Ordinanza 29992/2018
Tutela risarcitoria per l’illegittima occupazione di suoli non edificabili
In tema di tutela risarcitoria per l’illegittima occupazione di suoli non edificabili, posto che il bene della vita richiesto è il risarcimento del danno parametrato al valore di mercato del bene, non occorre che l’espropriato alleghi alcuna ulteriore specificazione in ordine alla possibilità di sfruttamento intermedio tra quello agricolo e quello edificatorio, perché, nel pretendere tale prova, si finirebbe con l’introdurre un inammissibile fattore di correzione del criterio del valore di mercato, con l’effetto indiretto di ripristinare l’applicazione di astratti e imprecisati valori agricoli.
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Ordinanza 20 novembre 2018, n. 29992 (CED Cassazione 2018)
Articolo 2043 c.c. annotato con la giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata 16.4.1996, (OMISSIS) convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Cosenza il Comune di Cosenza, ed esponendo che un terreno di sua proprietà era stato occupato dal convenuto in via temporanea d’urgenza per la sistemazione del verde attrezzato in una zona urbana, senza che fosse emanato il decreto ablativo, ne chiese la condanna al pagamento dell’indennità di occupazione e del risarcimento del danno da occupazione illegittima.
Il Tribunale adito accolse la domanda ritenendo integrata l’occupazione appropriativa, ritenuta ipotesi d’illecito permanente, e liquidando il dovuto in Lire 1.213.105.200, oltre rivalutazione ed interessi, in base al criterio del valore venale del bene, riconosciuto edificabile. Ma la decisione fu in parte riformata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che, con la sentenza non definitiva del 12.5.2004, e per quanto d’interesse, affermò trattarsi di danno da occupazione usurpativa, la cui domanda doveva ritenersi ammissibile, da liquidarsi in relazione alla destinazione urbanistica del fondo ed in base al criterio dell’edificabilità legale, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori (1988) e, con la sentenza definitiva in data 17.7.2013, resa nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), eredi della defunta attrice, accertato che l’immobile ricadeva, interamente, in zona destinata a verde pubblico e sport, ed in particolare a parco pubblico di quartiere, destinazione a carattere conformativo, liquidò il dovuto in Euro 34.923,00, oltre rivalutazione ed interessi, in base al valore venale agricolo, ed, in concreto, non essendo state dedotte o dimostrate possibilità di sfruttamento intermedio, sulla scorta dei valori agricoli medi, opportunamente adeguati, data la favorevole posizione del suolo.
Per la cassazione di entrambe le sentenze, hanno proposto ricorso gli eredi (OMISSIS), rispettivamente affidati ad uno e a due motivi, successivamente illustrati da memoria. Il Comune di Cosenza ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Va, preventivamente, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per tardività: la sentenza definitiva, come esposto in narrativa, è stata depositata il 17.7.2013 ed il ricorso è stato notificato dellaL. n. 53 del 1994, ex articolo 3, dal legale dei ricorrenti con spedizione della raccomandata del 17.10.2014, id est nell’ultimo giorno utile, dovendo computarsi due periodi di sospensione feriale (in quanto la scadenza del primo ricadeva entro il secondo) pari, nel regime antecedente l’entrata in vigore dellaL. n. 162 del 2014, qui applicabile, a quarantasei giorni (dal primo agosto al quindici settembre) ciascuno.
- Col primo motivo, rivolto avverso le statuizioni della sentenza non definitiva, i ricorrenti deducono la violazione della L. n. 392 del 1992, articolo 5 bis, articolo14 preleggi e della L. n. 2359 del 1865, articolo 39. I ricorrenti lamentano che, nel ritenere che la contestata qualità edificatoria dell’area andava desunta dalla disciplina urbanistica, la Corte d’Appello abbia applicato al riconosciuto caso di occupazione usurpativa i principi, eccezionali, posti in tema di espropriazione e quelli dichiarati illegittimi, consentenza della Corte Cost. n. 349 del 2007, posti in tema di occupazione acquisitiva. La valutazione del bene, proseguono i ricorrenti, andava effettuata in riferimento alla L. n. 2359 del 1865, articolo 39, secondo cui il valore del bene doveva individuarsi nel giusto prezzo che avrebbe avuto in una libera contrattazione di compravendita.
- Col primo motivo del ricorso avverso la sentenza definitiva, i ricorrenti, deducendo, nuovamente, la violazione della L. n. 392 del 1992, articolo 5 bis, articolo14 preleggi e della L. n. 2359 del 1865, articolo 39, riformulano la medesima censura in relazione il riconosciuto vincolo conformativo, quando invece, avrebbero dovuto alle obiettive caratteristiche del fondo e le loro attuali e concrete attitudine all’edificazione.
- Col secondo motivo avverso la sentenza definitiva, i ricorrenti lamentano la violazione dellaL. n. 2359 del 1865, articolo 39, per avere la Corte territoriale valutato i terreni in termini erronei, ed escluso le possibilità di sfruttamento intermedio, addebitando loro, contrariamente al vero, di non averle dedotte e di non averle dimostrate.
- L’eccezione d’inammissibilità del motivo addotto a sostegno della sentenza non definitiva è fondata. 6. I ricorrenti riferiscono di non aver formulato riserva d’impugnazione ex articolo361 c.p.c., avverso tale decisione e di volersi avvalere, a tal fine, di quella proposta ex adverso. E tanto non è consentito. Superando un pregresso indirizzo (Cass. n. 6701 del 2004; n. 11663 del 1991), questa Corte ha condivisibilmente affermato (Cass. n. 20892 del 2008; n. 31253 del 2017) che la riserva manifestata da una parte, in caso di soccombenza parziale di più parti, non giova alle altre che non la abbiano formulata, dato che il sistema desumibile ex articoli340 e 361 c.p.c., rimette ad ogni singola parte un autonomo potere di scelta fra riserva d’impugnazione e impugnazione immediata, e consente a ciascuna di esse, pur dopo la formulazione della suddetta riserva, di proporre impugnazione immediata, rendendo priva di effetto la riserva già formulata. Il che depone per il carattere soggettivo della riserva d’impugnazione, in analogia con il carattere soggettivo, in via generale, dell’acquiescenza.
- Il primo motivo avverso la sentenza definitiva è infondato. 8. Va premesso che ogni distinzione tra l’occupazione acquisitiva e l’occupazione usurpativa, su cui la doglianza si spende, non ha più ragion d’essere: la sentenza n. 735 del 2015 delle SU di questa Corte le ha esattamente equiparate, escludendo in entrambe le ipotesi l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, riconoscendo al proprietario la tutela reale, cautelare e risarcitoria apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento, e specificando che si è, sempre, in presenza di un’ipotesi d’illecito permanente, che viene a cessare per effetto della restituzione, o di un accordo transattivo, o della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente, caso quest’ultimo che ricorre nella specie. Se, a tale stregua, la questione dell’applicabilità di discipline differenziate per i due casi d’illecito risulta superata, l’indagine relativa al controverso carattere edificatorio dell’area resta ugualmente determinante (come documenta il divario tra la liquidazione di prime cure e di quella d’appello) ai fini della quantificazione del relativo valore venale, al quale rapportare il risarcimento dovuto ai privati per la dismessa proprietà.
- L’accertamento dell’auspicata qualità non può, poi, prescindere dalle previsioni degli strumenti urbanistici, come già affermato dalla Corte d’Appello, ed erroneamente si contesta in seno al ricorso in cui si fa riferimento all’attitudine all’edificazione desumibile da ubicazione, accessibilità, sviluppo edilizio e la vicinanza con area urbanizzata, id est si invocano caratteristiche che in sè non depongono neppure per la sussistenza dell’edificabilità di fatto (il cui accertamento, a seguito dellaL. n. 10 del 1977, che ha reso necessaria la concessione edilizia per l’edificazione privata – va condotto in termini di valutazione della funzionalità dell’area quale naturale completamento di quelle contigue, destinate all’edificazione; cfr. in tema di aree c.d. bianche Cass. n. 12268 del 2016; nn. 29788 e 28282 del 2008; Cons. St. nn. 2874 del 2000; 920 del 1992; 382 del 1988), mentre non si considera che, com’è ormai nozione ricevuta, il riscontro dell’attitudine allo sfruttamento edilizio di un’area va effettuato alla stregua della disciplina urbanistica, posta in funzione della razionale programmazione del territorio anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici, che le regole di mercato non possono travalicare. 11. Deve quindi ribadirsi che un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata dagli strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; sez. un. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009) soggetta al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr.Cass. n. 12218 del 2016; 13172 del 2016; n. 11503 del 2014; n. 665 del 2010; n. 400 del 2010; n. 21396 del 2009; n. 21095 del 2009; n. 17995 del 2009).
- Nella specie, risulta accertato che l’area era destinata a verde pubblico, e che tale destinazione costituiva un vincolo conformativo incidendo su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione della zona in cui i beni ricadono, talchè la qualità edificatoria resta esclusa, ricadendo l’area nell’ambito di quelle che il Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, articolo 2, include fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”.
- Il secondo motivo va, invece, accolto. Nel determinare il valore venale del fondo, e nell’escludere la possibilità di sfruttamento dell’area intermedio tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), la Corte territoriale ha addebitato ai danneggiati il mancato assolvimento dell’onere di allegare e provare migliori destinazioni. Il che è giuridicamente erroneo: posto che il bene della vita richiesto è il risarcimento parametrato al valore di mercato del bene, non occorre, per l’effetto, alcuna ulteriore specifica allegazione, laddove nel pretendere la prova della suscettibilità del bene ad ulteriori sfruttamenti si finirebbe con l’introdurre un inammissibile fattore di correzione del criterio del valore di mercato, cui parametrare il danno con l’effetto indiretto di ripristinare l’applicazione di astratti e imprecisati valori agricoli (cfr. in tema indennità Cass. n. 6296 del 19/03/2014; n. 18434 del 2013; n. 9353 del 2018), nei fatti applicati, pur se con imperscrutabili correttivi equitativi.
- La sentenza definitiva va, in conclusione, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso avverso la sentenza non definitiva, rigetta il primo motivo avverso la sentenza definitiva, accoglie il secondo, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione.