Ordinanza 28469/2020
Compensazione – Presupposti
L’applicabilità delle disposizioni degli articoli 1241 e segg. c.c. (riguardanti l’ipotesi della compensazione in senso tecnico – giuridico) postula l’autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti, mentre quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale, purchè tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto diversamente si verificherebbe un – non consentito – ampliamento del “thema decidendum”, né rileva il carattere ufficioso dell’eccezione anche in grado d’appello in difetto delle necessarie allegazioni.
Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 15-12-2020, n. 28469 (CED Cassazione 2020)
Art. 1241 cc (Estinzione per compensazione) – Giurisprudenza
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo che ha articolato, la ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., nonché la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha esaminato l’eccezione di compensazione impropria che la stessa, pur senza riportarla nelle sue conclusioni finali, aveva sollevato negli “atti conclusionali” depositati nel giudizio d’appello.
2. Il motivo è inammissibile in entrambe le censure in cui è articolato.
3. Intanto, il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, denunciabile in cassazione a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., si configura solo nel caso in cui il giudice di merito abbia deciso omettendo completamente di esaminare un fatto storico dedotto in giudizio: non anche nel caso, come quello di specie, il cui il ricorrente assume che il giudice, in violazione dell’art. 112 c.p.c., abbia omesso di pronunciarsi su un’eccezione (di compensazione impropria) proposta nel corso del giudizio. In effetti, come questa Corte ha più volte evidenziato, la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art.112 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo si coglie, appunto, nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” d’appello), mentre nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (cfr. Cass. n. 1539 del 2018; Cass. n. 25761 del 2014; Cass. n. 5444 del 2006).
4. Quanto, poi, al vizio di omessa pronuncia, la Corte rileva che, ai fini della violazione dell’art. 112 c.p.c., è necessario che l’eccezione, sulla quale il giudice (d’appello) non si sia pronunciato, sia stata ritualmente formulata dalla parte (Cass. n. 25714 del 2014): nel senso, più precisamente, che, ove si tratti di un’eccezione rilevabile d’ufficio, come accade per la compensazione impropria (Cass. n. 16800 del 2015; Cass. n. 10798 del 2018), la stessa abbia dedotto, nell’atto d’appello, i fatti (estintivi, modificativi ed impeditivi) ad essa sottostanti (art. 345, comma 2°, c.p.c.). Nel caso di specie, però, la società ricorrente – come emerge dagli atti del giudizio di merito (che la Corte ha direttamente esaminato in ragione della natura processuale del vizio dedotto) – non risulta aver in alcun modo dedotto, nell’atto d’appello dalla stessa proposto, i fatti storici che, in quanto costitutivi in suo favore di un controcredito derivante dal medesimo rapporto dal quale era sorto il credito poi azionato dalla banca, avrebbero fondato la compensazione impropria asseritamente maturata. Questa Corte, in effetti, ha osservato come l’applicabilità delle disposizioni degli artt. 1241 ss. c.c. (riguardanti l’ipotesi della compensazione in senso tecnico-giuridico) postula l’autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti laddove, nel caso in cui i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale: a condizione, però, che tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio in quanto, diversamente, si verificherebbe un – non consentito – ampliamento del thema decidendum (Cass. n. 11030 del 2006, che ha cassato la sentenza di merito in quanto solo in secondo grado l’appellante aveva chiesto, con ampliamento del thema decidendum, che il giudice provvedesse al conteggio delle poste passive esistenti tra essa e il creditore che aveva agito in giudizio chiedendo il riconoscimento di competenze fondate sull’unico rapporto negoziale esistente tra loro).
5. Né, del resto, può rilevare il fatto che tale eccezione sia, come detto, rilevabile d’ufficio dal giudice. Le eccezioni di tale natura, in effetti, sono rilevabili, in via ufficiosa, (anche) dal giudice d’appello ma solo a condizione che la dimostrazione dei fatti sui quali sono fondate, sebbene non allegati in precedenza, emerga dal materiale probatorio raccolto nel giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni istruttorie (cfr. Cass. n. 31638 del 2018). Nel caso in esame, invece, la ricorrente non ha in alcun modo dedotto, riportandone in ricorso (e non nella memoria successivamente depositata) le emergenze rilevanti, se ed in quale misura i fatti invocati a fondamento di tale eccezione già risultavano dalle prove ritualmente acquisite nel corso del giudizio (anche d’appello), sicché, sul punto, la censura che ha proposto risulta priva della necessaria specificità.
6. Il ricorso dev’essere, quindi, dichiarato inammissibile.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
8. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 22 ottobre 2020.