Ordinanza 30920/2017
Domanda giudiziale ex art. 2043 c.c. – Modifica domanda in appello ex art. 2051 c.c.
La domanda di responsabilità aquiliana proposta in primo grado invocando l’art. 2043 c.c. non può essere modificata in appello con la riconduzione della vicenda al paradigma dell’art. 2051 c.c. per la inconciliabile diversità dei presupposti, a meno che i fatti enunciati sin dall’atto introduttivo consentivano la sussunzione nella fattispecie disciplinata dall’art. 2051 c.c..
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30920
Articolo 2043 c.c. annotato con la giurisprudenza
Articolo 2051 c.c. annotato con la giurisprudenza
Rilevato che:
la domanda proposta da Gi. Pi., con citazione notificata il 04/07/2005 nei confronti del Comune di Roma, per il risarcimento dei danni da lui patiti per una caduta – occorsagli il 28/09/2004 – col proprio motociclo ed ascritta ad una buca sul manto stradale di una via di Roma, chiamata in giudizio la Italgas spa quale esecutrice di alcuni lavori in quel tratto e riunito il separato giudizio intentato da questa contro l’appaltatrice (OMISSIS) srl, fu rigettata dal Tribunale della Capitale con sentenza n. 5573/09;
l’appello del danneggiato, imperniato sulla contestazione della lettura delle risultanze istruttorie, fu poi respinto con sentenza n. 5539 del dì 11/09/2014 della Corte di appello di Roma, che premise, alla conferma delle conclusioni all’esito di nuova valutazione delle risultanze istruttorie, il rilievo dell’univoca impostazione, fin dalla sua instaurazione, della causa ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.;
per la cassazione di tale sentenza ricorre oggi il Pi., affidandosi a due motivi; resiste con controricorso soltanto Roma Capitale; e, per l’adunanza in camera di consiglio, non partecipata, del 16/11/2017, il ricorrente deposita memoria ai sensi del penultimo periodo dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., come inserito dal comma 1, lett. f), dell’art. 1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla I. 25 ottobre 2016, n. 197;
considerato che:
il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata;
premesso che ogni eventuale lacuna del ricorso non è emendabile con alcun atto successivo e tanto meno con la memoria ex art. 380.bis.1 cod. proc. civ. in base agli stessi principi elaborati per quella prevista dall’art. 378 cod. proc. civ., si deve rilevare inammissibilità del primo motivo, con il quale il ricorrente si duole di «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 2043 e 2051 c.c., nonché in relazione all’art. 14 decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, c.d. Codice della Strada, e agli artt.99 e 112 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.)»;
infatti, la sua tesi della necessità di inquadrare la vicenda entro il paradigma dell’art. 2051 cod. civ., anziché dell’art. 2043 cod. civ., non può essere presa in esame: in primo luogo, perché non si fa in ricorso carico il ricorrente della ratio decidendi della qualificazione della domanda ad opera della Corte di appello, essere cioè stata univocamente fin dal primo atto di causa la domanda impostata come domanda ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., con conseguente non ammissibilità dell’adduzione della ben distinta causa petendi fondata sui differenti presupposti disciplinati dall’art. 2051 cod. civ.; in secondo luogo, perché non indica né soprattutto riporta il ricorso – né valendo, per quanto detto, a colmare tale lacuna alcuno degli atti successivi ad esso – gli atti dei gradi di merito da cui desumere come fosse appunto da lui stata prospettata la relativa specifica – e ben distinta da quella sviluppata ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. – causa petendi, al fine di verificare la correttezza della qualificazione della corte territoriale; in terzo luogo, perché non considera che questa Corte univocamente esclude che la domanda, impostata ab origine ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., possa in appello essere modificata con riconduzione della vicenda al paradigma dell’art. 2051 cod. civ., per l’inconciliabile diversità dei presupposti (Cass. 05/08/2013, n. 18609; Cass. 21/09/2015 n. 18463), sicché la riqualificazione è possibile (ed è stata appunto operata nei casi oggetto delle sentenze dal Pi. richiamate) solo quando i fatti consentivano la sussunzione della fattispecie corrispondente alla diversa causa petendi rilevante per l’art. 2051 cod. civ.;
neppure è ammissibile il secondo motivo, con cui il ricorrente lamenta «A.= Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 2043 e 2051 c.c., sotto altro ed ulteriore profilo, nonché in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 2727 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.). B.= omesso esame circa più fatti decisivi per il giudizio (art. 360, n. 5 c.p.c.)», in particolare contestando la lettura delle deposizioni testimoniali e la conclusione trattane dalla corte territoriale in ordine all’ascrivibilità del sinistro all’avventatezza dello stesso infortunato od alla sua scarsa abilità nello schivare le diverse buche, tralasciando la pienezza della prova sull’accadimento;
premesso che ad ogni buon conto la corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda per l’impossibilità di ricostruire le stesse modalità dell’incidente e così di verificare un qualsiasi rapporto di causalità tra le anomalie del piano stradale e l’infortunio occorso al Pi., in ogni modo è evidente che le sue doglianze involgono a vario titolo la ricostruzione del fatto operata dalla corte di merito in punto di individuazione del nesso causale con l’evento dannoso: come è reso evidente dalla reiterazione delle critiche alla valutazione del materiale probatorio da parte della corte territoriale, come operata nella memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., in pretesa illustrazione sia del primo che del secondo motivo;
ma tale attività richiesta a questa Corte invece è sempre preclusa in questa sede, a maggior ragione dopo la novella del n. 5 dell’art.360 cod. proc. civ., che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto – se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – istituzionalmente riservati al giudice del merito (tanto corrispondendo a consolidato insegnamento, su cui, per tutte, v. Cass. Sez. U., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti);
il ricorso, per l’inammissibilità di tutte le doglianze, è dichiarato a sua volta inammissibile e le spese non possono che seguire la soccombenza;
infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito;
- q. m.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 16/11/2017