Sentenza 29166/2021
Rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia nei rapporti tra privati
La rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonché dalle norme dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori generali locali. Ne consegue che, ai fini della decisione delle controversie tra privati derivanti dalla esecuzione di opere edilizie, sono irrilevanti tanto l’esistenza della concessione (salva la ipotesi della c.d. licenza in deroga), quanto il fatto di avere costruito in conformità alla concessione, non escludendo tali circostanze, in sé, la violazione dei diritti dei terzi di cui al codice civile ed agli strumenti urbanistici locali, così come è, del pari, irrilevante la mancanza della licenza o della concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le disposizioni normative sopraindicate.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 20-10-2021, n. 29166 (CED Cassazione 2021)
Art. 872 cc (Violazione delle norme di edilizia) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 772 del 13 luglio 2016 la Corte di appello di Genova rigettò gli appelli proposti in via principale da (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS), e (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS), e in via incidentale da (OMISSIS) avverso la sentenza n. 299 del 2011 che, per quanto qui interessa, aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di un fabbricato e circostante terreno terrazzato sito in (OMISSIS), ad abbassare la porzione di terrapieno, comprensiva di muro di sostegno, colorata in giallo nella planimetria allegata al supplemento di consulenza tecnica d’ufficio, in quanto da essi realizzata ad una distanza dalla costruzione di proprietà della vicina (OMISSIS) inferiore alla misura di 12 metri, prescritta dal P.R.G. del comune di Imperia per le nuove costruzioni. La Corte territoriale confermò, inoltre, anche la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda della (OMISSIS) di condanna dell’altra parte alla messa in sicurezza dei muretti a secco situati al confine tra le due proprietà.
Il giudice di appello motivò le suddette statuizioni affermando che, sulla base degli accertamenti svolti dal consulente tecnico di ufficio, risultava che la porzione di terrapieno in oggetto era stata innalzata dai convenuti rispetto al livello originario, e che, configurando tale opera una nuova costruzione ed essendo frontistante il fabbricato della (OMISSIS), essa non rispettava la distanza di 12 metri tra costruzioni prescritta dal P.R.G. del comune di Imperia; che, con riguardo alla domanda proposta dalla (OMISSIS) di condanna delle controparti alla messa in sicurezza dei muretti a secco presenti sul confine e danneggiati dalla loro nuova opera, la consulenza tecnica aveva accertato che la condizione di precarietà degli stessi era dipeso in via prioritaria dal loro stato di vetustà e non dalla realizzazione del terrapieno. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 21 ottobre 2016, con atto notificato il 2 dicembre 2016, ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS), che propone altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi, a cui i ricorrenti in via principale hanno resistito con controricorso.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato memoria.
La trattazione dei ricorsi si è svolta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con la L. 18 dicembre 2010, n. 176, in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECICIONE
Il primo morivo del ricorso principale proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e specificamente dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., assumendo che la sentenza ha una motivazione soltanto apparente, del tutto inidonea a fornire un adeguato sostegno argomentativo alla statuizione impugnata. In particolare, si sostiene che la Corte di appello non abbia fornito alcun argomento di fatto per ritenere che il terrapieno in oggetto avesse natura artificiale e al fine di qualificarlo nuova costruzione, abbia trascurato il progetto, che non risultava basato su alcun rilievo tacheometrico, e le incertezze del consulente tecnico d’ufficio circa i valori di innalzamento e la larghezza della sopraelevazione, limitandosi a recepire acriticamente le risultanze della relazione peritale senza fare riferimento agli elementi diretti a comprovare l’innalzamento della quota originaria di terreno o comunque la sua dimensione, in contrasto con le dichiarazioni rese dai testimoni, le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio in ordine allo stato dei luoghi precedente i lavori e la circostanza di cui lo stesso giudice dà atto circa la preesistenza di un terrapieno naturale.
Il mezzo è infondato.
Questa Corte ha precisato che la violazione del disposto di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, che determina la nullità della sentenza per difetto di uno dei suoi contenuti essenziali, è rinvenibile nei soli casi in cui la sentenza sia del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi e così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. In particolare, la motivazione può qualificarsi apparente quando, benchè graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, lasciando così all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. n. 22232 del 2016; Cass. 13248 del 2020).
Il vizio denunziato non è rinvenibile nella sentenza impugnata, atteso che la Corte di merito ha motivato il proprio convincimento affermando che, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, il terrapieno di cui si controverte è consistito in un’opera di innalzamento della quota originaria del terreno, con conseguente incremento del precedente dislivello. Ha quindi ritenuto che la suddetta opera, consistente nella ” creazione di un nuovo terrapieno artificiale con muro a sostegno ” andasse qualificata come nuova costruzione ed ha confermato la condanna dei proprietari alla rimozione delle porzioni di essa poste a distanza inferiore di 12 metri dal fabbricato della controparte, individuata quale distanza minima prescritta dal P.R.G. del comune di Imperia per le nuove costruzioni.
La lettura della sentenza impugnata consente pertanto facilmente di comprendere l’iter logico-argomentativo della conclusione accolta. Nè la premessa di fatto in ordine all’innalzamento ad opera dei convenuti del livello della quota originaria del terreno si pone in alcun modo in contrasto con la constatazione di cui lo stesso giudice dà atto circa la preesistenza di un terrapieno naturale, avendo la stessa Corte precisato, richiamando gli accertamenti del consulente ma anche le deposizioni di numerosi testi, che l’opera contestata era consistita nella ” sopraelevazione di un originario terrapieno naturale”.
Il secondo motivo del ricorso principale denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, specificamente dell’art. 873 c.c. e dei regolamenti locali ovvero dell’art. 47 delle Norme di attuazione del Piano regolatore generale del comune di Imperia, relative alla disciplina delle distanze tra fabbricati, lamentando che la Corte territoriale abbia qualificato l’intervento come nuova costruzione senza considerare che, nel caso di specie, trattandosi di luoghi in dislivello naturale, il muro assolveva alla funzione di sostegno e di contenimento.
Il motivo è infondato.
La qualifica del manufatto de quo quale costruzione accolta dalla Corte genovese e le conseguenze che essa ne ha tratto appaiono esenti da censure e conformi all’indirizzo di questa Corte, che ha avuto modo in più occasioni di precisare che il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti, qualora il dislivello derivi dall’opera dell’uomo o il naturale preesistente dislivello sia stato artificialmente accentuato, deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti e soggetta, pertanto, agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 c.c. e dalle eventuali norme integrative, a nulla rilevando, sotto questo profilo, che esso assolva anche alla funzione di contenimento e sostegno del terrapieno (Cass. n. 1217 del 2010; Cass. n. 8144 del 2001).
Il terzo motivo di ricorso denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamentando che la decisione impugnata abbia trascurato che la parte convenuta (OMISSIS) aveva ottenuto dal comune in data 9.12.2002 la concessione in sanatoria del terrapieno.
Il mezzo è infondato in quanto il fatto la cui valutazione sarebbe stata omessa è irrilevante ai fini della controversia. Costituisce invero ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonchè dalle norme dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori generali locali. Ne consegue che, ai fini della decisione delle controversie tra privati derivanti dalla esecuzione di opere edilizie, sono irrilevanti tanto la esistenza della concessione (salva la ipotesi della cosiddetta licenza in deroga), quanto il fatto di avere costruito in conformità alla concessione, non escludendo tali circostanze, in sè, la violazione dei diritti dei terzi di cui al codice civile e agli strumenti urbanistici locali, così come è del pari irrilevante la mancanza della licenza o della concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le disposizioni normative sopraindicate (Cass. 12405 del 2007).
Il quarto motivo di ricorso denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamentando che la decisione impugnata non abbia preso in considerazione il documento n. 7 allegato al supplemento di consulenza tecnica d’ufficio, rappresentato dalla nota con cui il dirigente del settore urbanistica comunale aveva chiarito che la prescrizione del P.R.G. in merito alla distanza di 12 metri da osservare tra le costruzioni si riferiva solo ai fabbricati intesi come entità dal punto di vista urbanistico e non alle altre costruzioni, quali muri e terrapieni, per i quali è sufficiente il rispetto delle distanze previste dal codice civile.
Il quinto motivo del ricorso principale denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero dell’art. 47 N. D.A. del P.R.G. del Comune di Imperia, per avere il giudice a quo adottato di tale disposizione una interpretazione diversa da quella autentica fornita dallo stesso comune, secondo cui la distanza di 12 metri non si applica rispetto ai terrapieni.
I motivi, da trattarsi congiuntamene, essendo il quinto motivo logicamente subordinato al precedente, sono infondati, essendo il documento il cui esame sarebbe stato omesso privo di qualsiasi rilevanza decisiva ai fini della soluzione della questione controversa, traducendosi esso in un mero parere sulla interpretazione della norma del P.R.G., non già, come dedotto dai ricorrenti, in una interpretazione autentica della stessa, non essendo promanante dalla stessa autorità che ha adottato il piano nè assunto con le forme di questo. Va detto poi che le disposizioni del P.R.G. sono norme di diritto obiettivo, in quanto integrative delle norme del codice civile, la cui interpretazione è rimessa all’Autorità giudiziaria.
Il ricorso principale va pertanto respinto, con assorbimento del ricorso incidentale, essendo i due motivi con esso sollevati espressamente qualificati condizionati.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna i ricorrenti principali (OMISSIS) e (OMISSIS) in solido al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2021.