Ordinanza 2980/2023
Vizi di motivazione – Declaratoria di irrilevanza delle prove dedotte – Rigetto della domanda per difetto di prova – Violazione del ‘minimo costituzionalè della motivazione
La motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il “minimo costituzionale”, qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, dopo avere erroneamente escluso l’esame testimoniale degli autori delle perizie stragiudiziali prodotte, siccome finalizzato a confermarne il contenuto, aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti di una struttura sanitaria, ritenendola insufficientemente provata).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 1-2-2023, n. 2980 (CED Cassazione 2023)
Art. 360 cpc (Ricorso per cassazione) – Giurisprudenza
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 5337/18, del 30 novembre 2018, della Corte di Appello di Milano, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 669/17, del 19 aprile 2017, del Tribunale di Pavia – ha confermato il rigetto della domanda volta a far valere la responsabilità professionale dell’Avv. (OMISSIS), con condanna dello stesso al risarcimento dei danni.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver convenuto in giudizio l’Avv. (OMISSIS), sul presupposto che lo stesso – incaricato dal (OMISSIS) e dalle di lui consorte, (OMISSIS), della gestione stragiudiziale della controversia che i predetti coniugi si proponevano di intentare per il ristoro dei danni conseguenti ad un episodio di malpractice medica, sfociato in lesioni gravissime subite dalla donna e comportanti, tra l’altro, la procurata incapacità a procreare della stessa avrebbe, con il proprio comportamento negligente, determinato il decorrere del termine quinquennale di prescrizione del diritto del (OMISSIS) a conseguire il risarcimento del pregiudizio subito.
Si assume nel ricorso, infatti, che il legale, senza essere riuscito in più di quattro anni ad ottenere alcunchè dall’assicuratore della struttura sanitaria, sollecitato dai propri assistiti a promuovere il procedimento di mediazione, nel depositare la relativa domanda errava nell’identificare nella ASL di (OMISSIS) (e non nell’ospedale di (OMISSIS)) il soggetto passivo della richiesta, tanto da vedersi revocare l’incarico dai propri assistiti, esasperati dall’inerzia del professionista.
Nominato, dunque, un nuovo legale, la sola (OMISSIS) grazie all’opera dallo stesso prestata – conseguiva, in via stragiudiziale, la somma di Euro 146.494,00, atteso che, quanto alla posizione del (OMISSIS), risultava ormai maturata la prescrizione, essendo decorsi più di cinque anni, in assenza di ulteriori atti interruttivi, dall’atto posto in essere nell’anno 2006, peraltro, da professionista diverso dall’Avvocato (OMISSIS).
Radicato, pertanto, giudizio volto a fare valere la responsabilità dell’ (OMISSIS), il Tribunale di Pavia – innanzi al quale il convenuto si costituiva, essendo anche autorizzato a chiamare in causa il proprio assicuratore, (OMISSIS) S.p.a., per essere dallo stesso manlevato – respingeva la domanda, con decisione confermata dal giudice di appello, che rigettava il gravame dell’attore soccombente, ritenendo insussistente la prova del danno patito dal (OMISSIS).
3. Avverso la sentenza della Corte ambrosiana ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), sulla base – come detto – di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui “non ha considerato quale prova agli atti del giudizio il fatto storico dell’avvenuto pagamento del risarcimento del danno subito dalla Sig.ra (OMISSIS)”, e ciò “in contrasto con le allegazioni di parte e i documenti di causa”, tra i quali, in particolare, la transazione intercorsa tra la stessa e la compagnia assicuratrice dell’Ospedale di (OMISSIS), valevole, invece, almeno come prova atipica.
La Corte territoriale ha ritenuto, per contro, che tale accordo non fosse “riferito al medesimo danno riflesso patito dal marito” della (OMISSIS), “ovvero alla sterilità della donna a causa di errate cure”, nè che esso comportasse ammissione di alcuna responsabilità dell’Ospedale. Orbene, la sentenza impugnata sarebbe affetta – secondo il ricorrente – da motivazione apparente, oltre che adottata in aperta violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per aver ignorato tale fatto storico, peraltro certo e incontestato.
In presenza di tale fatto, pertanto, l’unico motivo per il quale il risarcimento avrebbe potuto essere negato al (OMISSIS) era costituito dalla presenza di circostanze ostative ulteriori, relative alla sua specifica posizione, circostanze insussistenti, essendo stato il risarcimento negato, invece, proprio in ragione dell’intervenuta prescrizione del suo diritto.
3.2. Il secondo motivo denuncia – in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729, 1218, 1223 e 2043 c.c., nonchè degli artt. 112, 115, 116 e 132, comma 2, n. 4), c.p.c., oltre a nullità della sentenza.
Si censura la sentenza impugnata per non aver considerato quali prove atipiche della responsabilità della struttura ospedaliera, e quindi, di riflesso, del danno lamentato dal (OMISSIS), le sei perizie di parte prodotte dal già attore/appellante (recanti la descrizione delle vicende cliniche della Sig.ra (OMISSIS), con l’indicazione analitica e, spesso, la trascrizione delle certificazioni e dei referti degli esami), oltre che per aver omesso di considerare gli elementi di prova costituiti da presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti che convergevano verso il medesimo esito.
Si assume, inoltre, che la Corte ambrosiana avrebbe dovuto rilevare la genericità della contestazione – donde la violazione dell’art. 115 c.p.c. – mossa dall’Avv. (OMISSIS) in merito all’allegazione della responsabilità della struttura ospedaliera.
Il convenuto, infatti, avrebbe proposto – in contrasto con le risultanze delle perizie e della documentazione sanitaria in atti – una “una fantasiosa ricostruzione della storia sanitaria” della (OMISSIS), sia sostenendo che l’impossibilità di procreare fosse preesistente all’intervento dei sanitari, sia che venne risarcita solo in ragione dell’avvenuta sottoposizione all’intervento in assenza di previa acquisizione del consenso informato.
Si censura, poi, la sentenza impugnata per aver errato nella distribuzione degli oneri probatori in tema di responsabilità
medica, in base ai quali – secondo quanto affermato da Cass. Sez. Un., sent. 11 gennaio 2008, n. 577 – una volta dedotti dal paziente i fatti che rendano verosimile il pregiudizio alla salute, grava sulla struttura sanitaria (o sul medico) l’onere di fornire la prova contraria.
3.3. Il terzo motivo denuncia – in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2731 c.c., nonchè degli artt. 112, 115, 116 e 183, comma 7, c.p.c., oltre a nullità della sentenza.
Si censura la sentenza impugnata per aver escluso la prova testimoniale richiesta da parte attrice, vertente sugli accertamenti (e solo secondariamente sulle valutazioni) compiuti dai periti, e dunque sui “fatti clinici”, salvo addebitare – in modo insanabilmente contraddittorio – allo stesso attore il mancato assolvimento dell’onere della prova.
Inoltre, nell’apprezzare la richiesta di prova, il giudice di appello sarebbe incorso in un errore “percettivo” (sindacabile da parte di questa Corte, diversamente da quello valutativo), avendone riferito l’oggetto alla conferma delle “perizie”, e non dei “fatti” oggetto delle stesse.
3.4. Il quarto motivo denuncia – in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 112, 115, 116, 118, 210 e 183, comma 7, c.p.c., oltre a nullità della sentenza.
Si censura, in questo caso, la pronuncia impugnata per aver escluso l’ammissibilità dell’ordine di esibizione – rivolto alla compagnia assicuratrice dell’Ospedale di (OMISSIS) e al medico-legale fiduciario della stessa – della perizia redatta sulla persona della (OMISSIS). Si assume l’illegittimità di tale decisione, non sussistendo alcuna preclusione all’accoglimento dell’istanza ex art. 210 c.p.c., il rigetto della quale andava debitamente motivato, ancora una volta, infine, addebitandosi ad esso (OMISSIS) il fallimento (al quale il giudice di appello aveva, invece, dato causa) della prova della responsabilità della struttura sanitaria.
3.5. Il quinto motivo denuncia – in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 112, 115, 116, 62, 191 e 183, comma 7, c.p.c., oltre a nullità della sentenza.
Si censura, in questo caso, la sentenza impugnata per aver escluso l’ammissione di una consulenza tecnica medico-legale e poi ritenuto carente la prova della responsabilità della struttura.
4. Hanno resistito all’impugnazione, con distinti controricorsi, (âEuroËœ (OMISSIS) e la società (OMISSIS), per chiedere che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. Il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle censure formulate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati, ovvero in relazione al terzo motivo.
6.1. Il primo motivo è, infatti, inammissibile.
6.1.1. Esso censura la decisione della Corte ambrosiana di escludere che l’intervenuta transazione tra la (OMISSIS) e l’assicuratrice dell’Ospedale di (OMISSIS) valesse come prova della responsabilità di quest’ultima.
La censura – che investe, inammissibilmente, l’apprezzamento della prova – è proposta come violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Questa Corte ha, però, chiarito che la violazione dell’art. 115 c.p.c. – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probata partium” – “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01).
Inammissibile, d’altra parte, è pure la censura di violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile unicamente quando “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonchè Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre “ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01) o di inconciliabilità logica (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), tali da rendere le sue “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01).
Si tratta di principi ancora di recente ribaditi da questa Corte, essendo stato chiarito che la violazione dell’art. 116 c.p.c. non è denunciabile “quale apprezzamento non prudente della prova da parte del giudice, e cioè quale cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove” e ciò “posto che le prove devono essere dal giudice valutate secondo il “suo” – precisa l’art. 116 – prudente apprezzamento” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 17 novembre 2021, n. 34786, Rv. 663118-01).
Difatti, se è vero che l’uso “nella disposizione dell’aggettivo possessivo “suo” non ha il senso del rimando ad un’arbitrarietà soggettiva”, perchè si tratta pur sempre “dell’attributo di un parametro di riferimento, e cioè quello del “prudente” apprezzamento” (visto che, con riferimento a quello compiuto dal giudice, la “legge non parla di “suo apprezzamento”, ma di “suo prudente apprezzamento””), resta, nondimeno, inteso che è proprio da tale declinazione in termini soggettivi del prudente apprezzamento della prova che deriva “il fondamento della libertà, e non sindacabilità in sede di legittimità, della funzione giudiziale prevista dall’art. 116”, con l’ulteriore conseguenza che il “controllo sul giudizio di fatto resta affidato all’impugnazione di merito che caratterizza il giudizio di appello, il quale costituisce, come è noto, non un sindacato sull’atto (il provvedimento giurisdizionale di primo grado), ma un giudizio direttamente sul rapporto dedotto in giudizio (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 34786 del 2021, cit.).
In conclusione, l’art. 116 c.p.c. fonda “l’autonomia del giudizio del giudice di merito in ordine ai fatti della causa, quale corollario, nel processo civile, dei valori costituzionali di autonomia e indipendenza dell’autorità giudiziaria (Cost., art. 104)” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 34786 del 2021, cit.).
6.2. Il secondo motivo, invece, non fondato.
6.2.1. Nello scrutinarlo si ritiene, innanzitutto, di dover ribadire – quanto alla censura relativa all’efficacia probatoria delle perizie di parte – il principio secondo cui la “perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto” (Cass. Sez. 5, ord. 27 dicembre 2018, n. 33503, Rv. 651998-02; Cass. Sez. 3, sent. 22 aprile 2009, n. 9551, Rv. 607812- 01).
Non fondata è anche la censura di violazione del principio di non contestazione, giacchè proprio il lamentato carattere “fantasioso” della ricostruzione avversaria circa la natura (e l’origine) del danno patito dalla (OMISSIS) conferma che non vi è stata “generica” contestazione, o meglio, mera negazione dell’esistenza dello stesso, ciò che avrebbe comportato la “relevatio ab onere probandi”, ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 115, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. 27 agosto 2020, n. 17889, Rv. 658756-01),
D’altra parte, neppure può prospettarsi l’avvenuta violazione delle norme sulle presunzioni. Difatti, se è vero che anche il rifiuto di trarre una presunzione dalle risultanze istruttorie è “deducibile senza dubbio come vizio di falsa applicazione delle norme degli artt. 2727 e 2729 c.c.”, ciò presuppone che nella motivazione della sentenza di merito si colga, e quindi si denunci, “un’argomentazione motivazionale espressa con cui il giudice violando alcuno dei paradigmi dell’art. 2729 c.c. si rifiuta erroneamente di sussumere la vicenda fattuale (assunta proprio come egli l’ha individuata) sotto la norma stessa e, quindi, di applicare una presunzione che doveva applicare”, dovendo il “rifiuto espresso e motivato di individuare una presunzione “hominis”” essere trattato “allo stesso modo dell’applicazione di una presunzione senza rispetto dei paradigmi normativi indicati dall’art. 2729 c.c.”, visto che in “entrambi i casi la denuncia in Cassazione è possibile secondo il verso della c.d. falsa applicazione della norma dell’art. 2729 c.c.” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2018, n. 17720, Rv. 649663-01). Nel caso di specie, tuttavia, ciò che risulta mancare – nel testo della sentenza impugnata – è proprio tale rifiuto “espresso e motivato”, del giudice di appello, di trarre una “presumptio hominis” dagli elementi a sua disposizione.
Nè, infine, può dirsi che siano stati disattesi i principi sull’onere della prova in tema di responsabilità medica, giacchè il ricorrente sembra ignorare che – secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte sul “doppio ciclo causale” in tema di malpractice sanitaria – è a carico del paziente/danneggiato la prova del nesso causale fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario (Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991, Rv. 655828-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18102, Rv. 658517-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 26 novembre 2020, n. 26907, Rv. 659901-01).
6.3. Il terzo motivo è, invece, fondato, nella parte in cnsura – ipotizzandone la nullità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – la decisione di non dare corso all’esame testimoniale degli autori delle perizie.
6.3.1. Si è detto come la perizia giurata, depositata da una parte, non sia dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, avendo valore di semplice indizio; nondimeno, alla parte che ha prodotto la perizia è “riconosciuta la facoltà di dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente, che, se confermate dal medesimo in veste di testimone, possono acquisire dignità e valore di prova, sulla quale allora il giudice di merito dovrà, esplicitamente o implicitamente, esprimere la propria valutazione ai fini della decisione” (Cass. Sez. 2, sent. 19 maggio 1997, n. 4437, Rv. 504491-01; in senso conforme; Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2002, n. 2737, Rv. 552518-01).
Sotto questo profilo, risulta errata l’affermazione della Corte territoriale, la quale ha addebitato all’odierno ricorrente di non aver fornito prova della responsabilità della struttura sanitaria, presupposto necessario per poter ascrivere, al già legale del (OMISSIS), la responsabilità, a propria volta, di aver fatto prescrivere il credito risarcitorio del suo assistito in relazione alla procurata incapacità a procreare della consorte, ovvero ad un’evenienza che, “lungi dal provocare un pregiudizio indiretto sul coniuge, è in grado di riverberare i suoi effetti, in via immediata e riflessa, nella relazione di coppia, e pertanto di incidere direttamente anche sul coniuge, egualmente privato di un aspetto importante e caratterizzante del rapporto di coppia, collegato ai diritti e obblighi sanciti nell’art. 142, comma 2, c.c.” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 23 ottobre 2018, n. 26728, Rv. 651140-02). In particolare, ha errato la Corte ambrosiana nel ritenere che a tale deficit probatorio non potessero “supplire le dedotte prove testimoniali, perchè finalizzate alla conferma di atti di parte”. Scopo della prova testimoniale, per contro, era di assicurare che quei documenti, fino ad allora dotati di valore meramente indiziario, potessero -grazie all’esame dei loro autori – “acquisire dignità e valore di prova”, sulla quale allora il giudice di merito avrebbe dovuto “esplicitamente o implicitamente, esprimere la propria valutazione”.
La decisione, dunque, di escludere siffatta prova testimoniale – sull’errato presupposto che essa fosse diretta a confermare atti di parte – inficia di nullità la sentenza impugnata, se è vero che “la motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il “minimo costituzionale”, qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova” (Cass. Sez. 3, ord. 9 novembre 2017, n. 26538, Rv. 646837-01; cfr. anche Cass. Sez. 3, sent. 22 giugno 2016, n. 12884, Rv. 640419-01).
6.3.2. Il terzo motivo va, dunque, accolto, con assorbimento del quarto e del quinto, atteso il carattere pregiudiziale che la censura oggetto del presente motivo presenta rispetto ad essi, anche in ragione della possibilità che, all’esito dell’escussione testimoniale degli autori delle perizie stragiudiziali (e sulla base delle sue risultanze), il giudice del rinvio assuma una diversa decisione in ordine all’ordine di esibizione e allo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese del presente giudizio, in applicazione del seguente principio di diritto:
“è affetta da nullità la decisione del giudice di merito di escludere l’esame testimoniale degli autori di perizie stragiudiziali, allorchè motivata sul rilievo che siffatta prova per testi risulti finalizzata a confermare atti delle parti, essendo facoltà di ciascuna di esse dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal perito”.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e accoglie il terzo, dichiarando invece assorbiti il quarto e il quinto, cassando in relazione la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese anche del presente giudizio.
Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 24 giugno 2022.