Sentenza 31837/2022
Pluralità di debiti – Dichiarazione del debitore di imputazione del pagamento – Mancanza
In presenza di una pluralità di rapporti obbligatori, se il debitore non si avvale della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta spetta, ex art. 1195 c.c., al creditore, il quale può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, mentre i criteri legali ex art. 1193, comma 2, c.c., che hanno carattere suppletivo e sussidiario, subentrano soltanto quando l’imputazione non è effettuata né dal debitore, né dal creditore, fermo restando che l’onere di provare le condizioni che giustificano una diversa imputazione grava sul creditore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della Corte d’appello che – accertata la sussistenza di una pluralità di crediti da parte di un istituto bancario nei confronti di una cooperativa e dato atto di pagamenti parziali effettuati da alcuni soggetti coobbligati – aveva imputato detti pagamenti ai debiti meno garantiti, senza verificare l’esistenza di eventuali dichiarazioni d’imputazione da parte del debitore o del creditore).
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 27-10-2022, n. 31837 (CED Cassazione 2022)
Art. 1193 cc (Imputazione del pagamento) – Giurisprudenza
Art. 1195 cc (Quietanza con pagamento) – Giurisprudenza
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) si oppose all’esecuzione immobiliare promossa dinanzi al Tribunale di Taranto dal (OMISSIS) s.p.a., a seguito di precetto notificatogli in data 3.4.2013, per l’importo di Euro 394.724,26, oltre accessori (ciò in forza di sentenza del Tribunale di Taranto n. 1915/2003), quale fideiussore della ” (OMISSIS)”, in ordine ad un mutuo agrario di originarie Lire 750.000.000 concessole con atto del 12.4.1988. Dedusse l’opponente che il Banco non aveva diritto di procedere ad esecuzione per l’importo precettato, giacchè il creditore aveva frattanto ricevuto pagamenti parziali a deconto dell’esposizione verso la Cooperativa – posta in liquidazione coatta amministrativa nel 1994 – da altri confideiussori, ed aveva anche proceduto alla riscossione di altre somme, a seguito di escussione della debitrice principale, avvenuta nell’ambito della detta procedura concorsuale; chiese quindi di rideterminare il credito esigibile, previa detrazione di quanto già riscosso dal Banco. Negata dal giudice dell’esecuzione la sospensione della procedura e riassunto dall’opponente il giudizio nel merito, l’adito Tribunale – nel contraddittorio col Banco – rigettò l’opposizione con sentenza n. 2157/2017. L’opponente gravò d’appello detta sentenza; il Banco, nel costituirsi, riconobbe Cooperativa – aveva ottenuto il pagamento di complessivi Euro 224.169,12 e che aveva transatto la posizione di altri confideiussori, ricevendo l’ulteriore somma di Euro 51.645,68, benchè imputata ad altri crediti, di natura chirografaria. La Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto – frattanto costituitasi, in luogo del Banco, l’incorporante (OMISSIS) s.p.a. – con sentenza del 23.12.2019 accolse solo parzialmente l’appello del (OMISSIS), dichiarando la sussistenza del credito della procedente nei suoi confronti nella misura di cui alla sentenza del Tribunale di Taranto n. 1915/2003, decurtata però di Euro 187.439,06, incassati dal Banco in data 30.4.2010, con imputazione dapprima agli interessi ed eventualmente al capitale. Osservò in particolare il secondo giudice – per quanto qui ancora interessa – che la banca creditrice aveva effettivamente riconosciuto di aver incassato detta somma, sicchè essa doveva essere decurtata dal credito portato dal titolo esecutivo, debitamente imputata; rilevò, invece, che le somme incassate dal Banco a seguito delle transazioni intercorse con gli altri confideiussori (Euro 51.645,68) non potevano condurre al medesimo effetto, perchè imputate ad altri crediti chirografari vantati nei confronti della Cooperativa, anch’essi garantiti dagli stessi fideiussori; ciò, secondo la Corte tarantina, risultava dimostrato dal fatto che il (OMISSIS) non aveva specificamente e tempestivamente contestato l’assunto avversario.
Avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione (OMISSIS), in forza di tre motivi, cui resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a., nella qualità di procuratore speciale di (OMISSIS) s.p.a. La controricorrente ha depositato documenti ex art. 372 c.p.c.. Il P.G. ha rassegnato scritte, chiedendo l’accoglimento del solo primo motivo del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 – Con il primo motivo si deduce omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Rileva il ricorrente che la Corte d’appello, dopo aver correttamente affermato che nel giudizio di opposizione all’esecuzione fondata su titolo giudiziale, non sono deducibili fatti modificativi o estintivi antecedenti alla formazione del titolo, ha proceduto allo scorporo della somma di Euro 187.439,06 – ricavata dalla vendita forzata dei beni della decotta debitrice principale – dall’importo complessivamente preteso, ma non ha tenuto conto che la procedente aveva riconosciuto di aver incassato anche ulteriori somme dalla liquidatela, per complessivi Euro 224.169,12.
1.2 – Con il secondo motivo si lamenta la “violazione ed omessa o erronea applicazione” dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 1936, 1944, 1218 e 1193 c.c., ed ancora dell’art. 111 Cost., comma 6, nonchè dell’art. 277 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, artt. 115, 166 e 167 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, ed infine omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. Con tale articolata censura, il ricorrente – riguardo alla questione per cui il Banco aveva incassato anche l’importo di Euro 51.645,68 da altri confideiussori, tuttavia non detratto dalla somma complessivamente richiestagli – si duole della decisione impugnata, per aver la Corte d’appello ritenuto che l’imputazione operata dalla creditrice ad altri crediti chirografari fosse del tutto legittima, ai sensi dell’art. 1193 c.c., stante anche la mancata tempestiva contestazione dello stesso (OMISSIS) circa l’esistenza di altre fideiussioni per altri crediti del Banco verso la Cooperativa. Rileva il ricorrente di aver tempestivamente contestato la correttezza dell’imputazione nel primo atto successivo all’avversaria allegazione (ossia, nella memoria del 24.2.2016), peraltro non essendovi prova che i predetti confideiussori avessero garantito anche i crediti chirografari in questione (oltre quello discendente dal mutuo agrario del 12.4.1988): ciò avrebbe dovuto essere dimostrato dal Banco, che invece a tanto non aveva provveduto. Pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto provata una circostanza (ossia, il fatto che anche i crediti chirografari fossero garantiti da fideiussioni rilasciate dagli stessi coobbligati di cui al citato contratto di mutuo agrario del 12.4.1988) non solo ritualmente contestata, ma per nulla provata, così rendendo anche – con la decisione prima riportata – una motivazione non rispondente al “minimo costituzionale”.
1.3 – Con il terzo motivo si denuncia la “violazione ed omessa o erronea applicazione” dell’art. 345 c.p.c., comma 3, ult. periodo, artt. 233 e 237 c.p.c., e art. 183 c.p.c., comma 7, nonchè dell’art. 2736 c.c., n. 1 e art. 2739 c.c., ed infine omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. Con tale ulteriore articolata censura, il (OMISSIS) lamenta l’erroneità della decisione nella parte in cui non ha rilevato l’avvenuta estinzione totale del credito vantato dal Banco nei confronti della Cooperativa per effetto del pagamento effettuato da tale (OMISSIS), con conseguente estinzione dell’obbligazione accessoria vantata nei propri confronti dalla creditrice procedente, come da deduzione formulata all’udienza del 5.7.2019. Osserva il ricorrente che, anche allo scopo di provare l’assunto, nel corso della predetta udienza aveva deferito giuramento decisorio a controparte, questione poi transitata nella fase decisoria ma su cui la Corte non ha speso alcun argomento, a dire dello stesso ricorrente.
2.1 – Il primo motivo è fondato.
La Corte d’appello, dopo aver correttamente affermato che, ai fini della esatta quantificazione del credito della banca procedente, poteva tenersi conto dei soli fatti estintivi avvenuti dopo il passaggio in giudicato del titolo esecutivo azionato (sentenza del Tribunale di Taranto n. 1915/2003), ha preso in considerazione il solo incasso di Euro 187.439,06 ottenuto dalla banca stessa (somma riveniente dalla vendita del bene sociale della cooperativa garantita, nell’ambito della procedura concorsuale a suo carico), senza nulla statuire circa l’ulteriore pagamento di Euro 36.730,06, successivamente effettuato dagli organi della liquidazione in favore della creditrice, a saldo di quanto spettantele dall’escussione del bene sociale.
Peraltro, la stessa creditrice – già nella comparsa di risposta in primo grado (p. 7) – aveva dedotto che il ricavo complessivo dalla stessa ottenibile in sede concorsuale ammontava ad Euro 224.169,12, di cui Euro 187.439,06 già incassati ed Euro 36.730,06 in attesa di essere ricevuti. Il saldo di detta residua somma non soltanto venne puntualmente documentato dal (OMISSIS) mediante la produzione, in appello, di una e-mail ricevuta a mezzo p.e.c. e spedita da una funzionaria della banca in data 6.2.2019 (documento successivo, dunque, alla proposizione del gravame), in cui testualmente si afferma che “dalla liquidatela abbiamo incassato Euro 224.169,12”, ma è stato anche riconosciuto dalla stessa (OMISSIS) nella comparsa conclusionale d’appello depositata il 3/10/2019, che riporta identica affermazione.
2.2.1 – Ebbene, la censura, per come proposta (omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), coglie pienamente nel segno, seppur si renda necessaria qualche puntualizzazione.
2.2.2 – Anzitutto, va ritenuto che la produzione documentale effettuata in appello dal (OMISSIS) (ossia, la p.e.c. del 6.2.2019), in quanto posta a sostegno del dedotto fatto estintivo e relativa a documento formatosi successivamente alla stessa proposizione del gravame, sia pienamente ammissibile (in coerenza col disposto dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nella formulazione derivante dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012) ed avrebbe quindi dovuto essere considerata dalla Corte d’appello, nell’ambito del complessivo corredo probatorio.
2.2.3 – In secondo luogo, al contrario di quanto sostenuto dalla controricorrente, va escluso che l’omessa considerazione del detto importo da parte del giudice d’appello possa ascriversi a mero errore materiale, come tale non veicolabile nel giudizio di legittimità: dalla lettura della motivazione della qui gravata sentenza, emerge senza alcun dubbio (come meglio si dirà infra) che la Corte d’appello ha limitato il proprio esame alla utilizzabilità del solo pagamento come riconosciuto e documentato nel giudizio di primo grado (appunto, pari ad Euro 187.493,06), senza altro osservare (v. sentenza, pp. 2 e 3).
2.2.4 – Infine, il mezzo non incorre nella causa di inammissibilità di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c., perchè nella specie non può configurarsi una doppia conforme in facto: per quanto già detto circa il corredo probatorio utilizzabile dalla Corte d’appello e la sopravvenienza (quantomeno documentale) dell’ulteriore pagamento parziale, è infatti evidente che non può affatto ritenersi che la decisione d’appello – che peraltro ha parzialmente accolto, sul punto, il secondo, terzo e quarto motivo di gravame – sia conforme a quella di primo grado (seppur limitatamente alla minor somma di Euro 36.730,06), che come detto aveva invece tout court rigettato la domanda relativa al pagamento estintivo proposta dal (OMISSIS) in relazione all’intero importo di Euro 224.169,12 (comprensivi della predetta minor somma).
Infatti, “Ricorre l’ipotesi di “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice” (Cass. n. 7724/2022). Si tratta di condizioni non ricorrenti, per quanto detto, nel caso che occupa.
2.3 – Il mezzo merita dunque di essere accolto.
Va però evidenziato che non viene qui in rilievo, di per sè, l’omesso esame del documento (su cui in principal modo insiste il (OMISSIS), richiamando anche giurisprudenza – Cass. n. 25371/2018; Cass. n. 16812/2018; Cass. n. 23238/2017; Cass. n. 19150/2016 – in verità non del tutto pertinente, perchè essenzialmente riferibile alla precedente versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più in vigore dal 2012: non si discute, nella specie, al un vizio motivazionale), bensì proprio l’omesso esame della circostanza che gli organi concorsuali della debitrice garantita avevano effettuato il pagamento a saldo dell’ulteriore importo di Euro 36.730,06, in favore della banca; si tratta certamente di un fatto storico-naturalistico, fenomenicamente apprezzabile, oggetto di discussione tra le parti (tanto da essere stato riconosciuto dalla banca in comparsa conclusionale d’appello), e senz’altro (in parte qua) decisivo, perchè idoneo a correlativamente spostare l’esito della lite: un fatto (il pagamento) il cui esame è stato del tutto omesso dalla Corte d’appello (circa le caratteristiche del vizio in discorso si vedano ex multis, da ultimo, Cass. n. 13024/2022; Cass. n. 8584/2022). La stessa Corte territoriale, nel riformare la decisione di primo grado sul punto, s’è all’evidenza attenuta alle sole asserzioni operate dalla Banca nell’ambito del giudizio di primo grado, senza affatto scrutinare quanto desumibile dalla documentazione in seguito versata in atti dal (OMISSIS) e così incorrendo nel vizio denunciato.
3.1 – Anche il secondo motivo è fondato, benchè ne vadano espunti taluni profili di censura, inammissibili o comunque non accoglibili, per come proposti.
3.2 – Anzitutto, deve escludersi che la motivazione adottata dalla Corte d’appello non sia rispondente al “minimo costituzionale”.
è noto, infatti, che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione ai legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella âEuroËœmancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella âEuroËœmotivazione apparentè, nel âEuroËœcontrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabilì e nella âEuroËœmotivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibilè, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di âEuroËœsufficienzà della motivazione” (così Cass., Sez. Un., n. 8053/2014).
Orbene, sulla questione dell’efficacia estintiva del credito vantato nei confronti del (OMISSIS), per effetto del pagamento della somma di Euro 51.645,68 operato dai confideiussori dell’odierno ricorrente, la Corte tarantina ha ritenuto che la banca aveva allegato sin dalla comparsa di costituzione (ed anche nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, depositata il 9.3.2006) l’esistenza di altre fideiussioni, senza che lo stesso (OMISSIS) ne avesse contestato l’assunto, se non nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3 (destinata, quindi, alla sola indicazione di prova contraria), e perciò tardivamente. Essa ha dunque ritenuto pienamente provata detta circostanza, con il che ha escluso che il ripetuto pagamento potesse portarsi a deconto della posizione debitoria del (OMISSIS), stante la sua legittima imputazione ai crediti chirografari (meno garantiti, rispetto a quelli derivanti dal mutuo agrario), effettuata ai sensi dell’art. 1193 c.c., comma 2.
Risulta quindi evidente come la motivazione della qui impugnata sentenza non manifesti alcuno dei suddetti “indici” del vizio motivazionale ancora denunciabile in questa sede di legittimità: può dunque discutersi, semmai, di decisione erronea (come in effetti è – v. infra), ma non di motivazione incoerente col dettato dell’art. 111 Cost., comma 6, l’iter decisorio percorso dal giudice d’appello essendo pienamente intellegibile e privo di manifeste contraddizioni, sul piano logico.
3.3 – è poi inammissibile l’ulteriore profilo dell’articolato mezzo, laddove si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente – secondo il (OMISSIS) – nell’eccezione di insussistenza di ulteriori garanzie fideiussorie assunte dagli altri coobbligati solidali.
Richiamando quanto già osservato circa la natura del lamentato vizio (v. par. 2.3, in particolare), può qui aggiungersi che con la censura in discorso non vengono in rilievo, in realtà, uno o più fatti storici fenomenicamente apprezzabili, bensì “questioni”, da denunciarsi in questa sede ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o n. 4, a seconda della valutazione prospettica (v. ex multis Cass. n. 17761/2016): il che, nella sostanza, è stato pure effettuato dal ricorrente, per quanto in modo ellittico, ma comunque idoneo a giustificarne l’esame, nei termini che seguono.
3.4.1 – Ciò chiarito, si osserva che l’intera impostazione adottata dalla Corte tarantina, sulla questione in esame, muove dall’assunto secondo cui risulterebbero pacifiche (in difetto di tempestiva contestazione del (OMISSIS), che sarebbe stata effettuata in primo grado soltanto con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3) e quindi non necessitanti di prova ulteriore, le seguenti circostanze:
1) la banca era creditrice della Cooperativa non solo in forza del mutuo agrario, ma anche in virtù di altri rapporti obbligatori;
2) detti rapporti (o almeno quelli che qui rilevano) erano anch’essi garantiti dagli altri fideiussori (quelli diversi, cioè, dall’odierno ricorrente);
3) l’importo di Euro 51.645,68, pagato dai coobbligati, era stato imputato ai crediti chirografari derivanti dai ripetuti rapporti;
4) la sussistenza di crediti chirografari della banca risultava confermata anche dalla nota del commissario liquidatore della l.c.a. del 7.11.1997, con cui si comunicava alla stessa banca l’ammissione al passivo dei suoi crediti, parte in via privilegiata e parte in via chirografaria.
Da tanto, il giudice d’appello ha dunque tratto la conseguenza che la suddetta imputazione ai crediti chirografari era da considerarsi legittima ai sensi dell’art. 1193 c.c., comma 2, perchè concernente crediti meno garantiti, rispetto a quello derivante dal mutuo agrario.
3.4.2 – Ora, premesso che il (OMISSIS) ha dedotto di non aver presentato – nel corso del giudizio di primo grado – alcuna memoria a prova contraria (quella, cioè, di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3), ritiene la Corte che nell’effettuare la valutazione circa la non contestazione dei fatti suddetti (o almeno, di quelli che qui rilevano) da parte del (OMISSIS), il giudice d’appello sia incorso in un evidente error in iudicando de iure procedendo, correttamente denunciato dal ricorrente.
Infatti, da quanto evincibile dal ricorso e dal controricorso, risulta che:
a) il (OMISSIS), con l’atto introduttivo, chiese tra l’altro di rideterminare l’entità del credito vantato dal Banco detraendo quanto già ricavato dall’escussione della debitrice principale (questione già esaminata col primo motivo) nonne quanto da esso ricevuto in forza dei versamenti effettuati dagli altri fideiussori;
b) il Banco – a p. 7 della comparsa di risposta – dedusse che “Dalle transazioni con i diversi fideiussori si è incassato un totale di Euro 51.645,68 somma imputata al credito chirografario”;
c) che conseguentemente il (OMISSIS), nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 (p. 2), depositata il 24.2.2016, espose tra l’altro che le garanzie rilasciate dagli altri coobbligati concernevano il solo mutuo agrario del 12.4.1988, risultando così “evidente che la operata imputazione è assolutamente illegittima”;
d) che di seguito, il Banco, nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, (p. 2), depositata il successivo 9.3.2016, affermò che “L’importo incassato in virtù della transazione con gli altri garanti (…) è stato imputato correttamente su altri crediti esistenti sia in forza di altre fideiussioni rilasciate sia in forza di altro mutuo ipotecario (n. 10/112458) sia delle altre linee di credito (…)”.
3.5 – Così stando le cose, dunque, è evidente che – pacifici essendo i fatti supra riportati sub 1) e 3) (v. par. 3.4.1), e a prescindere da ogni ulteriore valutazione al riguardo – l’aspetto realmente dirimente (ossia, il fatto che il pagamento dei coobbligati del (OMISSIS) fosse stato imputato ad altri crediti del Banco in forza di ulteriori fideiussioni rilasciate dai predetti) era stato certamente e tempestivamente contestato dallo stesso (OMISSIS), in seno alla prima memoria assertiva. Esso, dunque, non poteva considerarsi pacifico, neppure occorrendo che si procedesse ad ulteriore contestazione per effetto della puntualizzazione operata dal Banco nella seconda memoria assertiva.
3.6 – Per meglio chiarire quanto precede, giova qui evidenziare che il processo civile dinanzi al tribunale, nel rito “ordinario” applicabile ratione temporis (ricorso ex art. 615 c.p.c., comma 2, depositato il 4.5.2015), è governato dal meccanismo di preclusione e risulta costituito da tre fasi: una prima, c.d. introduttiva, che si definisce nell’udienza di trattazione o, qualora vi sia richiesta per il deposito di memorie, entro i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, nn. 1 e 2, in cui le parti devono (al più tardi) rispettivamente allegare i fatti a sostegno delle proprie domande ed eccezioni e idonei a confutare quelle avversarie; una seconda, c.d. istruttoria, in cui (al più tardi e sempre che sia stata formulata la richiesta per il deposito di memorie) esse devono chiedere di provare (ove necessario), offrendo i relativi mezzi, i fatti già tempestivamente allegati, ciò che può avvenire anche nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, nn. 2 e 3, rispettivamente, per la prova diretta e contraria (detta fase, ove siano state offerte prove c.d. costituende, può concludersi con la relativa assunzione, all’udienza ex art. 184 c.p.c., qualora il giudice abbia ammesso le relative istanze); una terza, infine, c.d. decisoria, in cui il tribunale, introitata la causa a sentenza, emette la statuizione, secondo le specifiche previsioni di cui agli artt. 275 ss. c.p.c..
Con specifico riferimento all’ambito istruttorio, in particolare, va pure evidenziato che per prova diretta deve intendersi quella con cui la parte, assolvendo l’onus probandi sulla stessa gravante, tenta di dimostrare i fatti primari costitutivi (o, per il convenuto, impeditivi, modificativi o estintivi) della pretesa, mentre per prova contraria deve intendersi quella tesa a dimostrare a) o fatti che hanno un contenuto specularmente opposto a quello dedotto dalla controparte (c.d. prova dei fatti allegati dalla controparte (c.d. prova contraria indiretta).
3.7.1 – Ebbene, la scansione processuale nella specie verificatasi circa la ripetuta questione dirimente (ossia, l’esistenza di ulteriori garanzie rilasciate dagli altri fideiussori in relazione ai crediti chirografari della banca) ha registrato una prima allegazione dell’attore-opponente, che ha genericamente chiesto di sottrarre dal dovuto quanto pagato dai predetti; una seconda allegazione della banca, che ha riconosciuto l’intervenuto pagamento di Euro 51.645,68 effettuato dagli stessi coobbligati, benchè imputato ai crediti chirografari; una terza deduzione del (OMISSIS), che ha negato la bontà di una simile operazione, perchè la fideiussione rilasciata da tutti i suoi coobbligati non garantiva i crediti chirografari, ma soltanto il mutuo agrario; ed infine, una quarta deduzione della stessa banca, che tanto ha giustificato, tra l’altro, al lume dell’esistenza di altre fideiussioni da quelli rilasciate.
è dunque evidente che, anzitutto, la contestazione sul punto è stata ritualmente proposta dal (OMISSIS), ove anche si tenga conto che il processo non è affatto strutturato come una sorta di infinito rimpallo tra le parti, come già visto; anche sul piano meramente temporale, dunque, lo stesso (OMISSIS) non solo non era in condizioni di contestare la più specifica allegazione operata dalla banca soltanto con la seconda memoria assertiva (posto che con l’ulteriore memoria a sua disposizione, ossia quella di cui art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, il debitore opponente avrebbe al più potuto indicare la prova contraria, rispetto ad una prova diretta eventualmente già offerta dall’avversario), ma neanche avrebbe dovuto farlo, giacchè la fase assertiva doveva comunque considerarsi già chiusa.
Specularmente, la banca opposta una volta così specificata l’imputazione del pagamento in questione, effettuato dagli altri confideiussori, nonchè la relativa ragione giustificativa – avrebbe dovuto contestualmente offrire la pertinente prova diretta: si tratta, infatti, di questione che certamente ha natura impeditiva dell’altrui pretesa, con cui si anelava la decurtazione del pagamento stesso dal totale dovuto.
3.7.2 – Pertanto, ha errato la Corte tarantina nel ritenere acquisita la prova dell’esistenza di altre fideiussioni, in forza del contegno processuale del (OMISSIS), così falsamente applicando il disposto dell’art. 115 c.p.c., comma 1, che tanto consente solo in relazione ai fatti non contestati dalle parti. Del resto, è ben noto che lo stesso art. 115 c.p.c. è “norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte” (Cass. n. 9356/2017).
Nè, in senso contrario, può valorizzarsi la già citata nota del commissario della liquidazione coatta amministrativa del 7.11.1997, che secondo lo stesso Procuratore Generale concorre ad un accertamento in fatto non specificamente censurato dal (OMISSIS): in realtà, detta documentazione (ossia, la comunicazione alla creditrice circa l’avvenuta ammissione al passivo della liquidazione, L.Fall., ex art. 209), per quanto evincibile dal tenore della stessa sentenza qui impugnata, non può già in astratto ritenersi decisiva ai fini che occupano, solo dimostrando – come anche il ricorrente evidenzia col mezzo in esame – la sussistenza di una pluralità di crediti della banca verso la procedura concorsuale a carico della Cooperativa, circostanza che lo stesso (OMISSIS) non ha mai contestato in quanto tale, stando a ciò che risulta dagli atti.
3.8 – Ma il deficit sul piano valutativo-probatorio sulla questione che occupa, a ben vedere, attiene anche ad ulteriore aspetto, per niente affatto valutato dal giudice del merito.
In tema di imputazione del pagamento, l’art. 1193 c.c., comma 1, stabilisce che “Chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare”. Ove una tale dichiarazione manchi, la scelta spetta al creditore, come può desumersi dall’art. 1195 c.c.; solo in difetto dell’una e dell’altra può dunque procedersi, ai sensi dell’art. 1193 c.c., comma 2, all’imputazione secondo i criteri sussidiari e suppletivi ivi previsti (così, Cass. n. 2672/2013), sicchè – tra più debiti scaduti, per quanto qui interessa – va preferito quello meno garantito.
Ora, la Corte d’appello, una volta accertata la pluralità di linee di credito della banca verso la Cooperativa ed erroneamente risolta la questione della esistenza della garanzia per alcune di esse (quantomeno, per quelle che qui rilevano), ha senz’altro ritenuto corretta l’imputazione dei pagamenti in discorso ai crediti chirografari, in quanto meno garantiti (rispetto al mutuo agrario del 12.4.1988), ma ha del tutto obliterato l’accertamento circa l’esistenza o meno, all’atto dei rispettivi pagamenti dei coobbligati del (OMISSIS), delle correlative dichiarazioni riguardo all’imputazione stessa, sia dei solventes che dell’accipiens: solo ove tali dichiarazioni fossero effettivamente mancate, in realtà, la Corte del merito avrebbe potuto ritenere legittima l’imputazione in questo giudizio invocata dalla banca, ai sensi dell’art. 1193 c.c., comma 2, fermo restando che l’onere della prova circa le condizioni che giustificano una tale diversa imputazione grava sul creditore (ex multis, Cass. n. 450/2020).
La sentenza impugnata è dunque errata anche per tale ulteriore ragione, che il giudice del rinvio avrà cura di eventualmente valutare, ove all’esito del riesame dell’appello del (OMISSIS) dovesse comunque risultare comprovata l’effettiva esistenza delle ulteriori fideiussioni, sulla base della documentazione già ritualmente acquisita.
4.1 – Infine, il terzo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
4.2 – Infatti, dalla formula del deferito giuramento decisorio, come riportata in ricorso, non è dato evincere le specifiche circostanze del pagamento – e più in generale dell’accordo intervenuto tra la creditrice e tale (OMISSIS), cui il (OMISSIS) attribuisce valenza integralmente estintiva dell’obbligazione garantita, ma che secondo la stessa creditrice costituisce un mero pactum de non petendo – sicchè il mezzo istruttorio richiesto dal (OMISSIS) è da considerarsi inammissibile (v. Cass. n. 27471/2019). Ne consegue che il motivo in esame – complessivamente considerato in tutte le sue articolazioni – è da un lato privo del carattere di decisività, e dall’altro affetto da deficit espositivo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, difettando appunto l’indicazione di tali essenziali elementi, nonchè degli stessi importi che il predetto (OMISSIS) avrebbe versato e/o anche solo pattuito di versare col creditore. Nè tale deficit può essere supplito dalle allegazioni contenute in controricorso (ove l’accordo in questione è stato addirittura riprodotto), giacchè è noto che gli elementi di contenuto-forma di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, sono propri del ricorso e non possono ricavarsi aliunde, “perchè la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo” (così, Cass. n. 18623/2016).
4.3 – Il motivo è però anche infondato, laddove si sostiene che la Corte jonico-salentina “non ha speso alcuna considerazione, alcun verbo, e nemmeno si è accorta che le parti processuali le avevano sollevate e dibattute” (così il ricorso). Infatti, la Corte d’appello, dopo aver esaminato tutti i motivi proposti con l’atto d’appello, ha dichiarato assorbita ogni ulteriore questione: compresa, all’evidenza, quella del preteso fatto totalmente estintivo dell’obbligazione principale garantita, con conseguente liberazione del fideiussore, odierno ricorrente.
Pertanto, l’affermazione secondo cui la questione non è stata affatto esaminata dalla Corte territoriale (la si voglia considerare nell’egida dell’art. 112 c.p.c., il cui disposto non è stato espressamente invocato dal (OMISSIS), o anche in quella del pur proposto vizio di omesso esame di fatto decisivo) è senz’altro errata, perchè la declaratoria di assorbimento di una questione, all’esito della disamina di altra, significa che il giudice ritiene che la soluzione per la prima adottata renda superflua la disamina della seconda (v. Cass. n. 13532/2018), anche in base ad una valutazione logico-giuridica talvolta non espressa, benchè intuitiva. è scorretto, dunque, affermare che la Corte tarantina non abbia speso “alcuna considerazione, alcun verbo”, al riguardo.
Potrebbe semmai discutersi se una tale valutazione, per come resa manifesta dal giudice d’appello, sia corretta o meno: ma si tratta di censura non specificamente proposta dal ricorrente, sicchè la questione non può essere qui affrontata, stante il carattere vincolato del giudizio di legittimità.
5.1 – In definitiva, sono accolti i primi due motivi, mentre il terzo è rigettato. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, sez. st. di Taranto, in diversa composizione, che si atterra ai superiori principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, rigetta il terzo; cassa in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, sez. st. di Taranto, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 23.6.2022.