Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 29054/2017 – Trasferimento non adeguatamente giustificato del lavoratore a norma dell’art. 2103 cc – Rifiuto opposto dal lavoratore

Richiedi un preventivo

Ordinanza 29054/2017

Trasferimento non adeguatamente giustificato del lavoratore a norma dell’art. 2103 cc – Rifiuto opposto dal lavoratore – Legittimità

In caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c., sicché lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, in presenza di trasferimento illegittimo del lavoratore da Pomezia a Milano, aveva ritenuto proporzionata la reazione del lavoratore medesimo che aveva messo a disposizione le sue energie lavorative presso la legittima sede di lavoro).

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 5 dicembre 2017, n. 29054   (CED Cassazione 2017)

Art. 1460 cc (Eccezione d’inadempimento) – Giurisprudenza 

 

 

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza del 22 gennaio 2015 la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato a (OMISSIS) dalla (OMISSIS) Srl in data 9 ottobre 2003, con le conseguenziali pronunce reintegratorie e patrimoniali previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 pro tempore vigente;

che la Corte territoriale, premesso che il licenziamento era stato intimato con una doppia motivazione, ossia per l’inadempimento conseguente ad una assenza dal posto di lavoro ma anche per giustificato motivo oggettivo conseguente ad una diversa organizzazione aziendale, ha ritenuto privo di fondamento il giustificato motivo soggettivo, atteso che il lavoratore aveva “reagito” ad un comportamento illegittimo del datore di lavoro rappresentato dal trasferimento da (OMISSIS) a (OMISSIS) ed altresì che il mancato riscontro della asserita soppressione del posto di lavoro comportava “l’illegittimità di detto licenziamento anche sotto il profilo del giustificato motivo oggettivo”;

che avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui ha resistito lo (OMISSIS) con controricorso, mentre la (OMISSIS) Srl, cui il ricorso è stato notificato ai sensi dell’art. 332 c.p.c., non ha svolto attività difensiva;

che parte ricorrente ha depositato memoria e la Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il primo motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 41 Cost. per avere la sentenza impugnata ritenuto illegittimo il trasferimento valutando fatti successivi al momento in cui esso era stato disposto e che il secondo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di Appello omesso il compiuto esame della testimonianza del dott. (OMISSIS);

che tali doglianze non possono trovare accoglimento in quanto entrambe, anche laddove la prima è avanzata, ma solo formalmente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella sostanza investono pienamente la quaestio facti rappresentata dall’accertamento in concreto della ricorrenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive aziendali che legittimavano il trasferimento dello (OMISSIS);

che detto accertamento di fatto è riservato al sovrano apprezzamento del giudice di merito e non può essere sindacato da questa Corte di legittimità laddove si formulino censure, come nella specie, che travalicano i limiti imposti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014;

che il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. e dell’art. 1460 c.c. per avere la sentenza impugnata mancato di accertare l’importanza del preteso inadempimento del datore di lavoro, tale da rendere legittimo il rifiuto all’adempimento della prestazione lavorativa opposto dal lavoratore che non si era presentato presso la sede nella quale era stato trasferito;

che la censura è infondata, atteso che il mutamento della sede lavorativa deve essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti (Cass. n. 11927 del 2013; Cass. n. 27844 del 2009; Cass. n. 26920 del 2008; Cass. n. 16907 del 2006; Cass. n. 4771 del 2004; Cass. n. 18209 del 2002; Cass. n. 1074 del 1999); che in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460 c.c., comma 2, sicchè lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria (Cass. n. 3959 del 2016);

che senza violare norme di diritto ed in coerenza con i richiamati principi la Corte territoriale, al cospetto di un inadempimento datoriale oggettivamente gravido di negative conseguenze quale è il trasferimento illegittimo di un lavoratore da (OMISSIS) a (OMISSIS), ha ritenuto “del tutto proporzionata” la reazione dello (OMISSIS) che ha comunque messo “a disposizione le sue energie lavorative presso la legittima sede di lavoro”;

che il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, per non essere stata presa in considerazione la condotta inerte del lavoratore nel periodo 2004-2015 in relazione alla necessità di escludere dal risarcimento del danno quello, assertivamente verificatosi in tale periodo, che viceversa avrebbe potuto essere evitato o ridotto dal lavoratore usando l’ordinaria diligenza, senza che al riguardo rilevi in alcun modo l’unico gesto da lui compiuto nel 2003 con l’iscrizione nelle liste di collocamento; si aggiunge che da documentazione depositata nel corso del giudizio risulterebbe che lo (OMISSIS) avrebbe prestato attività lavorativa dall’ottobre 2014 al febbraio 2015;

che anche tale motivo va disatteso in quanto anch’esso, nonostante l’involucro solo formale della dedotta violazione di legge, nella sostanza censura l’accertamento di fatto compiuto dal giudice cui è devoluto per escludere che la condotta del lavoratore abbia determinato un danno che, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto essere evitato, invocando così un nuovo giudizio di merito, anche con riferimento a documenti depositati in corso di causa, precluso in questa sede di legittimità;

che, conclusivamente, il ricorso va rigettato, con spese liquidate a carico della ricorrente soccombente come da dispositivo in favore dello (OMISSIS), mentre nulla va disposto in favore della (OMISSIS) Srl che non ha svolto attività difensiva;

che occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di (OMISSIS) liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori come per legge e spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella Adunanza camerale del 27 giugno 2017