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Cassazione Civile 30093/2023 – Lavoro subordinato – Illegittimità del licenziamento fondato sulla mancata accettazione, da parte del dipendente, della modifica datoriale dell’orario di lavoro part-time

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Ordinanza 30093/2023

Lavoro subordinato – Illegittimità del licenziamento fondato sulla mancata accettazione, da parte del dipendente, della modifica datoriale dell’orario di lavoro part-time

È illegittimo il licenziamento fondato sulla mancata accettazione, da parte del dipendente, della modifica datoriale dell’orario di lavoro part-time, mentre, è legittimo quello irrogato a cagione dell’impossibilità di utilizzo della prestazione oraria precedente per effettive esigenze economico-organizzative dell’impresa, con onere, per il datore di lavoro, di dimostrare altresì che non sussistono altre alternative orarie o soluzioni occupazionali rispetto a quelle prospettate al lavoratore.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 30.10.2023, n. 30093   (CED Cassazione 2023)

 

 

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Cagliari, con la sentenza in
atti, ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS)
avverso la sentenza del tribunale che
aveva respinto la domanda di impugnazione del
licenziamento intimatole il 31 maggio 2011 da
(OMISSIS) spa per giustificato motivo oggettivo a
seguito del rifiuto della ricorrente di accettare
la modifica della collocazione dell’orario di
lavoro part-time propostole dalla datrice di
lavoro.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per
Cassazione (OMISSIS) con tre motivi ai
quali ha resistito con controricorso
(OMISSIS) spa (già (OMISSIS) spa).

La parte controricorrente ha depositato memoria ex
art 380 bis.1., primo comma c.p.c. Il collegio ha
riservato la motivazione, ai sensi dell’art.
380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso la ricorrente
ha dedotto ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. la
violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3
del CCNL per i dipendenti del Terziario:
Commercio, Distribuzione e Servizi; ed ex art.
360, comma 1 n. 5 c.p.c. l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti relativamente
all’esistenza di un ulteriore diverso accordo sulla
collocazione dell’orario di lavoro part time già
da lei raggiunto con un quadro aziendale; in
particolare la ricorrente denuncia la violazione
della normativa collettiva in quanto, in relazione
al nuovo accordo già raggiunto in aprile tra le
parti per l’orario di lavoro part time, la Corte
ha escluso, in contrasto con il CCNL, che un quadro
avesse il potere di firmare contratti e di
impegnare il datore di lavoro con riferimento alla
modifica contrattuale dell’orario di lavoro dei
lavoratori part timers sottordinati.

2.- Con il secondo motivo, il ricorso prospetta ai
sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c. la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 22,
comma 4 della legge di stabilità per l’anno 2012,
la violazione e omessa applicazione dell’art. 3
decreto legislativo n. 61/2000; la violazione ed
omessa applicazione del contratto collettivo
nazionale di lavoro applicabile ai dipendenti del
settore terziario: commercio, distribuzione e
servizi.

Si rileva in proposito che la Corte di appello ha
sostenuto che non sussisteva la violazione dell’
articolo 3, 9 comma del d.lgs. 61/ 2000 – ove si
prevede che l’eventuale rifiuto del lavoratore
allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo
parziale non integra giustificato motivo di
licenziamento – anzitutto perché la questione non
ineriva ad una clausola flessibile, in quanto
all’interno della proposta di modifica dell’orario
contrattuale non era prevista alcuna flessibilità
limitandosi la proposta a sostituire
un’articolazione oraria rigida con una diversa
altrettanto rigida. Ed in secondo luogo, perché
secondo la Corte di appello il divieto di
licenziamento si riferirebbe soltanto al
licenziamento per giustificato motivo soggettivo,
mentre nel caso di specie si discuteva di
licenziamento per riorganizzazione aziendale che
rientrava nel giustificato motivo oggettivo.

3.- Con il terzo motivo di ricorso ex art. 360,
comma 1 n. 3 c.p.c. si deduce violazione e/o falsa
applicazione degli articoli 3 e 5 della legge n.
604/1966; falsa applicazione dell’art. 2103 c.c.
ed ex art. 360, 1 comma n. 5, omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti. Con una prima
censura viene sottoposta a critica anzitutto
l’affermazione, contrastante con l’atto di recesso,
secondo cui la ragione sottesa al licenziamento
operato dalla (OMISSIS) spa nei confronti della
ricorrente si sostanzierebbe in una
riorganizzazione aziendale tale da non rendere più
utilizzabile la prestazione della odierna
ricorrente. Secondo una diversa censura si sostiene
che la riorganizzazione non fosse effettiva o di
rilevanza tale da giustificare il recesso dal
rapporto di lavoro per non avere la lavoratrice
accettato la proposta di ricollocazione temporale
della prestazione lavorativa, sostanzialmente
sull’unico elemento di disaccordo rappresentato
dalla chiusura serale del giorno di sabato
limitatamente al periodo compreso tra il mese di
giugno e il mese di agosto 2011. Con una terza
censura la ricorrente impugna la motivazione della
Corte di merito in punto di onere di repêchage
laddove la Corte ha sostenuto che il datore di
lavoro avesse assolto al proprio onere, nonostante
fosse emerso chiaramente che l’unico limite
rappresentato dalla lavoratrice in sede di proposta
di modifica contrattuale si sostanziava nella
impossibilità per la stessa di effettuare una
chiusura serale nella giornata di sabato per un
periodo strettamente limitato al periodo giugnoagosto 2011.

4.- I motivi di ricorso, da trattare unitariamente
per la connessione delle censure sollevate, sono
fondati nei limiti delle seguenti considerazioni.

L’atto di licenziamento per g.m.o. intimato alla
ricorrente fa riferimento ad esigenze organizzative
ed alla necessità di variare l’orario di lavoro e
si sostiene che la distribuzione dell’orario
precedente non fosse più compatibile con le nuove
esigenze aziendali e che la prestazione lavorativa
con il precedente orario risultava non più
utilmente impiegabile.

5. Non può essere pertanto revocata in dubbio in
questa sede né la causale organizzativa addotta
nel licenziamento intimato alla ricorrente, né
l’effettività della ragione adotta, nei limiti in
cui la stessa Corte di appello, disattendendo la
contraria allegazione della ricorrente sul punto,
ha del tutto escluso la fondatezza della doglianza
circa la mancanza di effettività della
riorganizzazione, atteso che tutte le lavoratrici
escusse come testi avevano concordemente affermato
che i nuovi orari erano stati applicati e che loro
li avevano rispettati anche con riferimento alle
chiusure del sabato.

6.- Nemmeno può essere oggetto di sindacato nel
merito, nei termini dedotti in ricorso, che
l’orario di lavoro concordato per il mese di aprile
con il quadro aziendale, prima del licenziamento
di maggio, non identificasse il nuovo orario di
lavoro part time per il futuro, avendo la Corte di
appello accertato appunto che si trattava di una
soluzione interlocutoria, limitata al periodo in
oggetto ( non avendo la società voluto fin lì
praticare “ forzature”).

7.- Fatte queste premesse, la sentenza impugnata
si rivela nondimeno in contrasto con le norme di
legge e collettive indicate in ricorso sotto
plurimi profili, di seguito indicati.

8.- Anzitutto nella parte in cui sostiene che la
variazione in blocco dell’orario di lavoro – che
non integri l’introduzione di una clausola elastica
o flessibile – sia del tutto libera o esulerebbe
dalla protezione legale (perché “all’interno della
proposta di modifica dell’orario contrattuale non
è prevista alcuna flessibilità, ma si chiede di
sostituire un’articolazione oraria, rigida, con una
diversa, altrettanto rigida” ).

Al contrario in materia di lavoro part-time, dalla
complessiva regolamentazione stabilita dal d.lgs.
n. 61/2000 si evince una comune e generale ratio
legis nel senso che qualunque mutamento dell’orario
di lavoro già concordato formalmente tra le parti
– sia il passaggio da part-time a full time o
viceversa, sia una variazione della fascia oraria
del part-time o l’introduzione di una clausola
elastica o flessibile o la richiesta di lavoro
supplementare – presuppone l’accordo tra le parti
e, dunque, il consenso del lavoratore.

Tanto è previsto esplicitamente dall’ art. 3, commi
3, 7, 9 e 11 del d.lgs. 61/2000 in relazione alle
clausole elastiche ed al lavoro supplementare (
vedi in particolare comma 11: “ Il rifiuto da parte
del lavoratore di stipulare il patto di cui al
comma 9 e l’esercizio da parte dello stesso
del diritto di ripensamento di cui al comma 10 non
possono integrare “ in nessun caso” gli estremi del
giustificato motivo di licenziamento).

Inoltre, all’art.5 il d.lgs. n. 61/2000, prevede
parimenti che il rifiuto del lavoratore di
trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo
pieno in parziale, o viceversa “non costituisce
giustificato motivo di licenziamento”.

Il CCNL citato in ricorso prevede all’art. 13 che
“ in applicazione di quanto previsto dall’art.2
comma 2 e 3 commi, 7, 8 e 9 del d.lgs n.61/2000
come modificato dall’art.46 del d. lgs. n.
276/2003 , le parti interessate, con specifico
patto scritto, potranno prevedere l’inserzione nel
contratto a tempo parziale, anche nelle ipotesi di
contratto di lavoro a termine, di: – clausole
flessibili, relative alla collocazione temporale
della prestazione lavorativa, anche determinando
il passaggio da un part-time orizzontale a
verticale o viceversa ovvero il sistema misto; –
clausole elastiche, relative alla variazione in
aumento della durata della prestazione lavorativa,
nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo
verticale o misto. La disponibilità allo
svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale
con clausole flessibili e/o elastiche richiede il
consenso del lavoratore, formalizzato attraverso
uno specifico patto scritto, anche contestuale al
contratto di lavoro. L’eventuale rifiuto dello
stesso non integra gli estremi del giustificato
motivo di licenziamento nemmeno per recidiva”.
Sulla scorta di tale disciplina deve dunque
affermarsi che analogo divieto valga anche, a
fortiori, per la proposta di diversa distribuzione
totale dell’orario di lavoro. Dal momento che
sarebbe irragionevole ipotizzare il contrario,
ovvero che sia protetto il rifiuto alla stipula di
una clausola flessibile, elastica o alla richiesta
di lavoro supplementare e non lo sia invece quello
che concerne la variazione totale dell’orario di
lavoro part time.

Come prevede peraltro oggi in continuità con
questa tesi la disciplina dettata dall’art. 6,8
comma del d. lgs. 81/2015, secondo il quale “il
rifiuto del lavoratore di concordare una variazione
dell’orario di lavoro non costituisce giustificato
motivo di licenziamento”.

9.- Sotto altro aspetto la sentenza impugnata
risulta in contrasto con le norme in rubrica nella
parte in cui ha sostenuto che il divieto di
licenziamento del lavoratore o lavoratrice part
time – che rifiuti la variazione dell’orario di
lavoro – sia limitato al solo licenziamento
disciplinare; mentre, al contrario, deve ritenersi
escluso, altresì, ed anzi in primo luogo, il
licenziamento per giustificato motivo oggettivo,
dal momento che quelle prospettate dal datore di
lavoro, alla base della propria proposta di
variazione contrattuale rifiutata dal lavoratore,
configurano esigenze di carattere organizzativo
suscettibili di dar luogo ad un g.m.o. di recesso.

10.- Ora, pur rientrando il licenziamento per
g.m.o. nell’oggetto del divieto previsto dalla
legge, ciò non significa che il lavoratore part
time non possa essere mai licenziato per la
medesima causale ai sensi degli artt. 3 e 5 della
l.604/66.

11.- Il difficile equilibrio tra il divieto di
licenziamento del lavoratore che rifiuta il
mutamento della fascia oraria del part-time ( o una
altra variazione protetta dalla legge), e
l’eventuale insorgenza del giustificato motivo
provocato da tale rifiuto, che potrebbe consentire
un licenziamento per ragioni oggettive, deve essere
invece garantito attuando il contemperamento dei
rispettivi interessi delle parti che si riflettono
nel regime pattizio del rapporto alla luce della
particolare disciplina di legge evocata.

12.- In tale prospettiva deve essere anzitutto
chiarito che le esigenze organizzative che
sottostanno alla richiesta di variazione
dell’orario non possono rilevare, di per sè, come
ragione oggettiva – esclusiva ed autosufficiente –
di licenziamento, perché questo significherebbe
cancellare di fatto la protezione legale che
consente al lavoratore di opporre un legittimo
rifiuto alla proposta datoriale di cambiamento
dell’orario di lavoro, rifiuto che non può
trasformarsi – con aperta contraddizione della
normativa – in automatico presupposto del suo
licenziamento.

D’altra parte, nemmeno può essere precluso al
datore di lavoro l’esercizio del recesso quando il
rifiuto alla proposta di trasformazione entri in
contrasto con le ragioni di carattere organizzativo
che, ai sensi dell’art. 3, legge 604/1966, possono
integrare un giustificato motivo oggettivo di
licenziamento; in questo caso, tuttavia, il datore
di lavoro ha l’onere di dimostrare non solo la
sussistenza delle esigenze economicoorganizzative, in base
alle quali la prestazione oraria precedente non può essere più
mantenuta, nonché il nesso causale tra le predette esigenze e
il licenziamento (Cass., sentenza n. 21875/2015,
Cass. sentenza n. 23620/2015; Cass., sentenza n.
9310/2001; Cass., sentenza n. 3030/1999); dovendo
egli altresì dimostrare che non esistano ulteriori
soluzioni occupazionali (o altre alternative
orarie) rispetto a quelle prospettate al lavoratore
e poste alla base del licenziamento. Occorre, cioè
in sintonia con la stessa nozione generale di
g.m.o., che sussista altresì l’impossibilità di un
ripescaggio aliunde che deve essere dimostrato in
giudizio dal datore di lavoro, la cui condotta –
al pari di quella del lavoratore – deve comunque
essere improntata e, dunque, valutata alla luce
delle clausole generali di correttezza e buona
fede, le quali possono costituire utile parametro
per un controllo sulla discrezionalità gestionale
del datore di lavoro. In particolare, in un’area,
quale quella del part time, sottoposta ad una
rigorosa regolamentazione normativa, la scelta
datoriale deve tener conto delle particolari
esigenze sociali che sono a fondamento della
stessa.

Una prova di questa natura è idonea a realizzare,
ad avviso del Collegio, l’equo contemperamento
degli interessi delle parti che risultano regolati
pattiziamente nella disciplina oraria del part
time.

13.- L’esigenza di una rimodulazione del g.m.o. nel
part time, è stata già affermata da questa Corte,
a fronte di proposte di rifiuto del passaggio da
part time a full time o viceversa, con la recente
ordinanza n. 12244/2023 nella quale è stato
ribadito che in caso di rifiuto della
trasformazione del rapporto da full time a part
time il dipendente può essere legittimamente
licenziato solo se il recesso non è stato intimato
a causa del diniego opposto, ma in ragione
dell’impossibilità di utilizzo della prestazione a
tempo pieno per effettive ragioni economiche
dimostrate dal datore di lavoro.

14.- E’ necessaria dunque non solo la prova
dell’effettività delle ragioni addotte per il
cambiamento dell’orario (Cass. n. 15400 del
20/07/2020) ma anche quella della impossibilità di
un utilizzo altrimenti della prestazione, con
modalità orarie differenti, quale
componente/elemento costitutivo del gmo.

Quando invece il licenziamento del lavoratore part
time venga intimato per una ragione tecnica
organizzativa diversa da quella della variazione
dell’orario di lavoro vale ovviamente la nozione
generale del g.m.o. per come elaborata dalla
consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass.
20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 2 maggio 2018, n.
10435; e da ultimo Cass. 752 del 12/01/2023).

15.- In tale direzione spinge anche
l’interpretazione conforme della normativa
comunitaria e della giurisprudenza costituzionale,
essendo stato pure messo in luce (da Cass. sent.
n. 21875 del 27/10/2015) da una parte che – ai
sensi della Direttiva 97/81/ CE del 15 dicembre
1997, che recepisce l’Accordo quadro sul lavoro a
tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e
dalla CES – “il rifiuto di un lavoratore di essere
trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a
tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in
quanto tale, costituire motivo valido per il
licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità
di procedere, conformemente alle leggi, ai
contratti collettivi e alle prassi nazionali, a
licenziamenti per altre ragioni, come quelle che
possono risultare da necessità di funzionamento
dello stabilimento considerato”; e dall’altra parte
che, come chiarito della Corte Costituzionale nella
sent. n. 224 del 2013 (scrutinando la compatibilità
costituzionale della possibilità di “revisione” del
part-time riconosciuta alle pubbliche
amministrazioni dalla L. n. 183 del 2010, art. 16),
tale Direttiva, accanto alla protezione del
lavoratore dalla trasformazione unilaterale del
proprio rapporto ad iniziativa del datore di
lavoro, prende pure in considerazione le esigenze
organizzative di quest’ultimo, purché l’iniziativa
datoriale sia sorretta da serie ragioni
organizzative e gestionali e sia attuata nel
rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
“In mancanza di tali presupposti, il dipendente può
legittimamente rifiutare di passare al tempo pieno
e, per ciò solo, non può mai essere licenziato”.
16.- Venendo ora al caso di specie, non risulta che
il licenziamento intimato alla ricorrente risponda
ai principi fin qui evocati, posto che nulla si
dice nella sentenza impugnata in ordine al fatto
che, oltre a non potersi mantenere lo schema
dell’orario precedente, non esistesse un altro
orario diverso che potesse essere offerto come
alternativa al licenziamento. Va piuttosto messo
in evidenza come nella causa risulti, al contrario,
l’esistenza di flessibilità e di alternative
occupazionali, atteso che, dopo la proposta di
modifica non accettata e posta alla base del
licenziamento, le parti avevano tra loro
concordato, nel mese precedente il licenziamento,
un orario di lavoro diverso da quello originario,
con mantenimento del rapporto di lavoro. Né può
valere in contrario quanto osservato in proposito
dalla Corte di appello allorchè ha notato che la
società datrice nel mese di aprile non avesse
voluto mettere in atto “forzature”, dovendosi
valutare la condotta del datore di lavoro nella
più ampia prospettiva della ricerca di una diversa
ricollocazione dell’orario in alternativa al
licenziamento, nell’ottica dei principi di
correttezza e buona fede richiamati anche dalla
Corte Costituzionale nella sentenza cit.

17. In forza delle premesse il ricorso va accolto,
nei limiti di quanto osservato, e la decisione deve
essere cassata con rinvio al giudice di merito,
indicato in dispositivo, per la prosecuzione del
giudizio. Nella decisione della lite il giudice si
atterrà ai principi di diritto sopra affermati, in
particolare ai nn. 11 e 12.

18. Il giudice del rinvio procederà altresì alla
regolazione delle spese del giudizio di cassazione.
Non sussistono i presupposti processuali del
raddoppio del contributo unificato (conformemente
alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019,
n. 23535).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in
motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia
alla Corte d’appello di Cagliari sez. distaccata
di Sassari anche per la liquidazione delle spese
del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
3.10.2023