Ordinanza 28403/2023
Deposito telematico del ricorso in cassazione – Esito positivo dei successivi controlli – Accettazione da parte della cancelleria
In tema di deposito telematico del ricorso in cassazione, il definitivo consolidarsi dell’effetto di tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) è subordinato all’esito positivo dei successivi controlli, la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione da parte della cancelleria (cd. quarta PEC).
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Ordinanza 11/10/2023, n. 28403 (CED Cassazione 2023)
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) impugna per revocazione ai sensi dell’art.
395 n. 4 c.p.c. l’ordinanza di Cassazione S.U. 21 novembre 2022,
n. 34207 già resa – su ricorso della stessa parte contro CONSIGLIO
DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NAPOLI NORD, PROCURATORE
GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE –
avverso la sentenza Consiglio Nazionale Forense 13 giugno 2022,
n. R.D. 91/2021 5821 che aveva rigettato il suo ricorso contro la
delibera del COA Napoli Nord 3.12.2019, n.40;
2. a tenore della ordinanza ora impugnata, il mancato deposito
in una al ricorso (cioè il 21.7.2022) di copia autentica della
decisione impugnata, come stabilito dall’art.369, co.2., c.p.c. ed
invero attuato solo il 5.9.2022, dunque in relazione tardiva rispetto
alla norma, deponeva per la conseguente improcedibilità del
ricorso, così pronunciata dalla Sezioni Unite;
3. sul ricorso, deducente un errore di fatto, il Procuratore
Generale, in persona del sost. proc. gen. dr.ssa Paola Filippi, ha
concluso per il rigetto; a tale requisitoria la parte ha contrapposto
memoria ai sensi dell’art.378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. l’unico motivo solleva, in relazione all’art.395 n. 4 c.p.c.,
l’errore (di fatto) revocatorio laddove le Sezioni Unite sarebbero
incorse in una ‘mera svista materiale’, così ritenendo tardivo e
successivo il deposito della sola sentenza impugnata, a dispetto di
un primo deposito della stessa invece regolare e contestuale al
deposito del ricorso medesimo; secondo il ricorrente, la prova del
predetto deposito – avvenuto in via telematica sul PCT il 21.7.2022
ed ora offerta in dimostrazione da due screen shot tratti da una
visura effettuata su un portale di accesso – si evinceva dalle
indicazioni dell’apposito ‘allegato’, richiamato al n.3 dell’indice in
calce al ricorso, corroborato in via indiretta dalla conferma di
regolare ricezione della cancelleria (limitatasi a sollecitare il
pagamento del contributo unificato e di quello integrativo), mentre
il deposito del 5 settembre 2022 era effettuato dalla parte dopo
avere constatato, a seguito di accesso al portale, la “non visibilità”
proprio di alcuni allegati originari; parimenti, è evidenziata la
portata decisiva del ricorso per revocazione rispetto ad ogni altro
suo elemento, in chiave di pieno accoglimento, alla stregua delle
originarie conclusioni favorevoli dello stesso P.G. assunte per
l’udienza del 25.10.2022;
2. rileva preliminarmente il Collegio che il Primo Presidente, con
pronuncia resa il 23 febbraio 2023, ha dichiarato ‘non luogo a
provvedere’ su analoga istanza della parte che, sulla base delle
medesime circostanze e in data 15 febbraio 2023, aveva sollecitato
l’avvio d’ufficio del procedimento di correzione di errore materiale;
3. il ricorso è infondato; la giurisprudenza di questa Corte ha più
volte statuito che per la configurabilità dell’errore revocatorio di cui
all’art. 391-bis c.p.c. è presupposto un errore di fatto, che ricorre
ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od
inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad
escludere o ad affermare, rimanendo estranee le vicende
imperniate su una decisione conseguente ad una pretesa errata
valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, cioè
attinente alla sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base
di una valutazione (Cass. 10040/2022); così che, in un
accostamento ermeneutico coerente con i principi del giusto
processo e di effettività della difesa anche di recente precisato, tra
gli atti e documenti della causa dai quali l’errore stesso deve
risultare, andrebbero al più compresi quelli ad essa attinenti e
ritualmente depositati dalla parte interessata «pur se, per mero
disguido della cancelleria non imputabile alla parte stessa, essi
siano stati inseriti in diverso fascicolo d’ufficio» (Cass. 29634/2019,
ripresa anche da Cass. 9786/2023); il principio, al di là della sua
non perfetta prossimità di fattispecie (ed inoltre tratto dal ben
diverso contesto anteriore alla operatività del processo telematico
di cassazione), non appare nel caso in esame tuttavia correlato ai
“fatti” esaminati al culmine decisorio del giudizio che, con
l’ordinanza di queste Sezioni Unite n. 34207/2022, ha definito il
ricorso rubricato al Registro Generale con il numero 17894/2022;
4. non pertinente invero l’improprio richiamo in ricorso di un
errore di fatto che sarebbe stato commesso dal “Supremo giudice
relatore”, la pronuncia collegiale ha correttamente dato conto che
nell’archivio degli atti in PCT – non modificabile dopo il regolare
ciclo di accettazione e vigente l’art.16-bis d.l. 18 ottobre 2012,
n.179 – e dunque tra gli unici afferenti al procedimento così
promosso dalla parte (R.G. n. 17894/2022), nessuna sentenza
impugnata risultava depositata il 21.7.2022, avendo tale atto
esordito solo il 5.9.2022, senza alcuna evidenza, nemmeno
indiretta, di un “disguido di cancelleria” ovvero di un errore di
accesso o stivaggio informatico o anomalo rifiuto; né gli elementi
recati all’attenzione odierna di queste Sezioni Unite appaiono anche
solo indizianti di un deposito rispettoso del dettato di cui
all’art.369, co. 2, c.p.c. deviato dalla percezione del Collegio in
virtù di errori del sistema informatico (non segnalati neanche dalla
parte) o carenze di archiviazione o ricezione (in fase di accettazione
degli atti da parte della cancelleria);
5. infatti dal semplice riscontro della ‘nota di iscrizione a ruolo’ a
“ricorso” (cioè all’atto originario così denominato dalla parte in PCT,
quale evidenziato nelle due “schermate” allegate, accluse al ricorso
odierno come ‘fotocopie’, senza altro riferimento) non può
ricavarsi, per la sola menzione interna degli estremi del
provvedimento impugnato, la sua appartenenza già al momento del
deposito al fascicolo informatico, cioè il 21.7.2022 e con
attribuzione presso la Corte del numero di R.G. N. 17894/2022; va
aggiunto che, tra l’altro, nemmeno può dirsi che la sentenza
impugnata compaia con la sua denominazione tra i separati ‘atti a
corredo, nessuno dei quali appare in realtà intestato in relazione al
suo possibile contenuto (l’altro in formato .pdf è la notifica, mentre
null’altro si evince dagli screen shot, evidenzianti tutti allegati
generici); con il deposito telematico, quale avvenuto nella specie,
l’ingresso o meno nel corrispondente fascicolo di uno o tutti o parte
o alcuno degli atti genericamente e solo enumerati in calce all’atto
(principale), ed ivi citati in punto di “elenco” degli stessi, non
rimette al cancelliere (cioè all’ufficio accettante) la certificazione del
rispettivo e reale avvenuto deposito; anch’esso infatti dipende da
omogeneo e relativamente autonomo deposito telematico di parte
degli atti cd. secondari o di corredo complementare, senza
connessione, per di più, neanche con le discrezionali denominazioni
finali per essi utilizzate dall’avvocato depositante;
6. occorre peraltro aggiungere che esula del tutto dalla
fattispecie, oltre che per i limiti dell’istituto della revocazione, una
possibile influenza indiretta del principio del raggiungimento dello
scopo quale sinora applicato dalla giurisprudenza affermatasi nella
transizione da processo analogico a processo compiutamente
telematico presso la Corte di legittimità; queste Sezioni Unite ne
hanno fatto applicazione (sulla scia della sentenza n. 22438/2018
in tema di deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso per
cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo
PEC, senza attestazione di conformità del difensore o con
attestazione priva di sottoscrizione autografa; conf. Cass.
33433/2022), escludendo la improcedibilità del ricorso con deposito
in cancelleria di copia analogica della decisione impugnata
predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di
attestazione di conformità del difensore ex art. 9, co. 1bis e 1ter,
della l. cit., oppure con attestazione priva di sottoscrizione
autografa, laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti),
nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia
analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non
disconosca ex art. 23, co. 2, d. lgs. n. 82 del 2005, la conformità
della copia informale all’originale notificatogli, con possibilità che
alla mera intimazione della controparte segua il deposito di
asseverazione di conformità all’originale della copia analogica,
entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio
(Cass. s.u. 8312/2019; conf. Cass. 15712/2019, 7610/2021); in
realtà il dato comune alle due vicende era costituito dal certo e
previo deposito in cancelleria, nel secondo caso e proprio «nel
termine di venti giorni dall’ultima notificazione», della predetta
copia; si tratta di circostanza invece del tutto esclusa nella specie;
7. le citate decisioni, invero e come notato in dottrina, hanno
intercettato l’esigenza di consentire la più ampia espansione, nel
perimetro di tenuta del sistema processuale, del diritto
fondamentale di azione (e, quindi, anche di impugnazione) e difesa
in giudizio (art. 24 Cost.), in coerenza con il principio-obiettivo
dell’effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione
coopera, in quanto principio-mezzo, il giusto processo dalla durata
ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di
garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni
giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 Carta dei
diritti fondamentali, art. 19 del Trattato sull’Unione europea, art. 6
CEDU); di qui il valore ben conferibile a criteri di ragionevolezza e
proporzionalità a guida di eventuali restrizioni del diritto della parte
all’accesso al giudice – e quindi anche le sanzioni processuali
radicali come l’improcedibilità – improntando la lettura della
strumentalità delle forme degli atti del processo al citato
raggiungimento dello scopo; nella fattispecie, tuttavia, la parte non
ha allegato né indicato per rilevanza probatoria alcun elemento
che integri, al fondo e pregiudizialmente, quel fatto necessario – il
deposito della sentenza impugnata, al limite irregolare ma effettivo,
nel prescelto contesto digitale – che permetta di superare ogni
eventuale deficit di forme e modalità, per quanto contingenti, nelle
quali però il processo stesso viene ad essere configurato in base
all’esercizio, ragionevole, della discrezionalità di cui gode il
legislatore nell’articolarne gli istituti; sul punto, tra le molte, Corte
cost. con la sentenza n. 243 del 2014 (ed in realtà già con le
pronunce n. 221 del 2008, n. 216 del 2013), ha precisato che la
garanzia costituzionale del diritto di difesa non può implicare che
sia contrario a Costituzione, o irragionevole, «imporre all’esercizio
di facoltà o poteri processuali limitazioni temporali, senza le quali i
processi potrebbero durare per un tempo indefinibile, con grave
nocumento delle esigenze di giustizia. Ed inerisce alla stessa natura
dei termini perentori che essi non siano prorogabili e non
consentano provvedimenti di sanatoria, proprio per motivi di
certezza e di uniformità la cui ragionevolezza non può essere
contestata. Anzi, nel processo civile l’immutabilità dei termini
perentori, legali e giudiziali, tende ad assicurare una effettiva parità
dei diritti delle parti, contemperando l’esercizio dei rispettivi diritti
di difesa (sentenza n. 106 del 1973) … purché i termini stessi
siano congrui e non tali da rendere eccessivamente difficile per gli
interessati la tutela delle proprie ragioni … La lesione del diritto alla
tutela giurisdizionale si ha solo quando la irrazionale brevità del
termine renda meramente apparente la possibilità del suo
esercizio»; la conservazione in sede attuativa della legge 26
novembre 2021, n. 206, anche per il deposito telematico, del
termine di 20 giorni, all’altezza del precetto e della sanzione
dell’art.369 co.2 n.2 c.p.c., non manifesta, con ogni evidenza,
alcun dubbio di irrazionale brevità, anzi implicando un
adempimento più agevolmente svolgibile rispetto alla fisica attività
di accesso materiale all’ufficio giudiziario;
8. l’attuazione per questa parte di una procedura di giustizia
digitale si traduce pertanto in una diversa portata dell’indice (a
formazione del ricorrente) degli atti del fascicolo in precedenza
inseriti manualmente, posto che, all’attualità, in termini di
autoresponsabilità, solo il buon fine del procedimento di deposito
attivato dalla parte determina per essi l’appartenenza al fascicolo
informatico stesso; il cancelliere, in altri termini, accettando
informaticamente l’atto di parte che pur si concluda con un elenco
di altri atti che essa vuol depositare, non attribuisce (in realtà
cooperando nel sistema informatico in punto di controlli ben
diversi) alcuna attestazione di immediata esistenza nel fascicolo a
quegli stessi atti, che la parte può depositare a corredo del primo,
solo e proprio ciò bastando in realtà – rispettate le forme di
introduzione – per la loro effettiva fascicolazione informatica; a sua
volta, secondo il principio per cui, in tema di deposito telematico
del ricorso in cassazione, il definitivo consolidarsi dell’effetto di
tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione
della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC), è subordinato all’esito
positivo dei successivi controlli, la cui prova è data dal messaggio
di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di
accettazione da parte della cancelleria (cd. quarta PEC, con
sequenza rimasta nella sostanza immutata nell’art.196-sexies disp.
att. c.p.c.) (Cass. 19307/2023), l’inserzione così conseguita
stabilizza l’atto (ogni atto, principale o complementare) secondo
una caratteristica di immutabilità e non rimuovibilità;
9. occorre allora riconoscere che il pregresso valore lato sensu
certificatorio dell’attività del cancelliere, per come desumibile
dall’art. 36 (per tale parte ora abrogato) e dall’art.74 (formalmente
ancora vigente) disp. att. c.p.c. (richiamando per Cass. 5893/2022,
8217/2016 che la «effettiva presenza nel fascicolo di parte dei
documenti indicati nell’indice … può essere contestata solo con la
proposizione della querela di falso»), appare irreversibilmente
incrinato dalla utilizzazione, operata dalla parte, della costituzione
mediante atto informatico, poiché il cancelliere – in occasione di
tale operazione – non procede (come non ha proceduto nella
specie, già secondo le regole tecniche vigenti ratione temporis), ad
alcuna sottoscrizione dell’indice del fascicolo della parte; valeva
infatti anche all’epoca qui rilevante il disposto dell’art.16-bis d.l. 18
ottobre 2012, n.179 per il quale il deposito degli atti processuali e
dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente
costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel
rispetto della normativa anche regolamentare concernente la
sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti
informatici; la disposizione appare ora pienamente trasfusa
nell’art.196-quater disp. att. c.p.c.;
10.già queste Sezioni Unite hanno d’altronde riconosciuto – nella
ribadita affermazione di attuale operatività del principio dispositivo
e di acquisizione probatoria, come correlati ai meccanismi di
produzione e ritiro dei documenti – che l’equiparazione a tali fini
del processo telematico a quello con atti analogici, non toglie che
sia sorta una inedita «impossibilità tecnica di procedere nel
processo telematico al ritiro del singolo documento o dell’intero
fascicolo» (Cass. s.u. 4835/2023); si tratta di osservazione che
vale a conferma, come detto, della piena tracciabilità di qualunque
operazione d’intervento sugli atti, spinta ora sino al punto di
assicurare per essi la definitiva appartenenza al processo
telematico, altra questione ponendosi, come nella specie, ove si
deduca a dibattito se il relativo ingresso sia per davvero accaduto
nel termine e nelle forme di legge ovvero si sia dato un oggettivo
impedimento a tale compiutezza operazionale; né l’evento, né un
qualsiasi fattore interferente emergono in realtà dal ricorso, in
guisa così da evidenziare l’errore di percezione nell’ordinanza
impugnata, che ha correttamente escluso che nel fascicolo
informatico la sentenza impugnata fosse inserita nel termine
dell’art.369 co.2 c.p.c.;
11.pari osservazione di irrilevanza appartiene al deposito
successivo del 27.7.2022 (accludente la documentazione del
versamento dei contributi prima non assolto), con scelta
denominativa della parte quale “atto generico”; a sua volta la
sentenza CNF del 13.6.2022 appare quale “ALLEGATO.3” (non
altrimenti denominato dal ricorrente, al pari di altri due allegati) a
corredo del terzo atto (ancora denominato “atto generico”),
depositato solo il 5.9.2022;
12.infine, e del tutto ovviamente, nessuna correlazione logica
può essere ascritta alla corrispondenza della cancelleria che,
richiedendo alla parte l’integrazione di versamento del contributo e
omettendo altri rilievi, non ha pacificamente proceduto ad alcuna
certificazione o anomala asseverazione implicite di pretesa
completezza documentale della produzione a quella data già in
PCT, compito e prerogativa che sono del tutto estranei alla pubblica
amministrazione; tale condotta non ha per vero instaurato alcuno
stato soggettivo di affidamento della parte, tale da giustificare ex
post la oggettiva tardività del deposito di completamento ex
art.369 co.2 c.p.c., né risultano attivati o dibattuti istituti di
rimessione nei termini;
13.il ricorso, prospettando a queste Sezioni Unite una
qualificazione di erroneità percettiva infondata, non può dunque
essere accolto;
14.sussistono i presupposti dell’obbligo per la parte di versare un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13,
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. s.u.
4315/2020).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater,
del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della
legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 10 ottobre
2023