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Cassazione Civile 29635/2022 – Imposta sul reddito delle persone fisiche – Soggetti passivi cittadino italiano residente all’estero – Domicilio in Italia

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Sentenza 29635/2022

Imposta sul reddito delle persone fisiche – Soggetti passivi cittadino italiano residente all’estero – Domicilio in Italia

In tema d’imposte sui redditi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 T.U.I.R. e 43 c.c., deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dalla sua iscrizione all’AIRE. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, sulla base di elementi di fatto, quali l’uso di tariffe telefoniche a consumo e la presenza in Italia per vincoli familiari ed incarichi di docenza, aveva escluso la residenza fiscale italiana del contribuente, senza accertare se il domicilio estero fosse il luogo di gestione abituale degli interessi, riconoscibile dai terzi).

Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Sentenza 11-10-2022, n. 29635   (CED Cassazione 2022)

Art. 43 cc (Domicilio e residenza) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda oggetto della presente controversia, così come narrata nella sentenza impugnata dinanzi a questa corte di legittimità, trae origine da cinque avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti Di (OMISSIS), con i quali venivano recuperati a tassazione maggiori imposte ai fini Irpef, Irap ed Iva per gli anni 2002, 2004, 2005, 2006 e 2007.

(OMISSIS) impugnò tali avvisi di accertamento innanzi alla Commissione provinciale di Roma che, con sentenza n. 425/48/2011, previa riunione dei procedimenti, li accolse integralmente. I primi giudici annullarono gli avvisi di accertamento relativi agli anni 2002 e 2004, sul rilievo che erano stati emessi prima del termine di 60 giorni di cui al L. n.212 del 27 luglio 2000 art. 12, ritenendo in ogni caso fondati nel merito gli ulteriori motivi dedotti dal contribuente e, in primo luogo, l’insussistenza della residenza e del domicilio del (OMISSIS) in Italia.

2. La Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito, CTR), con la sentenza n. 222/02/2012, qui impugnata, confermò integralmente la sentenza dei primi giudici, sia sotto il profilo del vizio formale degli avvisi di accertamento, sia, nel merito, sulla non assoggettabilità ad imposizione fiscale del (OMISSIS) in quanto soggetto residente all’estero.

3. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso p.er cassazione, affidato a sette motivi. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

4. L’Agenzia delle entrate ha presentato, ex art. 378 c.p.c., memoria difensiva con la quale, nel richiamare i motivi di ricorso, ha allegato le sentenze del GIP di Roma n. 1836/2016 e n. 905/2017, passate in giudicato, di patteggiamento per il reato di corruzione nei confronti di (OMISSIS) e di un giudice appartenente alla Commissione tributaria regionale di Roma deducendo che “(…) essendo il giudizio avverso la sentenza di corruzione pendente innanzi a questa Ecc. Corte – non sussistono i presupposti per proporre revocazione “straordinaria” avverso la sentenza n. 222 del 2012 (…) tuttavia, potrà codesta Suprema Corte, prendendo atto del giudicato penale, cassare la sentenza impugnata in quanto risulta affetta da dolo del giudice”. Ha insistito, in ogni caso, per l’accoglimento del ricorso.

5. Con ordinanza del 14 febbraio 2020, questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo per acquisizione del fascicolo d’ufficio.

6. (OMISSIS) ha presentato, ex art. 378 c.p.c., memoria difensiva con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Anzitutto va rilevata l’inammissibilità della richiesta avanzata dall’Amministrazione erariale con la memoria depositata per l’udienza del 14 febbraio 2020, di “cassazione della sentenza per dolo del giudice”, trattandosi di censura che non è contemplata nei vizi tipici di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, per i quali è ammissibile il ricorso in Cassazione.

Sempre in via preliminare va disattesa l’eccezione sollevata dal controricorrente di inammissibilità del ricorso per essere redatto mediante integrale riproduzione degli atti relativi ai procedimenti merito e per carenza di specificità delle censure. Il ricorso contiene un’esposizione chiara ed esauriente dei fatti di causa, dalla quale risultano le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto le eccezioni, le ditese e le deduzioni di ciascuna parte, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni essenziali, di talchè anche la riproduzione contenuta in ricorso degli atti processuali dei giudizi di merito, si pone come elemento chiarificatore che non rende criptico il ricorso, ma soccorre, invece, alla localizzazione dei motivi di doglianza proposti. In tali termini, in considerazione della complessità della vicenda processuale, l’inserimento in ricorso delle copie fotostatiche degli atti relativi al giudizio di merito, non ha violato il principio di autosufficienza, in quanto la riproduzione integrale di alcuni atti è stata accompagnata da una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta (ex plurimis, v. Cass., 24/07/2018, n. 19562).

2. Col primo motivo di ricorso l’Amministrazione ricorrente deduce, ex art. 360, n. 4), c.p.c.., la nullità della sentenza per ultrapetizione, in quanto, pur in assenza di specifica doglianza del contribuente contenuta nel ricorso introduttivo, la CTR, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ha annullato gli avvisi di accertamento, relativi alle annualità 2002 e 2004, perchè emessi ante tempus rispetto al termine di sessanta giorni indicato dall’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000.

Col secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge cit., là dove la CTR ha ritenuto di accogliere, limitatamente agli accertamenti 2002 e 2004, l’eccezione di nullità per violazione dell’art. 12 L. cit.

2.1. Tali motivi – che si esaminano congiuntamente per connessione di censure – sono fondati per quanto di seguito esposto.

è principio pacifico che “(I)il termine di decadenza stabilito a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente per l’esercizio del potere impositivo ha natura sostanziale e non appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del Fisco” (così, Cass., 09/01/2015, n. 171). Ne deriva che è riservata al contribuente stesso la scelta di avvalersi o meno della relativa eccezione di decadenza nel corso del giudizio e che – trattandosi di eccezione in senso proprio – non è rilevabile ex officio dal Giudice nè proponibile per la prima volta in grado di appello ex art. 345 c.p.c.

2.2. Dalla lettura dei ricorsi originari afferenti agli anni 2002 e 2004, acquisiti da questa Corte giusta ordinanza del 14/02/2020 e, comunque, trascritti integralmente in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, non risulta che il contribuente abbia eccepito la decadenza del potere accertativo per i motivi anzidetti.

Sia nel ricorso introduttivo che nelle memorie illustrative conclusive il contribuente contesta l’invalidità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione (così nel ricorso alla CTP: “1. NULLITA O INVALIDITA DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE. L’avviso di accertamento che qui si impugna si limita a riportare pedissequamente (…) il verbale della guardia di finanza (…) L’Ufficio avrebbe dovuto dare conto in modo esplicito della valutazioni che, a seguito del contraddittorio del contribuente (enfasi aggiunta), hanno condotto a ritenere fondato il PVC (…) l’Ufficio non ha valutato le eccezioni della parte i cui esiti dovevano essere valutati e specificati compiutamente nella motivazione (…) un accertamento che per deliberata dichiarazione dell’ufficio, è stato emesso e valutato in breve tempo proprio perchè prossimi alla scadenza dei termini di cadenza per l’anno accertato”; così nella memoria conclusiva: “1. NULLITA’ O INVALIDITA’ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE. Si conferma il testo del ricorso.”). Nè le deduzioni contenute nel ricorso originario circa i mancati esiti del contraddittorio svolto nella fase procedimentale (“l’Ufficio non ha valutato le eccezioni della parte i cui esiti dovevano essere valutati e specificati compiutamente nella motivazione”) sono idonee a sostanziare un rilievo di decadenza dell’Ufficio ex art. 12, comma 7, L. cit. Al contrario, delle espressioni ivi usate, si fa riferimento a termini in prossima scadenza ma non ancora scaduti (“(…) il contraddittorio… non ha avuto alcun esito… stante l’immediata decadenza dell’attività accertativa per l’anno 2002”; “(…) un contraddittorio appena iniziato e mai concluso, un accertamento dovuto per l’imminenza di cadenza dei termini Un accertamento che per deliberata dichiarazione dell’Ufficio è stato emesso e valutato in breve tempo proprio perchè prossimi alla scadenza dei termini di decadenza per l’anno accertato”, v. controricorso pagg. 5/6).

2.3. Inoltre, è evidente dalla lettura del primo motivo del ricorso come non vi sia alcun riferimento ad una notifica degli avvisi, per le annualità 2002 e 2004, avvenuta anteriormente al decorso del termine di 60 giorni.

2.4. In definitiva, in mancanza di un’eccezione di decadenza da parte del contribuente, la statuizione dei secondi giudici di annullamento degli avvisi di accertamento, relativi alle annualità 2002 e 2004, perchè emessi ante tempus rispetto al termine di sessanta giorni indicato dal L. n. 212 del 2000 art. 12, comma 7, è affetta da vizio di ultrapetizione.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente Amministrazione censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la decisione impugnata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione, del Decreto del Presidente della Repubblica n.917 del 22 dicembre 1986 artt. 2, comma 2 e comma 2-bis, e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la CTR non ha verificato l’effettività del domicilio del contribuente – rilevante ai sensi delle citate disposizioni, secondo il principio della tassazione del reddito ovunque prodotto – da intendersi quale domicilio in cui il soggetto sottoposto ad imposizione fiscale ha la sede principale degli affari e degli interessi economici e delle relazioni personali. La ricorrente deduce, altresì, come i fatti valorizzati fossero irrilevanti ai fini dell’indagine sul domicilio fiscale effettivo, violandosi, così, le regole dell’onere probatorio.

Il quarto motivo di ricorso è dedotto in subordine al mancato accoglimento del terzo mezzo. Con esso, l’Agenzia delle entrate si duole, ex art. 360 c.p.p., primo comma, n. 5), della insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia per aver la CTR dato rilievo a circostanze di fatto del tutto irrilevanti ai fini dell’effettività del domicilio del domicilio senza considerare le circostanze, fortemente indiziarie, poste a base degli avvisi di accertamento emessi nei confronti del (OMISSIS) e riproposte nei giudizi di merito.

3.1. Il terzo motivo motivo è fondato.

è orientamento di questa Corte, a tutt’oggi non contrastato, che, in tema d’imposte sui redditi, in base al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986, art. 2, secondo comma, la residenza fiscale in Italia non può essere esclusa solo con l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero (AIRE), qualora il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonchè delle proprie relazioni personali, non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della “scelta” dell’interessato, rilevante solo quanto alla libertà dell’effettuazione della stessa, ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta; a tal fine, dunque, per il principio dell’affidamento, il centro principale degli interessi vitali del soggetto non può che essere individuato dando prevalenza al luogo in cui vi sia l’effettività della la gestione di detti interessi e sempre che sia riconoscibile dai terzi (cfr., Cass. n. 14434/2010 cit.; Cass., 16/01/2015, n. 677).

3.2. La CTR sulla base di taluni elementi di fatto addotti dal contribuente (tariffe telefoniche fiat, a consumo, per l’uso del telefono nel Principato di Monaco; la presenza in Italia del (OMISSIS) solo per vincoli familiari e per corsi da docente di doppiatore; la vicinanza del Principato a Roma, che gli consentiva di rientrare in giornata, v. sentenza pag. 2 dei motivi della decisione) ha ritenuto che “il signor (OMISSIS) abbia superato la presunzione legale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 art. 2 di fittizietà del trasferimento(…)”.

3.3. In considerazione dei principi di diritto su richiamati, l’erroneità di tale decisione sta nell’aver affermato la residenza monegasca di (OMISSIS), escludendo quella italiana, senza compiere alcuna valutazione sull’effettività del domicilio nei termini appena indicati e quindi sulla prevalenza, rispetto all’Italia, del Principato di Monaco quale luogo di gestione abituale, riconoscibile dai terzi, degli interessi economici e personali del (OMISSIS).

Ed invero, la Commissione regionale, sembra aver sovvertito il regime presuntivo di cui all’art. 2 del Decreto del Presidente della Repubblica cit., laddove anche a fronte dei numerosi elementi indiziari addotti dall’Ufficio per provare l’effettività in Italia del domicilio del contribuente (tra cui la titolarità di tre appartamenti, numerose attività professionali legate alla sua attività di attore/doppiatore con percezione dei relativi compensi, l’intensa attività di spesa e d’incasso documentate dagli accertamenti bancari nonchè il centro delle sue relazioni personali e familiari) non ha compiuto una valutazione sull’effettività del domicilio in termini di centro principale degli interessi vitali del soggetto contribuente.

3.4. L’accoglimento del terzo motivo esonera dalla trattazione del quarto motivo di ricorso – articolato in via subordinata – che, quindi, rimane assorbito.

4. Col quinto motivo, l’Amministrazione si duole, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 art. 53, là dove la CTR ha escluso che il (OMISSIS) svolgesse in Italia abitualmente attività professionale di lavoro autonomo e dipendente con percezione dei relativi compensi, per attività legate allo spettacolo come risultanti dalle verifiche in atti. Col sesto motivo censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante lo svolgimento in Italia di tali attività professionali da parte del (OMISSIS).

4.1. Il quinto ed il sesto mezzo rimangono assorbiti dall’accoglimento del terzo motivo, essendo lo svolgimento dell’attività professionale e il carattere non occasionale dei redditi percepiti dal 2002 al 2007, sia come lavoratore autonomo che come dipendente, accertamento intimamente connesso alla valutazione dell’effettività del domicilio quale luogo di gestione degli interessi vitali del contribuente. Va da sè che tale accertamento riguardi anche il presupposto impositivo ai fini Irap sul quale, contrariamente a quanto dedotto dal (OMISSIS) in controricorso, non si è formato alcun giudicato.

5. Con il settimo motivo di ricorso, la ricorrente Amministrazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3), la violazione e falsa applicazione del del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973 art. 32, primo comma, n. 2) e n. 7), nella parte in cui la CTR ha ritenuto che risultanze delle indagini bancarie non potevano assumere alcuna rilevanza fiscale non svolgendo il (OMISSIS) attività professionale in Italia.

5.1. Sul punto, la CTR ha ritenuto che: “Quanto, infine, raccolta alle risultanze delle indagini bancarie essendo venuta meno ogni ipotesi di esercizio di attività professionale in Italia, non possono assumere alcuna rilevanza fiscale nel caso di specie anche perchè i relativi versamenti coincidono con il complesso dei redditi dichiarati”.

5.2. è principio pacifico che l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito, quali prove presuntive di maggiori ricavi

o operazioni imponibili, ai sensi degli Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, e Decreto del Presidente della Repubblica n.633 del 26 ottobre 1972 art. 51, comma 2, n. 2,, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo, atteso che, ove non sia contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito da essa ricavato, incombendo al contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (Cass., 28/02/2017, n. 5135; in termini, v. Cass., 23/04/2007, n. 9573 e Cass., 13/10/2011, n. 21132).

è, altresì, principio pacifico che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo Decreto del Presidente della Repubblica n.600 del 29 settembre 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili” (cfr., ex multis, Cass., 04/08/2010, m 18081; Cass., 29/07/2016, n. 15857; Cass., 05/10/2018, n. 24422).

Sulla necessità di una valutazione analitica delle movimentazioni bancarie da parte del giudice di merito, questa Corte si è più volte espressa ritenendo che se debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi, è pur vero che, a fronte dell’analiticità nella deduzione del mezzo di prova o comunque delle allegazioni difensive da parte del contribuente debba corrispondere speculare analiticità da parte del giudice nell’esaminare quanto dedotto e documentato (cfr. 28/11/2018, n. 30786).

Non può mancarsi di ricordare che in base agli esiti della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, benchè la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 art. 32, comma 1, n. 2, si estende alla generalità dei contribuenti, (come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2), le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito d’impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (cfr., ex pluribus, Cass., 16/11/2018, n. 29572).

5.3. Alla luce dei suddetti principi, non v’è dubbio che la Commissione tributaria regionale abbia completamente obliato le regole ed i principi, anche sull’onere probatorio, che regolano la materia ritenendo irrilevanti le operazioni bancarie ai fini della determinazione dell’imponibile e trascurando l’esame e la valutazione analitica delle movimentazioni bancarie oggetto di accertamento anche in rapporto agli ulteriori elementi presuntivi oggetto di contestazione tra le parti.

6. In conclusione, accolti i motivi primo, terzo e settimo ed assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi su esposti. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in sede di rinvio, è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto in motivazione; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 settembre 2022.