Sentenza 29353/2022
Clausola risolutiva espressa – Carattere vessatorio ex art 1341 cc – Esclusione
La clausola risolutiva espressa non ha carattere vessatorio, non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, comma 2, cod. civ., neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 10-10-2022, n. 29353 (CED Cassazione 2022)
Art. 1341 cc (Condizioni generali di contratto) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 14656/2011, il Tribunale ha accolto la domanda proposta dall’ISMEA – già Cassa per la formazione della proprietà agricola – e ha dichiarato la risoluzione, per inadempimento degli acquirenti (OMISSIS) e (OMISSIS), del contratto di vendita di un lotto di terreno seminativo sito nel Comune di (OMISSIS), rilevando che i convenuti non avevano versato due annualità consecutive del prezzo della vendita, violando la clausola risolutiva espressa apposta al contratto.
La sentenza è stata confermata in appello.
La Corte distrettuale di Roma ha ritenuto che l’Ismea, pur avendo incamerato in pendenza di causa talune rate di prezzo, non avesse rinunciato ad avvalersi della clausola risolutiva, ponendo in rilievo che il pagamento era stato effettuato dopo che l’Ismea aveva preannunciato di voler risolvere il contratto e allorquando la morosità si era ulteriormente aggravata.
Inoltre – secondo la pronuncia – detta clausola non poteva considerarsi vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c., essendo contenuta nell’atto di vendita stipulato con l’intervento del notaio.
La cassazione della sentenza è chiesta da (OMISSIS) e (OMISSIS) con ricorso in due motivi, cui l’Ismea resiste con controricorso e con ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria.
La causa è stata decisa in Camera di consiglio nelle forme di cui al Decreto Legge n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni con L. n. 176 del 2020, non essendo stata richiesta la discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1181, 1456 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando che la Corte di merito, pur correttamente affermando che l’Ismea non aveva inteso rinunciare agli effetti della clausola risolutiva, avrebbe dovuto considerare che il pagamento parziale effettuato in corso di causa, per un importo pari a circa la metà del prezzo vendita, escludeva la colpa degli acquirenti e la stessa sussistenza dell’inadempimento.
Il motivo è infondato.
In presenza di una clausola risolutiva espressa, la risoluzione è effetto dell’esercizio di un diritto potestativo che compete alla parte non inadempiente e che discende dalla semplice dichiarazione di volersene avvalere (Cass. 10201/2012; Cass. 16993/2007; Cass. 20595/2004; Cass. 8881/2000), cristallizzando a tale momento la situazione delle parti.
I presupposti di operatività della clausola risolutiva devono quindi sussistere al momento della dichiarazione, che resta inefficace solo qualora la controparte abbia già adempiuto alle proprie obbligazioni contrattuali, anche se ciò sia avvenuto oltre i termini, atteso che, solo fino a quando il creditore non effettua detta dichiarazione, il debitore può adempiere, seppure tardivamente (Cass. 4911/1995; Cass. 4926/1979).
Era quindi del tutto ininfluente il pagamento effettuato in pendenza di giudizio, essendo l’inadempimento già integrato dal mancato pagamento delle rate al momento in cui l’Ismea, notificando la citazione, aveva inteso avvalersi della clausola risolutiva.
2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1341 c.c., sostenendo che la clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di vendita era vessatoria, richiedendo una specifica sottoscrizione degli acquirenti, benchè il contratto fosse stato redatto per atto pubblico, non potendo ritenersi che la lettura dell’atto da parte del notaio conferisse alle singole pattuizioni maggiore evidenza e attenzionasse le parti sulle conseguenze che derivano dalla loro approvazione.
Il motivo è infondato.
La clausola risolutiva espressa non ha carattere vessatorio, non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341 c.c., comma 2, neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla (Cass. 17603/2018; Cass. 23065/2016; Cass. 15365/2010; Cass. 20818/2006; Cass. S.u. 193/1992 che, proprio con riferimento alle clausole inserita nei contratti di vendita degli enti pubblici, ha ribadito che non è “vessatoria” una clausola risolutiva espressa posta in relazione a un adempimento di indiscutibile rilevanza, correlata quest’ultima ai fini istituzionali di uno dei contraenti).
Per altro verso, le clausole inserite in un contratto notarile, ancorchè si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non sono comunque qualificabili come “predisposte” ai sensi ed agli effetti dell’art. 1341 c.c., e, quindi non abbisognano – comunque di una specifica approvazione (in tal senso, da ultimo, Cass. 15253/2020, Cass. 15237/2017; Cass. 4188/1998; Cass. 4269/1998; Cass. 17289/2004.).
Il ricorso è quindi respinto, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato e con aggravio delle spese processuali liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale e condanna i ricorrenti principali al pagamento solidale delle spese processuali che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7300,00, per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.