Sentenza 28402/2017
Appalto – Recesso unilaterale del committente dal contratto – Indennizzo all’appaltatore
In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d’appalto, ex art. 1671 c.c., grava sull’appaltatore, che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, salva la facoltà, per il committente, di provare che l’interruzione dell’appalto non abbia impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli abbia procurato vantaggi diversi.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 28 novembre 2017, n. 28402
Art. 1671 c.c. (Recesso unilaterale dal contratto di appalto) – Giurisprudenza
Art. 1373 cc (Recesso unilaterale dal contratto) – Giurisprudenza
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione notificato in data 30.1.2007 (OMISSIS) s.r.l. conveniva in giudizio la (OMISSIS), esponendo che:
– nel gennaio 2005, dopo anni di collaborazione commerciale, aveva stipulato con la convenuta un accordo scritto avente ad oggetto la distribuzione dei volantini pubblicitari per la zona relativa al punto vendita di (OMISSIS), accordo che regolava tra l’altro il diritto di recesso da parte della committente convenuta, da esercitarsi con un preavviso di 90 giorni;
– il 7 aprile 2006, improvvisamente e senza evidenti ragioni, la convenuta aveva sospeso tout court il rapporto in corso a partire dalla fine del successivo mese di maggio;
– a seguito della ingiustificata e prolungata assenza di comunicazioni da parte della società convenuta e delle reiterate richieste di chiarimenti di essa attrice, il 31.8.2006 la (OMISSIS) aveva comunicato il recesso dal rapporto con effetto dal 30.11.2006;
– già dal mese di giugno 2006 la convenuta si era resa inadempiente agli accordi, avendo omesso di consegnare ad essa attrice il materiale destinato alla distribuzione;
– a seguito della perdita di fatturato, aveva subito un danno patrimoniale, da valutarsi sia in relazione al calendario delle distribuzioni assegnate per il mese di giugno 2006 che in relazione al volume d’affari sviluppato nel corso del rapporto di durata decennale.
Tanto premesso, l’attrice chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento del danno ad essa cagionato, in considerazione della perdita di fatturato dall’1.6.2006 al 30.11.2006, invocandone la quantificazione anche in via equitativa.
Si costituiva in giudizio la convenuta, la quale chiedeva il rigetto delle domande attoree, deducendo come, poco dopo la sottoscrizione dell’accordo del 2.1.2005, diversi clienti della (OMISSIS) avevano lamentato, attraverso il servizio clienti, il mancato recapito di volantini promozionali nel territorio limitrofo all’ (OMISSIS) di (OMISSIS). Per tale ragione, nella prima settimana del mese di aprile 2006, si era tenuto un incontro tra la direttrice dell’ (OMISSIS) di (OMISSIS), Dott.ssa (OMISSIS), ed il sig. (OMISSIS) di (OMISSIS), al termine del quale era stata concordata la risoluzione consensuale del contratto a far data dalla fine di maggio (conteggiando i due mesi seguenti come una sorta di preavviso), salvo verificare, successivamente, un’ulteriore prosecuzione del rapporto.
Assunta la prova testimoniale dedotta da parte attrice, il Tribunale di Milano, con sentenza depositata il 4.9.2012, rigettava le domande attoree, sulla base delle seguenti considerazioni:
1) dalle deposizioni rese dai testi (OMISSIS), responsabile commerciale della società attrice, e (OMISSIS), direttrice dell’ (OMISSIS) di (OMISSIS), era emerso che gli stessi, nelle rispettive qualità, avevano concordato la risoluzione consensuale del rapporto, facendo, per l’effetto, venir meno la necessità del preavviso di 90 giorni per il recesso;
2) in quest’ottica, la comunicazione di formale disdetta da parte della convenuta con raccomandata del 31.8.2006 non valeva di per sè a smentire l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, ma aveva avuto natura puramente cautelativa;
3) in ogni caso, la domanda attorea di risarcimento del danno per perdita di fatturato era infondata, in quanto l’attrice non aveva fornito alcun elemento per consentire al giudice di valutare i costi da essa sostenuti per eseguire l’appalto oggetto di causa, non permettendo quindi di sottrarli dal fatturato e di ottenere l’utile netto.
Avverso la detta sentenza proponeva appello la (OMISSIS) s.r.l..
Si costituiva in giudizio, chiedendone il rigetto, la (OMISSIS).
La Corte di Appello di Milano, con ordinanza del 10.5.2013, dichiarava, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., inammissibile l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:
1) posto che la (OMISSIS) veniva pagata dalla (OMISSIS) “a consumo” e, quindi, sulla base dei volantini distribuiti, la difesa dell’appellante non aveva spiegato come veniva ad essere stimato dalla medesima il danno da “mancato guadagno” in una somma “comunque non inferiore ad Euro 77.890,02, oltre I.v.a”, se non con riferimento, peraltro confuso e privo di addentellati precisi, ad un criterio, quale quello della media matematica dei fatturati generati in analoghi periodi durante l’esecuzione del contratto con l’appellata, che, non tenendo conto dei “costi” sostenuti nel medesimo periodo, non era corretto;
2) non essendo stato dedotto, sotto alcun profilo, l’ammontare dell’utile netto” conseguito, la difesa di (OMISSIS) s.r.l. non consentiva di ritenere adempiuto l’onere di dimostrare il danno subito dal dedotto inadempimento della controparte, o di permettere alla corte di giungere al medesimo anche a mezzo di valutazione “equitativa”.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la (OMISSIS) s.r.l., sulla base di sei motivi. La (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Preliminarmente, va rilevata la tempestiva proposizione del ricorso per cassazione, atteso che l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., risulta depositata il 10.5.2013 e comunicata dalla cancelleria, a mezzo p.e.c., in pari data, laddove il ricorso è stato notificato alla controparte in data 9.7.2013 e, quindi, entro il termine di 60 giorni prescritto dall’art. 325 c.p.c., comma 2.
- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1373 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver il tribunale qualificato il recesso della (OMISSIS) dal contratto ai sensi dell’art. 1671 c.c., anzichè dell’art. 1373 c.c., nonostante la fonte del detto recesso fosse, nel caso di specie, il contratto intercorso tra le parti il 2.1.2005, con la conseguenza che la committente avrebbe dovuto ristorare per intero, quanto al periodo di preavviso di 90 giorni pattuito, i costi del personale dedicato esclusivamente all’esecuzione della commessa ed il mancato guadagno.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, la quale ha rigettato la domanda attorea di risarcimento del danno per perdita di fatturato non già in conseguenza dell’inquadramento del recesso operato dalla committente nell’ambito della figura legale disciplinata dall’art. 1671 c.c., anzichè in quella convenzionale prevista dall’art. 1373 c.c., bensì per aver ritenuto che l’attrice non avesse fornito alcun elemento per consentire di valutare i costi da essa sostenuti al fine di eseguire l’appalto oggetto di causa, non permettendo quindi di sottrarli dal fatturato e di ottenere l’utile netto.
- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1671 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte di merito (anche a voler ritenere corretto il richiamo operato alla detta disposizione) considerato che il committente, in caso di recesso unilaterale dal contratto, è tenuto a tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno, con la conseguenza che, nel caso di specie, il fatturato invocato come parametro di riferimento doveva ricomprendere i costi per le retribuzioni dei dipendenti ed il mancato guadagno dell’azienda (a partire dalla sospensione unilaterale del contratto e fino alla definitiva cessazione del rapporto decorsi 90 giorni dalla comunicazione).
3.1. Il motivo è infondato.
Invero, il tribunale non è incorso in alcuna violazione dell’art. 1671 c.c., che sarebbe stata configurabile, semmai, nell’eventualità in cui avesse escluso tra le voci di danno in astratto indennizzabili il mancato guadagno. Il giudice di prime cure, invece, pur riconoscendo potenzialmente il pregiudizio da lucro cessante da inadempimento contrattuale, ha sostenuto che lo stesso non si identifica nel fatturato, bensì nell’utile netto (cfr. pag. 4 della sentenza), di poi pervenendo al rigetto della relativa domanda risarcitoria in ragione della omessa indicazione dei costi sostenuti per eseguire l’appalto di servizi oggetto di causa.
D’altra parte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione, come nel caso di specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).
Senza tralasciare che la ricorrente si è limitata ad affermare apoditticamente la natura esclusiva dell’incarico ricevuto.
- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1671 c.c., in relazione all’art. 1362 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte locale considerato che, alla stregua della comune intenzione dei contraenti desumibile ex art. 1362 c.c., dal contratto del 2.1.2005, nei 90 giorni di preavviso la (OMISSIS) avrebbe dovuto continuare a riconoscere l’intero corrispettivo dell’appalto.
4.1. Il motivo è infondato.
Il tribunale ha fatto corretta applicazione del principio, anche di recente ribadito da questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 8853 del 05/04/2017, secondo cui, in ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d’appalto, ex art. 1671 c.c., grava sull’appaltatore, che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, salva la facoltà, per il committente, di provare che l’interruzione dell’appalto non abbia impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli abbia procurato vantaggi diversi (cfr. in tal senso, in precedenza, Sez. 6-2, Ordinanza n. 9132 del 06/06/2012 e, ancor prima, Sez. 3, Sentenza n. 1189 del 09/05/1966). Sul principio enunciato nella sentenza impugnata non incide la clausola finale contenuta nel contratto del 2.1.2005, la quale si limita a precisare (cfr. pag. 15 del ricorso) che il periodo di preavviso non inferiore ai 90 giorni concordato si rendeva necessario per consentire all’appaltatrice, in caso di recesso esercitato dalla committente, di individuare altre opportunità professionali.
Dalla formulazione letterale della clausola in alcun modo sarebbe evincibile un criterio per la liquidazione dell’indennizzo spettante all’appaltatrice, men che meno nel senso di riconoscere a quest’ultima l’intero corrispettivo dell’appalto nel corso del periodo di preavviso.
- Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi il tribunale pronunciato sulla sua richiesta di condanna in via equitativa del danno.
5.1. Il motivo si rivela inammissibile.
In termini generali, il potere di liquidare in via equitativa il danno a norma dell’art. 1226 c.c., autorizza il ricorso – anche d’ufficio – a criteri equitativi per supplire all’impossibilità della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare (Sez. 2, Sentenza n. 1799 del 18/02/1995).
Pertanto, il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa (Sez. 3, Sentenza n. 20990 del 12/10/2011).
Da ciò consegue che l’omesso esercizio del potere di liquidare in via equitativa il danno non è denunciabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c..
Peraltro, il potere in esame incontra un limite nel divieto di surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza. In particolare, deve in siffatta evenienza escludersi la possibilità di procedere a liquidazione equitativa, che è consentita solo ove si tratti di danno che non può essere provato nel suo esatto ammontare, e non anche allorchè manchi la prova della sua entità (Sez. 3, Sentenza n. 5997 del 15/03/2007; Sez. 2, Sentenza n. 4487 del 10/04/2000). Orbene, nel caso di specie, il tribunale ha affermato (cfr. pag. 5) che l’attrice non aveva fornito, come sarebbe stato suo onere, alcun elemento per consentire di valutare i costi da essa sostenuti per eseguire l’appalto, non permettendo, per l’effetto, di sottrarli dal fatturato e di ottenere l’utile netto.
Senza tralasciare che non sarebbe stato estremamente difficile dimostrare documentalmente i costi sostenuti dalla ricorrente per il proprio personale dipendente con riferimento al periodo interessato.
- Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver erroneamente, a suo dire, la corte territoriale, in presenza di una richiesta di liquidazione equitativa del danno, ritenuto che, non essendo stato dedotto l’ammontare dell'”utile netto” conseguito, non avesse adempiuto all’onere di dimostrare il danno subito dal dedotto inadempimento della controparte, in tal guisa precludendo altresì una valutazione equitativa dello stesso.
6.1. Il motivo è inammissibile, atteso che, concernendo la doglianza un profilo attinente al merito, le censure avrebbero dovuto concentrarsi in via esclusiva sul provvedimento di primo grado, ai sensi del terzo comma, prima parte, dell’art. 348 ter c.p.c..
- Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2721, 1325, 1373 e 1671 c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver il tribunale ritenuto che le parti avessero concertato la risoluzione consensuale del rapporto in corso, laddove si era, a suo dire, al cospetto di una risoluzione unilateralmente decisa dalla committente.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Come, del resto, è consapevole la stessa ricorrente (cfr. pag. 19 del ricorso), il passaggio logico con il quale il tribunale ha ricostruito la vicenda, alla stregua delle deposizioni testimoniali e della corrispondenza epistolare intercorsa tra le parti, in termini di risoluzione consensuale del rapporto è stato sviluppato ad abundantiam, come è nitidamente desumibile dall’esordio dell’analisi concernente la domanda risarcitoria (cfr. pag. 4: “Tuttavia non è necessario prendere posizione sulla intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, atteso che, ad avviso di questo Giudice, la domanda attorea di risarcimento del danno per perdita di fatturato è comunque infondata…”).
In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta, poichè esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (Sez. 3, Sentenza n. 13068 del 05/06/2007; conf. Sez. L, Sentenza n. 22380 del 22/10/2014).
In particolare, è inammissibile in sede di legittimità il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e, pertanto, non costituente una ratio decidendi della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse.
- In definitiva, il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Le spese del presente grado di giudizio seguirebbero la soccombenza della ricorrente e si liquiderebbero come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre rimborso forfetario al 15% ed accessori come per legge.
Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.