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Cassazione Civile 29001/2021 – Responsabilità medica – Responsabilità della struttura sanitaria per fatto esclusivo del medico

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Sentenza 29001/2021

Responsabilità medica Responsabilità della struttura sanitaria per fatto esclusivo del medico

In tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art. 2049 c.c.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., atteso che, diversamente opinando, la concessione di un diritto di regresso integrale ridurrebbe il rischio di impresa, assunto dalla struttura, al solo rischio di insolvibilità del medico convenuto con l’azione di rivalsa, e salvo che, nel relativo giudizio, la struttura dimostri, oltre alla colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno sofferto dal paziente, da un lato, la derivazione causale di quell’evento da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità e, dall’altro, l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze, da parte sua, nell’adempimento del relativo contratto, comprensive di omissioni di controlli atti ad evitare rischi dei propri incaricati.

Cassazione Civile, Sezioni 3, Sentenza 20-10-2021, n. 29001   (CED Cassazione 2021)

Art. 1218 cc (Responsabilità del debitore) – Giurisprudenza

Art- 2049 cc (Responsabilità dei padroni e dei committenti) – Giurisprudenza

Art. 1228 cc (Responsabilità per fatto degli ausiliari) – Giurisprudenza

 

 

 

Rilevato che:

(OMISSIS) conveniva in giudizio l’ (OMISSIS) di Milano e il Dottor (OMISSIS) chiedendo la condanna solidale al risarcimento dei danni sofferti a seguito di un intervento di discectomia eseguito nel (OMISSIS) dal medico e presso la struttura allora denominata Casa di cura (OMISSIS);

il Tribunale accoglieva la domanda con pronuncia, per quanto qui rileva, confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare:

– l’intervento del Dottor (OMISSIS), mal eseguito con lesione per compressione della vertebra L5, aveva prodotto un danno biologico permanente che, stimato il compiuto quadro all’attualità con una percentuale invalidante del 66%, era individuabile nel 9%;

– la suddetta percentuale scaturiva dallo scorporo di quanto ascrivibile all’intervento in parola e dalla verifica peritale a mente della quale la lesione completa del nervo sciatico era quantificabile nei termini del 20% di danno biologico, mentre, essendo stata interessata, nel caso, solamente la radice del predetto nervo, tributario solo in parte della L5, derivando la propria formazione anche dalle vertebre L4 ed S1, la percentuale d’invalidità imputabile era di circa 1/3 di quella totale, tenuto conto degli esami strumentali, quali elettromiografia TAC, RM;

– il 6-7% che ne derivava era stato aumentato condivisibilmente dal giudice di primo grado fino al 9%, in ragione della criticità della situazione patologica complessiva;

– infine, mancando prova della predisposizione di un apparato organizzativo e funzionale idoneo, quanto meno a livello potenziale, a evitare rischi di errori dei propri incaricati, non era vinta la presunzione di pari responsabilità nei rapporti interni tra condebitori solidali;

avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Istituto (OMISSIS) s.p.a., articolando due motivi;

resiste con controricorso e ha proposto altresì ricorso incidentale, contenente un motivo, (OMISSIS);

resiste con controricorso, anche al ricorso incidentale, la (OMISSIS), chiamata in manleva dal Dottor (OMISSIS);

su richiesta del Pubblico Ministero è stata celebrata udienza pubblica con discussione orale.

Rilevato che:

con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2056, c.c., artt. 115, 116 c.p.c., artt. 40 e 41 c.p., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso e l’insufficiente motivazione, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare – come dedotto con specifica censura di appello avverso la decisione di prime cure e come desumibile dalla consulenza tecnica d’ufficio effettuata in istruttoria – che la percentuale di danno biologico del 9% era c.d. pura e non c.d. differenziale, data, quest’ultima, dalla differenza rispetto al 66% d’invalidità totale, comprensiva, quest’ultima, di patologie non derivanti dall’intervento medico in questione;

con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1298, 99, 100, 115, 116 c.p.c., artt. 1218, 1228, 2055, 2697, 2729 c.c., in uno all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poichè la Corte territoriale avrebbe errato mancando di considerare che, nei rapporti interni tra struttura sanitaria e medico, non poteva operare una presunzione di pari responsabilità, a fronte dell’accertata responsabilità esclusiva, sul piano colposo ed eziologico, della condotta del Dottor (OMISSIS), tenuto conto, come esposto con censura di appello, della mancata contestazione delle allegazioni effettuate dalla deducente, in comparsa di costituzione di prime cure, in ordine idonea scelta degli incaricati e ai dovuti controlli della loro competenza;

con l’unico motivo di ricorso incidentale si prospetta la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di pronunciarsi sulla specifica censura incidentale concernente la determinazione della percentuale di danno biologico, effettuata senza che la relazione peritale tenesse conto della funzionalità residua del nervo compromesso, e invece rapportandosi, banalmente e senz’altre specifiche, alla connessione del nervo a tre radici di cui solo una compromessa;

Rilevato che:

il primo motivo di ricorso principale è inammissibile;

questa Corte (Cass., 11/11/2019, n. 28986) ha chiarito che la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno c.d. biologico causato dall’illecito;

sono “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole o associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; sono, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;

le menomazioni coesistenti sono come tali irrilevanti ai fini della liquidazione, mentre le menomazioni concorrenti vanno tenute in considerazione:

a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro;

b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro;

fermo che lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale, la liquidazione corretta si otterrà sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), salvo il potere del giudice di ricorrere all’equità correttiva relativamente al caso specifico;

ciò in quanto il risarcimento del danno alla salute, sia quando è disciplinato dalla legge, sia quando avvenga coi criteri introdotti dalla giurisprudenza, avviene comunque con modalità tali che il “quantum debeatur” cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi: ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimenti più che doppi;

ne consegue che tale principio resterebbe vulnerato se, nella stima del danno alla salute patito da persona già invalida, si avesse riguardo solo e astrattamente al “delta” ovvero all’incremento del grado percentuale di invalidità permanente ascrivibile alla condotta del responsabile, e cioè, nel caso in esame al 9% d’invalidità: sono infatti, le funzioni vitali perdute dalla vittima e le conseguenti privazioni a costituire il danno risarcibile, non il grado di invalidità, che ne è solo la misura convenzionale;

e poichè le suddette sofferenze progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell’invalidità, l’adozione del criterio della mera sottrazione condurrebbe a una sottostima del danno;

parte ricorrente dichiara di non voler contestare la conformità della decisione gravata a questi principi nomofilattici, ma la circostanza che l’invalidità complessiva stimata all’attualità dai periti, al 66%, era dovuta essa stessa a patologie non riferibili all’intervento oggetto di giudizio;

la censura, però, mostra in realtà di voler eludere l’applicazione dei principi richiamati attraverso una rilettura istruttoria;

la relazione peritale, richiamata nel ricorso (pag. 10) solo in parte, riferisce:

– di “un peggioramento clinico”, e dunque a patologia pregressa;

– di “patologie associate” e non sopravvenute;

la sentenza impugnata, da parte sua, ha:

– escluso la rilevanza di “patologie successive” (pag. 23);

– parlato di rilevanza di eventi, incisivi sullo stato di salute, “precedenti o concomitanti” (pag. 24);

nei limiti del perimetro di cui all’art. 366, c.p.c., ovvero di quanto riportato in ricorso (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469), non è ipotizzabile, dunque, alcun vizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella legale quale correttamente ricostruita, ferma l’inammissibilità del vizio ex art. 348-ter c.p.c., comma 5, qui applicabile posta la c.d. doppia conforme, come tale non (idoneamente: Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 06/08/2019, n. 20994) contestata, “parte qua”;

il secondo motivo del ricorso principale è infondato;

al riguardo questa Corte (Cass., 11/11/2019, n. 28987) ha chiarito che la più frequente ricostruzione dell’istituto, oggi peraltro smentita testualmente dal disposto della L. n. 24 del 2007, art. 7, comma 1, sovrappone, erroneamente, la fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio ex art. 1228, c.c., dell’ente impersonale (che si serve di ausiliari quale strumento di attuazione dell’obbligazione contrattuale verso il paziente) pur sempre fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario (il che ne esclude la configurabilità in termini di responsabilità oggettiva, salva un’autonoma responsabilità “organizzativa” della struttura stessa), con la responsabilità indiretta per fatto altrui (concordemente ritenuta di tipo oggettivo) dell’imprenditore per i fatti dei propri dipendenti, disciplinata dall’art. 2049 c.c.;

si tratta di fattispecie astratte radicalmente differenti per morfologia ed effetti;

nel primo caso (art. 1228 c.c.) l’attività dell’ausiliario è incardinata nel programma obbligatorio originario che è diretto a realizzare, e per la cui realizzazione il debitore contrattuale si è necessariamente avvalso dell’incaricato, essendogli preclusa, attesa la natura giuridica di ente, ogni possibilità di adempimento “diretto”;

nel secondo caso (art. 2049 c.c.), la condotta pregiudizievole non si traduce propriamente nella mancata o inesatta esecuzione di un contenuto obbligatorio del committente verso un creditore, quanto piuttosto nello svolgimento di mansioni dannose per un terzo privo di una pregressa relazione qualificata con il debitore, ferma l’alterità dei soggetti imputabili dell’illecito (il preponente, il preposto): e proprio per ciò si richiede la preposizione e l’occasionalità necessaria (Cass., Sez. U., 16/05/2019, n. 13246) per la configurazione di, una responsabilità (concordemente ritenuta oggettiva) del “dominus”;

la L. n. 24 del 2007 – sopravvenuta rispetto alla fattispecie qui in scrutinio – al di là dei peculiari contenuti delle singole disposizioni espressione della discrezionalità regolatoria del legislatore, costituisce, nella cornice della specialità della materia, indice ermeneutico d’indirizzo a supporto della ricostruzione appena esposta;

poichè nella fattispecie di cui all’art. 2049 c.c., i due soggetti, il padrone ed il commesso, rispondono per titoli distinti ma uno solo di essi è l’autore del danno, non si verifica l’ipotesi del concorso nella produzione del fatto dannoso e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio secondo i criteri fissati dall’art. 2055 c.c.: ferma la corresponsabilità solidale nei confronti del danneggiato, il preponente responsabile – in estensione della tutela del terzo, ovvero in logica di garanzia com’è stato osservato in dottrina per il fatto altrui, può agire in regresso contro l’effettivo autore del fatto per l’intero e non “pro quota”;

quanto sopra spiega perchè in questa ipotesi vi sia regresso per l’intero, e la necessità di differenziare la fattispecie di cui all’art. 1228 c.c.;

ciò proprio perchè, in questo secondo e differente caso, la responsabilità di chi ha volontariamente incaricato l’ausiliario, e organizzato attraverso questo incarico l’esecuzione della propria obbligazione per i fini negoziali perseguiti, è, appunto, per fatto proprio, e non altrui;

come rimarcato negli studi, la relazione che si instaura tra “dominus” e danneggiato preesiste alla condotta dannosa di inadempimento e il coinvolgimento dell’ausiliario è strutturalmente funzionale all’adempimento di quella previa obbligazione;

dovendo escludersi l’ipotesi che il giudizio di rivalsa integri gli estremi di un’ordinaria azione da inadempimento del contratto che lega la struttura sanitaria al medico, posto che tale profilo contrattuale non risulta assorbente rispetto alle implicazioni della responsabilità medica verso terzi, i criteri generali della relativa quantificazione non possono che essere ricondotti, sia pure in modo complessivamente analogico, al portato degli artt. 1298 e 2055 c.c., a mente dei quali il condebitore in solido che adempia all’intera obbligazione vanta il diritto di rivalersi, con lo strumento del regresso, sugli altri corresponsabili, secondo la misura della rispettiva responsabilità;

in linea di principio, la misura del regresso in parola varia a seconda della gravità della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate;

L’art. 2055 c.c., comma 3, detta una presunzione “iuris tantum” di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori solidali, che impone al “solvens” di provare la diversa misura delle colpe e della derivazione causale del sinistro;

dal suo canto, l’art. 1298 c.c., detta la regola secondo la quale l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori in parti che si presumono eguali, “se non risulti diversamente”;

in questa cornice, e riprendendo le premesse poste, va rimarcato come il medico operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere “isolata”, in modo “impermeabile”, dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante, mentre il citato art. 1228 c.c., fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d’impresa (“cuius commoda eius et incommoda”) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse;

ne consegue che, se la struttura si avvale della “collaborazione” dei sanitari persone fisiche (utilità) si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati (danno): la responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non tanto in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato – e in questo si può integrare la motivazione della Corte di appello – bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento, realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino;

ecco perchè per individuare il credito da regresso si deve tenere conto del contributo personale all’illecito dell’ausiliario, e della riconduzione del danno all’inadempimento di un’obbligazione che resta nella titolarità del debitore, e quindi pertiene alla sua area di controllo e di rischio;

ne consegue, anche in questa chiave, l’impredicabilità di un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti del medico, in quanto, diversamente opinando, l’assunzione del rischio d’impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva, nel solo rischio d’insolvibilità del medico così convenuto dalla stessa;

tale soluzione deve incontrare un limite laddove si manifesti un evidente iato tra (grave e straordinaria) “malpractice” e (fisiologica) attività economica dell’impresa, che si risolva in vera e propria interruzione del nesso causale tra condotta del debitore (in parola) e danno lamentato dal paziente;

va precisato che, per ritenere superato l’assetto anche interno così ricostruito, non basta, pertanto, ritenere che l’inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, ma occorre considerare il composito e duplice titolo in ragione del quale la struttura risponde solidalmente del proprio operato, sicchè sarà onere del “solvens”:

a) dimostrare – per escludere del tutto una quota di rivalsa – non soltanto la colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno, ma la derivazione causale di quell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni;

b) dimostrare – per superare la presunzione di parità delle quote, ferma l’impossibilità di comprimere del tutto quella della struttura, eccettuata l’ipotesi sub a) – che alla descritta colpa del medico si affianchi l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze nell’adempimento del contratto di spedalità da parte della struttura, comprensive di controlli atti a evitare rischi dei propri incaricati, da valutare in fatto, da parte del giudice di merito, in un’ottica di duttile apprezzamento della fattispecie concreta;

nella fattispecie, parte ricorrente afferma che i controlli sui rischi, la cui assenza è stata addebitata dalla Corte di appello, era stata affermata senza contestazioni, ma la censura non si misura con la ragione decisoria fatta propria dal Collegio di merito, per cui non poteva operare il disposto dell’art. 115 c.p.c., stante la genericità delle affermazioni in parola per lo più relative solamente “alla scelta iniziale dei collaboratori” (pag. 30 della sentenza impugnata), che corrispondono a quelle riportate in ricorso (alle pagg. 17-18);

il ricorso incidentale è inammissibile;

la censura, pur sotto la veste formale della deduzione di omessa pronuncia, mira a una rilettura istruttoria deducendo un vizio di omesso esame precluso dal divieto ex art. 348-ter c.p.c., comma 5, più sopra evocato;

la Corte territoriale si è pronunciata sul profilo in parola valutando, per l’individuazione della frazione di un terzo dell’invalidità potenzialmente individuabile nel 20% in caso di lesione totale, sia il fatto che era stata interessata solo la radice del nervo coinvolto, sia le risultanze degli esami di elettromiografia, TAC, RM;

a fronte di ciò il motivo formulato sarebbe stato comunque inammissibile implicando una rilettura istruttoria estranea alla presente sede;

spese compensate per soccombenza reciproca tra ricorrente principale e incidentale;

secondo soccombenza quanto al resto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale, e compensa le relative spese processuali. Condanna il ricorrente principale e quelli incidentale alla rifusione delle spese processuali del controricorrente (OMISSIS), liquidate, a carico di ciascuno, in Euro 5.000,00, oltre a 200,00 Euro per esborsi, spese forfettarie e accessori legali.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente sia principale che incidentale, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma il giorno 16 aprile 2021