n. 4446 del 20/03/2012).

Anche di recente questa Corte ha ribadito che l’ambito della responsabilità, posta dall’art. 1669 c.c. a carico dell’appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale (Sez. 2, Sentenza n. 4319 del 04/03/2016) o, comunque, della responsabilità non contrattuale (trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale), con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 c.c. (Sez. U, Sentenza n. 2284 del 03/02/201) e sancita per ragioni e finalità di interesse generale (Sez. 2, Sentenza n. 7634 del 31/03/2006).

In proposito, è opportuno evidenziare che la responsabilità per fatto lecito dannoso non ha carattere eccezionale, poichè l’espressione “ordinamento giuridico” che accompagna, nell’art. 1173 c.c., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, ossia quelle che derivano “da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, non si risolve in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti nominate (diverse dal contratto o dal fatto illecito), ma consente un’apertura all’analogia, ovvero alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall’ordinamento considerato nella sua interezza, complessità ed evoluzione (cfr., in tal senso, Sez. 2, Sentenza n. 25292 del 16/12/2015). È in questo contesto normativo che, a ben vedere, sono situabili le obbligazioni derivanti, nell’ambito di un rapporto di appalto, dalla rovina di cose immobili.

La disciplina generale dettata in tema di risoluzione del contratto per inadempimento è integrata solo dalle disposizioni contenute negli artt. 1667 e 1668 c.c. sul piano della comune responsabilità contrattuale (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 1186 del 22/01/2015).

Ma, allora, da tale inquadramento deriva, come necessario corollario logico, che le norme generali dettate in tema di risoluzione contrattuale per inadempimento dagli artt. 1453 c.c. e ss. non sono tout court estensibili alla fattispecie disciplinata dall’art. 1669 c.c..

Ulteriore conseguenza del predetto inquadramento giuridico è rappresentata dal fatto che quest’ultima disposizione è applicabile anche nel caso, come quello in esame, in cui l’opera commissionata non sia stata portata a termine.

Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: “La responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura non contrattuale, derivando, ex art. 1173 c.c., da un fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico; da ciò consegue che, nel caso in cui l’opera appaltata non venga ultimata, non trovano applicazione le norme dettate in tema di risoluzione del contratto per inadempimento dagli artt. 1453 c.c. e ss., dovendosi far riferimento in via esclusiva all’art. 1669 c.c.”.

La corte d’appello, sia pure con motivazione concisa (cfr. pag. 24, lettera c, della sentenza qui impugnata), ha fatto corretta applicazione del ricostruito principio.

  1. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla valutazione delle risultanze processuali, costituite dal fatto che dalla c.t.u. e dall’a.t.p. era risultato che le lesioni fossero da attribuire sul piano eziologico a lui, per non aver la corte territoriale considerato che le perizie d’ufficio avevano attribuito in maniera acritica le dette lesioni senza porre in essere alcuna verifica in concreto.

4.1. Il motivo si rivela inammissibile.

Va preliminarmente ribadito il rilievo avente ad oggetto la sovrapposizione incompatibile delle censure concernenti la mancanza, la insufficienza e la contraddittorietà della motivazione (cfr. § 2.1.).

Inoltre, il principio secondo il quale nel giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi trova applicazione anche con riferimento alle contestazioni mosse alla consulenza tecnica e per esse alla sentenza che le abbia recepite, con la conseguenza che dette contestazioni costituiscono ammissibili motivi del ricorso per cassazione a condizione che ne risulti la tempestiva proposizione davanti al giudice di merito e che la tempestività di tale proposizione risulti a sua volta dalla sentenza impugnata o, in mancanza, da adeguata segnalazione contenuta nel ricorso con specifica indicazione dell’atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette siano state formulate onde consentire al giudice di legittimità di controllare la veridicità dell’asserzione prima di esaminare nel merito la questione sottopostagli (Sez. 2, Sentenza n. 2207 del 15/02/2002; conf. Sez. 1, Sentenza n. 7696 del 31/03/2006 e Sez. 2, Sentenza n. 12532 del 08/06/2011).

Omettendo di trascrivere gli atti processuali o i verbali di causa contenenti gli eventuali rilievi critici sollevati avverso le relazioni peritali d’ufficio, nonchè queste ultime, il ricorrente ha precluso a questa Corte non solo di verificare se i primi fossero stati tempestivamente formulati in primo grado e reiterati, oltre che in occasione della precisazione delle conclusioni, in sede di gravame, ma anche di scrutinare se le considerazioni tecniche contenute nella sentenza impugnata si fossero sostanziate in un recepimento acritico delle asserzioni rese dai periti e se questi ultimi avessero o meno preso posizione sulle osservazioni loro formulate dalle parti.

Il ricorrente ha omesso di:

  1. a) trascrivere, in violazione del principio di autosufficienza, la lettera del 25.7.1996 (con la quale il (OMISSIS) avrebbe ordinato ai (OMISSIS) la realizzazione di alcune opere, al contempo manifestando il proprio dissenso rispetto alla realizzazione delle opere “in economia” da parte dei committenti), in relazione alla quale, peraltro, la corte d’appello ha evidenziato (cfr. pag. 30) che gli ordini concernenti il completamento delle opere statiche erano stati impartiti dal direttore dei lavori solo nel settembre del 1996 a seguito delle lamentele sulle lesioni, quando il rustico era ormai già stato completato;
  2. b) indicare gli atti dai quali si sarebbe desunto che, nel periodo di sospensione, il terreno sarebbe stato riportato sino a coprire per tutta l’altezza il 2 piano seminterrato, creando una situazione di spinta sulle pareti perimetrali dell’edificio non sostenibile;
  3. c) indicare la “documentazione in atti” e l'”istruttoria espletata” (cfr. pagg. 34-35 del ricorso) e trascrivere la “relazione dell’Ing. (OMISSIS) in sede di accertamento tecnico preventivo” e le “lettere del (OMISSIS)”, dalle quali sarebbe emerso che, nonostante la sospensione, i coniugi (OMISSIS) avevano “continuato ad eseguire i lavori in economia, rendendo particolarmente gravose le condizioni di carico dell’edificio”.

In relazione al difetto costruttivo consistente nell’aver realizzato il muro con blocchi da 25 cm., anzichè da 40 cm. (come da progetto), l’assunto, peraltro riferito al giudice di prime cure, è irrilevante, avendo la corte locale nitidamente chiarito (cfr. pagg. 29-30) che non andava attribuita incidenza nella produzione delle lesioni alle minori dimensioni dei blocchi del muro contro terra, atteso che la inidoneità di quest’ultimo derivava dal non essere stato realizzato in cemento armato (come sarebbe stato necessario), ma in mattoni.

In ogni caso, la corte locale ha analiticamente indicato le ragioni per cui ha: a) individuato la responsabilità sia dell’impresa appaltatrice che del direttore dei lavori (cfr. pagg. 25-26 avuto riguardo ai difetti di progettazione ed alle carenze nella fase esecutiva riscontrati); b) ritenuto l’insufficienza del vuoto tecnico (cfr. pag. 30); c) escluso che gli interventi eseguiti dagli appellati dopo sei mesi dalla realizzazione del grezzo potessero aver inciso, in senso negativo, sulla statica dell’edificio, avendo riguardato solo le rifiniture (cfr. pag. 28).

  1. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2, nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente all’esclusione della corresponsabilità dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) nella determinazione delle lesioni accertate (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la corte territoriale escluso una corresponsabilità a carico degli stessi.

5.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

Va anche qui ribadito il rilievo concernente la impossibilità di denunciare uno actu la mancanza, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione (cfr. § 2.1.).

In violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente ha, inoltre, omesso di trascrivere a) la lettera del 14.9.1996 (dalla quale si sarebbe, secondo il suo assunto, dovuto desumere che, a seguito del rifiuto dei coniugi (OMISSIS) di ottemperare alle disposizioni loro impartite, egli avrebbe declinato le proprie responsabilità), peraltro considerata irrilevante dalla corte d’appello (in quanto gli ordini erano stati rivolti allorquando il rustico era già stato irreversibilmente completato; cfr. pag. 30 della sentenza), b) il passaggio contenuto nell’a.t.p. (dal quale si sarebbe dovuto evincere la presenza di terra di riporto posta al fine di riempire il vuoto esistente, avvenuto dopo la sospensione dei lavori da parte del (OMISSIS)) e c) il verbale contenente le risposte fornite da (OMISSIS) in sede di interrogatorio formale (avente ad oggetto, peraltro, aspetti (l’aver negato una circostanza – il punto in cui doveva essere costruito l’edificio – pacificamente ammessa dalla moglie e di aver ricevuto dal (OMISSIS) le indicazioni finalizzate a dare stabilità al sistema “terreno-fondazioni”) privi del connotato di decisività).

Non sono, invece, proprio stati indicati gli “atti di causa” dai quali sarebbe emersa “inequivocabilmente” (cfr. pag. 37 del ricorso) la responsabilità dei coniugi (OMISSIS).

Avuto riguardo alla esclusione di quest’ultima con riferimento alla natura dei lavori dagli stessi fatti eseguire successivamente all’ultimazione del grezzo, la corte di merito si è, peraltro, diffusa alle pagine 17-18 (con riferimento al profilo della esclusione dell’assunzione diretta dell’esecuzione dei lavori) ed a pagina 28 della sentenza impugnata, con argomentazioni del tutto coerenti sul piano logico-formale.

D’altra parte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione, come nel caso di specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

Nella fattispecie in esame, esclusa in astratto una violazione dell’art. 1227 c.c., le censure sono, a ben vedere, dirette a sollecitare una rivalutazione del materiale istruttorio, preclusa in sede di legittimità.

  1. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente all’affermata inammissibilità ex art. 345 c.p.c. della produzione della lettera di incarico rilasciata dal fratello di (OMISSIS) (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per non aver la corte di merito considerato il detto documento, dal quale avrebbe ricavato che il padre del (OMISSIS) era stato delegato per l’esecuzione dei lavori edili in economia e che, quindi, i (OMISSIS), disattendendo le istruzioni loro impartite dal direttore dei lavori, avevano dopo la sospensione eseguito ulteriori opere che avevano determinato le lesioni accertate.

6.1. Il motivo è inammissibile.

In violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente ha omesso di trascrivere la menzionata lettera, in tal guisa precludendo a questa Corte ogni valutazione in ordine al suo contenuto ed alla sua portata probatoria. Al contempo, non ha trascritto la deposizione resa dal teste (OMISSIS), dalla quale sarebbe, secondo il suo assunto, emerso che il puntellamento dell’edificio era avvenuto allorquando i lavori erano finiti ed il cantiere era chiuso. Peraltro, nel ribadire quanto in precedenza evidenziato in ordine alla non incidenza di siffatti ulteriori lavori sul carico previsto (cfr. pag. 28 della sentenza), il ricorrente vorrebbe, con un salto logico non consentito, ricavare dalla ipotetica realizzazione di opere di puntellamento del solaio della cantina l’appesantimento del detto carico.

In ogni caso, con motivazione logica, la corte cagliaritana ha escluso l’ammissibilità della nuova produzione documentale, in quanto non proveniente da (OMISSIS), bensì dal fratello del medesimo (cfr. fine pag. 23).

Senza tralasciare che di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato (elementi difettanti o, comunque, non dedotti nel caso di specie), pur a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Sez. U -, Sentenza n. 10790 del 04/05/2017).

  1. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., la nullità della sentenza sempre in relazione all’art. 112 c.p.c. e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla richiesta di quantificazione del danno emergente dal sostanziale contenuto della comparsa di costituzione e risposta nella causa davanti alla Corte d’Appello di Cagliari (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), per aver la corte d’appello ritenuto che il motivo di censura concernente la richiesta di riquantificazione del danno fosse stato proposto dalla sola (OMISSIS) s.n.c., nonostante egli avesse ampiamente contestato la quantificazione del danno operata dal primo giudice in quanto non fondata su criteri certi ed oggettivi.

7.1. Il motivo è infondato, pur occorrendo correggere la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

La corte territoriale ha rilevato (cfr. pag. 32 della sentenza) che il relativo motivo di censura era stato proposto dalla sola (OMISSIS) s.n.c., con la conseguenza che non poteva estendersi al (OMISSIS), essendosi in presenza di una obbligazione solidale.

Il ricorrente ha riprodotto, a pagina 40 del ricorso, uno stralcio della comparsa di costituzione e risposta depositata in appello, dal quale si evince che, sia pure senza formule sacramentali, ha censurato l’operato del primo giudice con riferimento alla quantificazione del danno, superiore anche all’importo indicato dal c.t.u..

Come è noto, la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa (cfr., di recente, Sez. 1 -, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017).

Orbene, dagli atti di causa si ricava che il (OMISSIS) ha dapprima notificato il proprio atto di appello avverso la sentenza di primo grado in data 1.11.2009 e, poi, a fronte del successivo gravame a sua volta proposto dalla (OMISSIS) s.n.c., si è costituito con comparsa depositata il 12.2.2010 (rispetto ad una udienza di comparizione che era stata fissata per il 5.3.2010), nel corso della quale ha sollevato la doglianza oggetto di esame.

Nell’ordinamento processuale civile vige il principio generale della consumazione del potere di impugnazione, per effetto del quale, una volta che la parte abbia esercitato tale potere, esaurisce la facoltà di critica della decisione che lo pregiudica, senza che possa proporre una successiva impugnazione, salvo che la prima impugnazione sia invalida, non sia stata ancora dichiarata inammissibile o improcedibile e venga rispettato il termine di decadenza previsto dalla legge. Pertanto, ove la stessa sentenza di primo grado venga impugnata tempestivamente con due separati atti (nel caso di specie, l’atto di appello e la comparsa di costituzione), proposti l’uno di seguito all’altro, si pongono due sole alternative, a seconda che il primo di essi abbia, o meno, validamente introdotto il giudizio di gravame: nell’un caso, il ricorso successivamente proposto va dichiarato inammissibile; nell’altro, invece, deve essere esaminato in ragione dell’inammissibilità del primo (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24332 del 29/11/2016).

In definitiva, allorquando il diritto di impugnazione sia stato validamente esercitato, il principio di consumazione dell’impugnazione esclude che possa essere proposto un secondo atto di appello, per motivi diversi da quelli dedotti con il primo gravame, ancorchè la seconda impugnazione risulti tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima (evenienza, peraltro, non configurabile nel caso di specie), essendosi esaurito, con la proposizione del ricorso, il diritto di impugnazione (Sez. 3, Sentenza n. 11870 del 22/05/2007; conf. Sez. L, Sentenza n. 1863 del 28/01/2010).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, ben ha fatto la corte cagliaritana a non valutare l’ulteriore censura, ma non già perchè non proposta, bensì in quanto tardivamente sollevata.

  1. In definitiva, il ricorso sembra meritevole di accoglimento limitatamente al settimo motivo. Nel qual caso la sentenza impugnata andrebbe cassata con riferimento al motivo accolto e la causa rimessa, anche per la pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Cagliari.

Ricorrono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre rimborso forfetario al 15% ed accessori come per legge.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.