Sentenza 30112/2022
Revocazione delle sentenze della corte di cassazione – Incompatibilità di uno dei componenti del collegio decidente – Vizio revocatorio – Configurabilità – Esclusione
In tema di revocazione di sentenza della Corte di cassazione, la dedotta incompatibilità di uno dei cinque componenti del collegio decidente, non costituendo una svista percettiva rilevante ex art. 391 bis c.p.c., non integra errore revocatorio né è causa di nullità della decisione impugnata.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 13-10-2022, n. 30112 (CED Cassazione 2022)
Art. 391 bis cpc (Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della cassazione) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 4385 del 2020, questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da Vi. Sc. nei confronti dell’Acquedotto (OMISSIS) Spa avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari che aveva confermato il rigetto della domanda proposta dal lavoratore in primo grado.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto “Ricorso straordinario per Revocazione, ex art. 391 bis, come modificato dalla Legge di conversione del 25/10/2016, n. 197, art. 1-bis, comma 1” il soccombente, “per errore di fatto” della sentenza impugnata, oltre che delle decisioni del doppio grado di merito. La società ha resistito con controricorso, chiedendo altresì la condanna del ricorrente per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c.
3. In prossimità della pubblica udienza il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Parte ricorrente ha comunicato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Opportuno premettere che – come già ritenuto da questa Corte (Cass. n. 13299 del 2011; Cass. SS.UU. n. 4413 del 2016; Cass. n. 14656 del 2017; Cass. n. 14400 del 2018) – l’avvenuta fissazione della trattazione di un ricorso per revocazione in udienza pubblica, anziché, come prescritto dall’art. 391 bis c.p.c., in camera di consiglio, è pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l’udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, lo strumento di massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compiutamente i propri assunti. Parimenti va premesso che, secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, nell’ordinamento processuale vigente non sussiste, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione (Cass. n. 23498 del 2017; Cass. n. 8180 del 2009; Cass. n. 19498 del 2006).
2. Tanto premesso, si osserva che il ricorrente chiede dichiararsi la nullità della sentenza n. 4385 del 2020 di questa Corte impugnata “per revocazione” sull’assunto che il presidente del collegio deliberante in data 17 settembre 2019 non avrebbe ravvisato “l’obbligo di astenersi, in violazione dell’art. 51 c.p.c.”, nonostante la “denuncia-querela depositata dal ricorrente Sig. Sc. Vi. in data 22/7/2017” nei confronti dello stesso. Sulla base di tale assunto in fatto, il ricorrente articola dieci motivi di revocazione sostenendo che “il grave conflitto di interessi” tra il ricorrente e detto componente del collegio avrebbe avuto come conseguenza che lo stesso presidente non avrebbe censurato l’operato dei giudici del primo e del secondo grado.
3. Il ricorso per revocazione, così come formulato, è radicalmente inammissibile.
Nessuno dei motivi articolati nel ricorso individua nella sentenza impugnata errori revocatori secondo le caratteristiche definite dalla costante giurisprudenza di legittimità (tra le innumerevoli: Cass. SS.UU. n. 26674 del 2020; Cass. n. 13101 del 2021; Cass. n. 13204 del 2021; Cass. n. 15801 del 2021; Cass. n. 15802 del 2021; Cass. n. 15960 del 2021).
3.1. Occorre rammentare i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’ipotesi di revocazione di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c. (da ultimo, Cass. n. 2652 del 2022).
Invero tale ipotesi sussiste se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; pacificamente per questa Corte tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 561 del 2000; Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413 del 1016).
Pertanto, in generale, l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (tra le altre v. Cass. n. 14656 del 2017); inoltre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 22569 del 2013; n. 4605 del 2013, n. 16003 del 2011), fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga la interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità; non è idoneo, infatti, ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche risulti errata – di revocazione (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013).
3.2. Tali princìpi, costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, vengono del tutto trascurati dalla parte ricorrente. Infatti, il ricorso non evidenzia nella sentenza impugnata sviste percettive che abbiano le caratteristiche proprie del vizio di cui all’art. 391 bis c.p.c., in quanto si chiede la revocazione sostanzialmente sul solo assunto che alla deliberazione della pronuncia gravata ha partecipato, come presidente del collegio, un componente che avrebbe avuto l’obbligo di astenersi, inficiando poi la decisione presa per molteplici aspetti.
Orbene, pacificamente la dedotta incompatibilità di uno dei cinque componenti del collegio decidente non costituisce causa di revocazione ex art. 391 bis c.p.c., così come non è causa di nullità della decisione adottata (Cass. n. 13433 del 2007; Cass. n. 16861 del 2013).
Parte ricorrente neanche si confronta con tale giurisprudenza, utilizzando lo strumento della revocazione quale mezzo per ottenere un nuovo grado di giudizio, con modalità chiaramente distorte rispetto al fine per il quale esso è concepito.
L’aspirazione di chi ricorre ad un ulteriore grado di giudizio, nonostante la soccombenza registrata in tutte le fasi precedenti, è conclamata anche dalla riproposizione delle questioni che attengono al merito della vicenda che ha dato origine alla controversia, comprese le richieste subordinate di “trasmissione degli atti” alla Corte costituzionale ovvero alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, inammissibili in questa sede processuale per questioni non direttamente rilevanti nel giudizio di revocazione.
Inoltre, come condivisibilmente evidenziato dalla Procura Generale nelle conclusioni depositate, l’istante non ha tenuto conto che il ricorso per revocazione è soggetto al disposto dell’art. 366 c.p.c., secondo cui la formulazione dei motivi di impugnazione deve risolversi nell’indicazione specifica, chiara e immediatamente intellegibile del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c.; ne consegue che il mancato rispetto di tali requisiti espone il ricorrente al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, non consentendo la valorizzazione dello scopo del processo, volto, da un lato, ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost., nell’ambito dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, comma 2, Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU e, dall’altro, ad evitare di gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (da ultimo, Cass. n. 26161 del 2021).
4. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
5. Non può, invece, pronunciarsi la condanna del ricorrente ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c., come peraltro richiesto dalla società.
Infatti, tale disposizione è stata introdotta dall’art. 45, comma 12, della l. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009, e, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, essa si applica ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore. Secondo questa Corte, l’art. 58, comma 1, quando allude ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, si riferisce all’instaurazione originaria del giudizio o del procedimento, dovendosi escludere che esso intenda riferirsi all’instaurazione di una fase di un grado di giudizio o di un grado di giudizio, allorché la norma introdotta dalla legge si riferisca ad una certa fase o ad un certo grado (in termini: Cass. n. 10846 del 2011).
Poiché, nella specie, l’instaurazione originaria del giudizio risale al 2008, la previsione aggiunta all’art.96 c.p.c. non risulta applicabile.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 luglio 2022 e del 5 settembre 2022.