Sentenza 3079/2015
Violazione degli obblighi di mantenimento del figlio – Risarcimento dei danni non patrimoniali
Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole.
Cassazione Civile, Sezione VI, Sentenza 16.02.2015, n. 3079 (CED Cassazione 2015)
Articolo 2043 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 24.9.2012 che – in un giudizio di risarcimento danni promosso da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) per omesso mantenimento, assistenza ed istruzione, ritenendolo responsabile di non avere adempiuto ai doveri genitoriali nei suoi confronti quale figlia naturale, ha accolto parzialmente l’appello proposto dalla stessa (OMISSIS) condannando (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido ed in qualità di coeredi di (OMISSIS), al pagamento della somma di euro 50.000,00 in suo favore. Resiste con controricorso (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’articolo 147 c.c. e articolo 116 c.p.c. anche in relazione articolo 30 Cost. (articolo 360 c.p.c., n. 3). Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2059 e articolo 2947 c.c. (rectius articolo 2697 c.c.) e articolo 116 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3).
I due motivi, intimamente connessi, sono esaminati congiuntamente.
Essi non sono fondati per le ragioni che seguono.
In primo luogo, vale sottolineare che, a di là delle violazioni denunciate, in realtà le ricorrenti perseguono un nuovo riesame di merito, non consentito in questa sede, a fronte di una puntuale e corretta motivazione.
Così, in ordine alla prospettata violazione dell’articolo 147 c.c., ritenuta dalla Corte di merito motivatamente esistente, da parte del (OMISSIS), per il suo comportamento violativo dei doveri genitoriali.
La vicenda s’inserisce nella più vasta problematica della responsabilità aquiliana nei rapporti familiari oggetto di una rielaborazione condotta sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali della persona.
Ora, l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass.20 dicembre 2011, n. 27653; Cass. 3 novembre 2006. n. 23596).
E ciò perchè la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento comportando per il genitore, ai sensi dell’articolo 261 c.c., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’articolo 148 c.c..
L’obbligazione, infatti, trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio (fra le varie Cass. 6.11.2009 n. 23630).
Inoltre, l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (articoli 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda.
La conseguenza ineludibile è che, anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale.
La ragione è evidente, poichè il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, è sorto fin dalla sua nascita (Cass. 22.11.2013 n. 26205; Cass. 10.4.2012 n. 5652; Cass. 2.2.2006 n. 2328; Cass. 14.5.2003 n. 7386).
Quanto al secondo profilo, relativo al risarcimento del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.), la decisione adottata dalla Corte di merito è ineccepibile.
Nella giurisprudenza di legittimità (fra le varie Cass.22.11.2013 n. 26205; Cass. 10.4.2012 n. 5652; Cass.15.9.2011 n. 18853), è stata, infatti, da tempo enucleata la nozione di illecito endofamiliare. Su tale base, la violazione dei relativi doveri non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia.
La natura giuridica di tali obblighi, infatti, comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi enucleatati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella nota decisione n. 26972 del 2008.
Ed è su tale base che la Corte di merito – nel pieno rispetto dei principi relativi al danno – conseguenza, – lo ha riconosciuto sussistere: sulla base delle risultanze probatorie acquisite ed accuratamente esaminate, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c..
Il che vuoi dire la risarcibilità del pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.
Il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di una figlia – come accertato in sede di merito – , integra da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, e determina, dall’altro, un’ immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale (in part., articoli 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela. Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale delle ricorrenti. Sussistono le condizioni per l’applicazione del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater introdotto dalla Legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma l quater del d.p.r. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il giorno 11 dicembre 2014, nella camera di consiglio della sesta sezione civile – 3 della Corte di Cassazione.