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Cassazione Civile 30977/2018 – Poteri dell’institore – Filiali banca – Legittimazione ad agire o resistere in giudizio della filiale

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Ordinanza 30977/2018

 

Poteri dell’institore – Filiali banca – Legittimazione ad agire o resistere in giudizio della filiale – Condizioni

La filiale di una banca, la quale, ai sensi della direttiva 1977/780/CEE non ha personalità giuridica – non assume mai autonomia tale da localizzare a tutti gli effetti nella sua sede i rapporti che pone in essere, con esclusione totale della sede centrale, sicché l’attività da essa svolta deve essere imputata all’istituto di credito di cui la filiale costituisce articolazione periferica. Ne consegue la carenza di autonoma legittimazione processuale della filiale, salvo che non venga citato in giudizio l’institore, in qualità di rappresentante della stessa o la filiale sia formalmente investita della legittimazione a resistere autonomamente in giudizio.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 30-11-2018, n. 30977

Art. 2203 cc (Preposizione institoria) – Giurisprudenza

Art. 2204 cc (Poteri dell’institore) – Giurisprudenza

 

 

RILEVATO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza numero 1823-2015 pronunciata il 23 ottobre 2015 dalla Corte d’appello di Bologna, pubblicata il 3 novembre 2015, con ricorso per cassazione notificato il 5 ottobre 2016, affidato a tre motivi. Avverso il ricorso la banca intimata resiste con controricorso notificato per via telematica il 16 novembre 2016. Il ricorrente ha depositato memoria.

2. La Corte d’ appello ha pronunciato l’estinzione del giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 307 c.p.c., per omesso rinnovo della notifica della citazione presso la sede legale della banca convenuta, citata dal ricorrente presso una filiale. Il ricorrente assume che la citazione avvenuta presso la filiale sia valida e che pertanto l’estinzione sia stata erroneamente pronunciata.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Nei primi due motivi il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 2203 e 2204 c.c. e dell’art. 1306 c.c. in relazione all’art. 307 c.p.c., in quanto il giudice non avrebbe riconosciuto legittimazione processuale alla filiale della Banca, citando in proposito la pronuncia di Corte di Cassazione n. 20.425,22 luglio 2008, e per avere dichiarato estinto l’intero procedimento allorquando l’estinzione avrebbe potuto colpire al più il rapporto processuale da instaurarsi nei confronti della sede centrale, attesa la concorrenza della legittimazione passiva della filiale.

Nel terzo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 per aver la Corte di merito comminato, in violazione del divieto di cui all’art. 156 c.p.c., comma 1, la nullità della notificazione della citazione alla casa madre, pur in assenza della determinazione di perentorietà del termine assegnato da parte del giudice, e per aver comminato l’estinzione del processo, pur in assenza di una negligenza imputabile all’attore che non ha ricevuto la cartolina di ritorno della raccomandata.

2. I motivi vengono trattati congiuntamente in quanto tra loro collegati. Essi sono palesemente infondati.

3. In base a un indirizzo che in questa sede si intende confermare “la filiale (nel caso di specie, di una banca) non assume mai un’autonomia tale da localizzare a tutti gli effetti nella sua sede i rapporti che pone in essere, con esclusione totale della sede centrale e del domicilio dell’imprenditore, non assumendo in contrario rilievo la circostanza che lo specifico affare dal quale è sorto il rapporto controverso sia stato da essa esclusivamente gestito” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14599 del 22/06/2007 – Rv. 598845 – 01). In tema di competenza per territorio, la Cass. Sez. 6 – 3, con Ordinanza n. 19473 del 09/11/2012 (Rv. 624175 – 01), ha ulteriormente sancito che “ai fini dell’individuazione del luogo nel quale l’obbligazione deve essere adempiuta, la filiale, pur dovendo essere retta, a norma dell’art. 2205 c.c., da un rappresentante indicato nel registro delle imprese, non assume mai autonomia tale da localizzare presso di sè i rapporti che pone in essere, con esclusione totale della sede centrale e del domicilio dell’imprenditore, sicchè il domicilio del creditore, cui si riferisce l’art. 1182 c.c., si identifica, nei riguardi di una società, con la sede principale, anche nel caso che vi siano filiali (nella specie, sede provinciale o distaccata di banca)”.

4. Sicchè l’attività posta in essere da filiali o succursali di una banca – prive di personalità giuridica, così come indicato nella Direttiva CEE n. 780 del 12 dicembre 1977 ed espressamente ribadito dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, art. 1, lettera e), – va imputata all’istituto di credito di cui costituiscono un’articolazione periferica. Tuttavia, ai dirigenti preposti a tali filiali è di regola riconosciuta la qualità di institore ex art. 2203 c.c., dalla quale deriva la loro legittimazione attiva e passiva in giudizio in nome della banca preponente, con imputazione a quest’ultima dell’attività giudiziaria da essi svolta (Sez. 1, Sentenza n. 1365 del 26/01/2016 – Rv. 638498 – 01).

5. La sentenza citata dal ricorrente (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20425 del 25/07/2008), lungi dal porsi in contrasto con quanto sopra indicato da questa Corte in linea di principio,in fattispecie diversa (esecuzione forzata) si limita a riferire, come già affermato da questa Corte (Cassazione civile, sezione 3, con ordinanza n. 8920 del 19 giugno 2002) che, poichè l’esecuzione forzata su cose mobili, che si trovino presso un soggetto diverso dal debitore, è espropriazione presso terzi, disciplinata, al pari dell’espropriazione forzata di crediti presso terzi, dall’art. 543 c.p.c. e segg., competente territorialmente nel caso in cui il terzo debitore sia una banca è il giudice dell’esecuzione del luogo in cui è posta la sede legale, o, in via alternativa, del luogo in cui sono ubicate la filiale o l’agenzia presso la quale i beni materialmente si trovino, a condizione che vi sia un rappresentante autorizzato a rendere la corrispondente dichiarazione di terzo. La medesima pronuncia, per altro verso, specifica che “l’attività posta in essere dalle filiali o succursali di una banca – le quali sono prive di personalità giuridica, come risultante dall’espressa indicazione dell’art. 1 della direttiva C.E.E. n. 780 del 12 dicembre 1977, esplicitamente ribadita dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, art. 1 – va sempre imputata alla persona giuridica di cui quelle filiali o succursali costituiscono una emanazione ed ai dirigenti ad esse preposti cui va, di regola, riconosciuta la qualità di institore, ai sensi dell’art. 2203 c.c., comma 2. Ne consegue che i menzionati dirigenti possono agire o resistere in giudizio, in nome della banca preponente, per qualsiasi rapporto derivante da atti compiuti nella filiale o succursale cui sono preposti, così come previsto dall’art. 2204 c.c., comma 2 (cfr. Cass.civ., sezione 1, n. 1819 del 18 febbraio 2000). Nè sembra possibile, al fine di discernere sulla validità della vocatio e della notificazione, distinguere fra la citazione effettuata in sede di pignoramento presso il terzo e la successiva fase di accertamento prevista dall’art. 548 c.p.c., stante l’unitarietà del procedimento in questione”. Si tratta, pertanto, di un precedente inteso solo a confermare la legittimazione dell’institore di una filiale di banca quale preposto a rappresentare gli interessi della banca, ma che non per questo autorizza a ritenere che la filiale abbia una sua autonoma legittimazione processuale.

6. Nel caso in questione non risulta che l’institore, preposto alla filiale, sia stato citato in giudizio in rappresentanza della filiale, nè che la filiale sia stata investita di una legittimazione a resistere autonomamente in giudizio.

7. Dovendosi, pertanto, affermare la carenza di legittimazione processuale della filiale della banca, il giudice a quo ha correttamente ritenuto di dover disporre la rinnovazione dell’atto di citazione presso la sede legale della banca a cura dell’attore che, nel termine indicato dal giudice, non ha dimostrato di avere adempiuto a detto incombente processuale, decadendo quindi dalla facoltà di sanare un atto nullo.

8. In tale caso non si versa certamente in un’ipotesi, quale quella considerata da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1739 del 24/01/2013 (Rv. 624975 – 01), in cui l’estinzione del processo, per mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio stabilito dal giudice postula la legittimità del relativo ordine, e, pertanto, va esclusa, ove quest’ultimo venga revocato nel prosieguo del giudizio per difetto dei suoi presupposti. Difatti, come sopra considerato, l’ordine di integrazione è legittimo perchè non vi è una legittimazione alternativa o concorrente della filiale rispetto a quella della banca madre e la Corte, conseguentemente, ha ritenuto non perfezionata la notificazione della citazione da indirizzarsi all’unica parte legittimata a contraddire, essendo mancata la produzione dell’avviso di ricevimento dell’atto di rinnovo imposto dal giudice.

9. Quanto all’efficacia probatoria dell’avviso di ricevimento, rileva osservare che la notifica a mezzo servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario, e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c. e dalle disposizioni della L. 20 novembre 1982, n. 890, è il solo documento idoneo a dimostrare sia l’intervenuta consegna che la data di essa e l’identità e l’idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8717 del 10/04/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11257 del 18/07/2003).

10. Inoltre, il termine assegnato dal giudice ai fini del rinnovo dell’atto di citazione è per definizione stessa perentorio, posto che l’art. 307 c.p.c., comma 3, in mancanza di osservanza, ne fa derivare l’estinzione del giudizio. Atteso che l’adempimento di detto onere processuale non è stato dimostrato, nè l’attore ha provato che il mancato perfezionamento della notifica sia riconducibile a fatto a sè non imputabile (cfr. Cass. 1180/2006), i giudici di merito hanno correttamente rilevato l’estinzione del processo, determinatasi ai sensi dell’art. 307 c.p.c., comma 3, (v. Cass. 1739/2013).

11. Da tutto quanto sopra consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile ex art. 366 n. 4 cod.proc.civ., poichè le censure non si confrontano con la ratio della decisione impugnata.

P.Q.M.

1. Dichiara inammissibile il ricorso;

2. condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 spese, spese forfetarie al 15% e oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018