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Cassazione Civile 30137/2017 – Responsabilità ex art. 2051 cc – Onere della prova – Fatto dannoso e nesso causale

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Ordinanza 30137/2017

Responsabilità ex art. 2051 cc – Onere della prova – Fatto dannoso e nesso causale

In tema di responsabilità ex art. 2051 cod. civ., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato

Cassazione Civile, Sezione 6, Ordinanza 14-12-2017, n. 30137

Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza

 

 

Ritenuto che

con ricorso affidato a due motivi, E. V. ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Trento, in data 26 aprile 2016, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, sezione distaccata Cavalese, che, a sua volta, aveva respinto la domanda dal medesimo V. proposta nei confronti del Comune di Pozza di Fassa, ed estesa contro la F.11i P. s.n.c. (ditta appaltatrice chiamata in causa dall’Amministrazione convenuta), per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti a causa di una caduta, occorsa la mattina del 31 dicembre 2009 nel territorio di detto Comune (in prossimità dell’Hotel Trento), dovuta alla presenza di una lastra di ghiaccio su un marciapiede;

che la Corte territoriale, nel confermare la decisione di primo grado, osservava che la fattispecie era riconducibile nell’alveo della responsabilità regolata dall’art. 2051 cod. civ., ma che il danneggiato non avesse fornito prova del nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso; che resistono con controricorso il Comune di Pozza di Fassa e la F.11i P. S.N.C..;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato che: a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. cic., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2051, 2697, 1227, 2727 cod. civ. e 24 e 111 Cost.: la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito l’onere di prova imposto dalla fattispecie di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 cod. civ., là dove, invece, esso danneggiato aveva dimostrato di esser caduto a causa della lastra di ghiaccio sul marciapiede, mentre i convenuti non avevano dato prova dell’esistenza del caso fortuito. Inoltre, il giudice di appello non avrebbe fatto applicazione dell’art. 1227, primo comma, cod. civ. e della prova per presunzioni, rigettando altresì la richiesta di c.t.u. medico-legale in violazione del diritto alla prova.

a.1.) il motivo è manifestamente infondato, avendo il giudice di appello — in forza dell’accertamento fattuale (ad esso esclusivamente riservato e non investito da doglianza specifica e congruente ai sensi del vigente art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) secondo cui la situazione di pericolosità determinata dalla lastra di ghiaccio sul marciapiede era, per le circostanze di tempo e di luogo, “sicuramente visibile” e non già tale da rendere “molto probabile se non inevitabile l’evento”, anche in ragione del difetto di ordinaria diligenza che avrebbe dovuto tenere in dette circostanze lo stesso V., peraltro dotato di scarpe “inadatte” — fatto corretta applicazione del principio, consolidato, per il quale: “in tema di responsabilità ex art. 2051 cod. civ., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato” (così Cass. n. 11526/2017; analogamente: Cass. n. 2660/2013, Cass. n. 6306/2013, Cass. n. 21212/2015, Cass. n. 12895/2016);

che, pertanto, risultano del tutto superati anche gli ulteriori, e non pertinenti, profili di doglianza relativi alla mancata applicazione degli artt. 1227 e 2727 cod. civ. (essendo il predetto accertamento di fatto elidente del nesso causale, con conseguente irrilevanza della prova relativa alla omessa eliminazione della situazione di pericolo da parte della P.A. e della ditta appaltatrice) e alla mancata ammissione di c.t.u. medico-legale sulla persona del danneggiato (del tutto superflua in presenza di accertata insussistenza di responsabilità dei convenuti);

  1. b) con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c. p. c., l’omesso esame del fatto decisivo concernente la condotta negligente ed imperita del Comune e della ditta appaltatrice, per non avere gli stessi provveduto alla dovuta manutenzione dei marciapiedi;

b.1) il motivo è inammissibile, stante l’irrilevanza — già innanzi evidenziata, a fronte dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito e del principio di diritto da esso correttamente applicato — della condotta omissiva colposa dei convenuti, del resto non affatto pertinente rispetto alla fattispecie di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 cod. civ., siccome prescindente dalla colpa del custode (tra le altre, Cass. n. 12027/2017);

che il ricorso va, quindi, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014.

PER QUESTI MOTIVI

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in euro 2.900,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in curo 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 30 ottobre 2017.