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Cassazione Civile 30235/2022 – Pubblico impiego privatizzato – Società in house – Assunzione in violazione di norme imperative

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Ordinanza 30235/2022

Pubblico impiego privatizzato – Società in house – Assunzione in violazione di norme imperative – Nullità originaria

In tema di reclutamento del personale delle società “in house”, la violazione delle disposizioni che impongono l’adozione di procedure concorsuali e selettive determina una nullità originaria del contratto di lavoro, da cui consegue l’impossibilità di riconoscere al lavoratore le tutele previste per le lavoratrici madri, invece applicabili in contesti di lavoro legittimamente instaurato.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 14-10-2022, n. 30235   (CED Cassazione 2022)

 

 

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 3698/ 2019 aveva rigettato il ricorso proposto da Pellegrino Giulia nei confronti di Atac spa , avverso la decisione con cui il tribunale aveva dichiarato la nullità del contratto di lavoro intercorso tra le parti ( 5.10.2009-18.4.2017), perché l’assunzione era stata fatta in violazione di norme imperative ( art. 35 co.3 Digs n. 165/2001, art. 18 D.L.. n. 112/2008 ) in assenza di ogni tipo di selezione. Il Tribunale assumeva, quale premessa alla propria decisione, la sentenza penale n.18619/2017 con cui erano stati condannati l’amministratore delegato ed il responsabile risorse umane di Trambus spa, ( successivamente Atac spa), per aver assunto direttamente dipendenti in violazione delle norme richiamate.

La Corte territoriale, confermando la decisione del Tribunale, aveva ritenuto l’assunzione in questione effettuata in contrasto sia con il predetto art. 18 che con il Codice che disciplina le procedure di assunzione adottato nel 2007, e comunque in assenza di prove circa modalità selettive. Avverso tale decisione proponeva ricorso la Pellegrino, cui resisteva con controricorso e successiva memoria Atac spa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’articolo 97 Costituzione, del decreto legislativo n. 165 /2001, della legge n.133/2008, del DPR n.168/2010.

La ricorrente rileva che La Corte territoriale abbia errato nel ritenere applicabile l’articolo 35 del decreto legislativo 165/2001 alla fattispecie in esame trattandosi di disposizione non vigente al momento di instaurazione del rapporto di lavoro in esame ( 5.10.2009).

Il motivo risulta inammissibile poiché non si confronta con la decisione impugnata. La corte territoriale aveva infatti valutato l’infondatezza della pretesa della lavoratrice alla luce del disposto dell’art. 18 D.L.. n. 112/2008, oltre che del richiamato articolo 35 del Divo n. 165/2001.

Se pur, invero, tale ultima disposizione ha subito modifiche successive all’inizio del rapporto in questione ( ottobre 2010) con riferimento alla obbligatorietà delle procedure selettive per le società in house esercenti servizi pubblici locali, non di meno il tema delle procedure selettive era stato affrontato e disciplinato, con effetti obbligatori, anche per il periodo antecedente.

 

Questa Corte anche di recente ha affrontato la questione rilevando che “in tema di reclutamento del personale da parte di società cd. “in house”, l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla I. n. 133 del 2008 – nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla I. n. 102 del 2009, di conversione del d.l. n. 78 del 2009 -, che ha disposto che, ai fini del reclutamento in questione, le predette società adottino, entro un preciso limite temporale – “id est”: sessanta giorni successivi all’entrata in vigore della legge di conversione -, criteri che impongono l’esperimento di procedure concorsuali o selettive, nel rispetto dei principi stabiliti dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, è norma immediatamente precettiva, in quanto il successivo d.P.R. n. 168 del 2010, adottato sulla base dell’art. 23 bis, comma 10, lett. A), del citato d.l. n. 112 del 2008, non ha integrato il precetto dettato dalla fonte primaria, essendosi limitato a richiamare detto precetto senza aggiungervi alcun contenuto sostanziale” (Cass. n .4571/2022).

L’ordinanza ha poi ulteriormente precisato che “Non può, dunque, rinvenirsi alcun rapporto di specificazione tra quanto contenuto nella legge e quanto precisato nel regolamento tale da richiedere la dilazione del termine già fissato dalla normativa di rango primario (sessanta giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione, ossia il 21.10.2008) per l’adozione dei criteri e delle modalità, ispirate all’art. 35, comma 3, del T.U. n. 165 del 2008, per il reclutamento del personale delle società a partecipazione pubblica(….)”.

Il principio affermato, a cui si intende dare seguito, chiarisce che l’adozione dei nuovi criteri di selezione disposti dal DL n. 112/2008 decorre dal 21.10.2008 e che pertanto le assunzioni successive a tale data, come quella in esame, richiedono il rispetto della normativa richiamata ( in tal senso anche Cass.n. 4358/2018).

E’ opportuno anche richiamare altro approdo di questa Corte secondo cui “In tema di costituzione del rapporto di lavoro, la nullità della procedura concorsuale per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa, indipendentemente dalla circostanza che i lavoratori abbiano dato causa al vizio o ne abbiano avuto consapevolezza ( Cass. n. 2041672019; Cass. n.30992/2019).

La censura risulta pertanto infondata attesa la chiara scelta legislativa di assoggettare, sin dalla data di piena operatività del D.L. n. 112/2008, le società in questione a sistemi selettivi predeterminati, a garanzia di trasparenza dell’azione amministrativa.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione ( art. 360 co.1 nn. 3 e 5 c.p.c.), dell’art. 54 D,Ivp n. 151/2001, poiché la corte di merito non aveva considerato che la lavoratrice al momento del recesso datoriale era diventata madre e nei suoi confronti erano dunque operative le tutele di cui alle richiamate norme in tema di nullità del licenziamento. La censura non trova fondamento, poiché le tutele invocate, ed in particolare il disposto relativo alla nullità del licenziamento, operano in un contesto differente da quello in esame, in cui non si è verificato un licenziamento ma si è accertata la nullità originaria dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad una procedura concorsuale effettuata in violazione di norme imperative ( Cass. n. 2041672019; Cass. n.30992/2019).

La nullità del contratto per una illiceità originaria non può pertanto consentire tutele invece applicabili in contesti di rapporto di lavoro legittimamente instaurato.

3) L’ultima censura ha ad oggetto la violazione di legge ( art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.) con riguardo all’art. 112 c.p.c. „ agli artt. 2043 e 1338 c.c. per omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno subito. La ricorrente lamenta la mancata determinazione della corte territoriale sulla richiesta di risarcimento del danno subito per il comportamento dell’azienda.

Il motivo è inammissibile. Lasciando in disparte il richiamo al vizio di violazione di legge del tutto inconferente rispetto alla doglianza di omessa pronuncia sul risarcimento richiesto, che già determinerebbe l’inammissibilità del motivo proposto, deve ulteriormente rilevarsi che, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, la corte territoriale si è pronunciata sul punto, ritenendo correttamente superati gli ulteriori motivi di doglianza della lavoratrice, comprensivi della richiesta di risarcimento del danno, valutando che “la nullità del contratto di assunzione per violazione di norma imperativa, non fa sorgere in favore del lavoratore alcun diritto ulteriore rispetto al pagamento della retribuzione per il lavoro prestato, stante il disposto l’acdarata dell’art. 2126 c. c”.

La censura risulta pertanto inconferente rispetto al dictum del giudice di appello.

Pe le esposte ragioni il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono il principio di soccombenza.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13,ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 1 5 % ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13,ove dovuto.

Così deciso in Roma il 12 maggio 2022.