Ordinanza 3241/2022
Distanze nelle costruzioni – Norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale e dei regolamenti edilizi – Valenza integrativa dell’art. 873 c.c.
In tema di distanze, sia le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori generali, sia i regolamenti edilizi comunali hanno valenza integrativa dell’art. 873 c.c. e natura regolamentare o di atti amministrativi generali, sicché sono subordinati solamente alle norme di rango primario in esecuzione delle quali sono stati emanati. Ne consegue che la prevalenza delle diverse prescrizioni è, in materia, affidata essenzialmente ad un criterio di successione temporale delle norme locali.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 2-2-2022, n. 3241 (CED Cassazione 2022)
Art. 873 cc (Distanze nelle costruzioni) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Al. Qu. ha adito il tribunale di Modena, sezione distaccata di Carpi, esponendo che la T.E. s.r.l. aveva realizzato sul fondo confinante con la proprietà dell’attore, una costruzione posta a distanza illegale.
Ha chiesto di condannare la società convenuta al ripristino dello stato dei luoghi, con rimozione anche delle condotte fognarie e di quelle della luce e del gas e con condanna al risarcimento del danno.
Acquisita documentazione ed espletata c.t.u., all’esito il tribunale ha respinto tutte le domande regolando, le spese.
Su appello del Qu., la Corte di Bologna ha confermato la decisione, osservando che il Comune aveva adottato un regolamento edilizio con cui aveva disciplinato ex novo le distanze tra le costruzioni, superando le prescrizioni contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore ed imponendo un distacco dal confine pari a mt. 5 per gli edifici e di mt. 1,50 per i balconi.
Secondo il giudice distrettuale, le norme contenute nel regolamento edilizio prevalevano sulle previsioni delle norme di attuazione del PRG, considerato che il primo è espressione della autonomia normativa del Comune, mentre le norme di attuazione hanno solo natura di provvedimento, ancorché a carattere generale.
Ha perciò ritenuto che il manufatto fosse conforme alla disciplina locale poiché, oltre a rispettare l’indice di visuale libera, si distanziava di mt. 5 dal confine, mentre i balconi aggettanti rispettavano la distanza di mt. 1,50 imposta dal regolamento, essendo posti a mt. 2.14 dal confine.
La cassazione della sentenza è chiesta da Al. Qu. con ricorso in tre motivi, illustrati con memoria. Franco Cucconi, Lauro Guidetti e Miochele Lucci, soci della T.E.e s.r.l., cancellata dal registro delle imprese, sono rimasti intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 871, 872, 873 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., contestando alla sentenza di aver ritenuto che le previsioni del regolamento edilizio prevalessero sulle norme tecniche di attuazione, non avvedendosi che entrambi gli strumenti locali contenevano prescrizioni conformi, imponendo comunque una distanza minima assoluta di mt. 5 dal confine, la quale andava però calcolata dalla parte estrema dei balconi e non dalla parete dell’edificio.
Il motivo è infondato.
1.1 L’art. 33 della L. 1150/1942 attribuiva specificamente ai regolamenti edilizi – adottati dal Comune – la competenza a disciplinare l’altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le zone e gli eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale.
La disposizione è stata successivamente abrogata per effetto dell’entrata in vigore del D.P.R. 380/2011, il cui art. 4 prevede che i regolamenti edilizi comunali devono tuttora contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi.
Come ha evidenziato la Corte distrettuale, il regolamento del Comune di Carpi aveva disciplinato ex novo le distanze, adottando una nuova regolazione della materia che prevaleva sulle norme tecniche del PRA.
Occorre invero considerare che sia le norme tecniche di attuazione del PRG che i regolamenti edilizi hanno valenza integrativa dell’art. 873 c.c., sicché la prevalenza delle diverse prescrizioni è – in materia – affidata essenzialmente ad un criterio di successione temporale delle norme locali.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che regolamenti edilizi comunali e le prescrizioni generali ed astratte dei piani regolatori generali e delle relative norme tecniche, avendo entrambe natura regolamentare o di atti amministrativi generali, sono subordinati solamente alle norme di rango primario in esecuzione delle quali sono stati emanati (Consiglio di Stato 2707/2012; Tar Brescia 1629/2011; Tar Firenze 2439/2008).
Si è perciò riconosciuto che , è munita di forza abrogativa la norma di un regolamento edilizio che disciplini “ex novo” tutta la materia delle distanze, con conseguente venir meno di una precedente disposizione derogatoria contenuta nelle norme di attuazione del piano regolatore generale (Consiglio di Stato 104/1994;
1.2. Nello specifico, l’esame delle disposizioni locali consente di rilevare che, mentre nelle norme tecniche di attuazione del P.R.G. mancava una specifica disposizione riguardante la distanza dei balconi dal confine, detta previsione era invece contenuta nel regolamento edilizio, prevedendo espressamente che il distacco da osservare nelle nuove costruzioni doveva essere – come previsto anche dal P.R.G. – pari a mt. 5 dal confine, ma che detta distanza doveva anche essere non inferiore ad € 1,50 per “le parti a sbalzo degli edifici muniti di parapetto che consentono di affacciarsi sul fondo del vicino”.
In sostanza, anche a voler concordare con il ricorrente circa l’assenza di un vero e proprio conflitto tra le disposizioni regolamentari e quelle delle NTA, venendo esse ad integrarsi reciprocamente, dato che la distanza prevista per i balconi era – in effetti – oggetto di una previsione del regolamento destinata a disciplinare solo taluni casi particolari (corpi aggettanti, impianti tecnologici, porticati, tettoie, etc.: cfr. art. 99 del regolamento edilizio), resta indubbia, anche sotto tale profilo – oltre che in base ad un criterio strettamente cronologico – la piena vigenza della norma regolamentare, che, con accertamento in fatto, la Corte distrettuale ha ritenuto pienamente osservata.
2. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., sostenendo che il fatto che il regolamento edilizio rinviasse alle prescrizioni del piano regolatore generale, contenendo disposizioni conformi, era circostanza portata all’esame del giudice distrettuale, che tuttavia non l’avrebbe in alcun modo presa in considerazione.
Il motivo è inammissibile.
Deve anzitutto evidenziarsi che la Corte d’appello ha risolto le questioni in fatto in modo conforme alla pronuncia di primo grado, sicché, come prescrive l’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c. la violazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. non è neppure astrattamente deducibile in cassazione. In ogni caso, è decisivo considerare come il ricorrente lamenti – inammissibilmente – l’omessa considerazione di un argomento difensivo, trascurando che la nozione di “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., include non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto” in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 7983/2014; Cass.17761/2016; Cass. 29883/2017; Cass. 21152/2014; Cass. s.u. 5745/2015; Cass. 5133/2014, n. 5133).
Non costituiscono invece fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. 14802/2017; Cass. 21152/2014); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il ”vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21439/2015); le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali rappresentano, piuttosto, i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame, e la cui mancata considerazione, perciò, integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. 1539/2018; Cass. 21257/2014; Cass. 22799/2017; Cass. 6835/2017).
2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 33 L. 1150/1942 e 2 L.R. Emilia-Romagna 33/1990, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., sostenendo che il regolamento edilizio è atto non deputato a disciplinare anche la distanza dei nuovi fabbricati dai confini di proprietà, che invece ricade nell’ambito di competenza del P.R.G..
Si assume che la disciplina regionale prevedeva ebbe che le distanze fossero calcolate su un piano orizzontale a partire dal perimetro della superficie coperta del fabbricato, comprensivo di eventuali volumi aggettanti superiori a mt. 1,50, per cui anche nel caso in esame il distacco di mt. 5 andava computato dai balconi aggettanti e non dal filo della parete esterna. Il motivo è palesemente infondato.
E’ – anzitutto – principio costantemente affermato da questa Corte che le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra le costruzioni o dai confini, anche in misura diversa da quelle stabilite dal codice, hanno – in virtù del rinvio contenuto nell’art. 873 c.c.- portata integrativa delle disposizioni dettate in materia dal Codice civile (Cass. 22417/2019; Cass. s.u. 10318/2016; Cass.25401/2007; Cass. 4199/2007).
In sostanza, la tesi avanzata dal ricorrente, circa l’impossibilità che il regolamento disciplinasse le distanze legali, non tiene conto del contrario e consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile circa la valenza integrativa dell’art. 873 c.c. che va assegnata al regolamento edilizio.
Riguardo al fatto che il distacco del manufatto dal confine dovesse essere calcolato non dalla parete a filo, ma dalla linea estrema dei balconi, la censura non si confronta – inoltre – con il contenuto della previsione del regolamento che imponeva una doppia distanza dal confine, disponendo che qualora la nuova costruzione presentasse balconi aggettanti, questi ultimi dovevano esser posti a mt. 15,0 dal confine, dovendo la parete essere comunque collocata a mt. 5 dal confine stesso.
La normativa locale, così disponendo, appare coerente con il principio secondo cui anche i balconi, ove abbiano determinate caratteristiche, costituiscono “costruzione” agli effetti dell’art. 873 c.c. (Cass. 25191/2021; Cass. 18282/2016; Cass. 859/2016), essendo invece rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione la fissazione dell’entità del distacco minimo che le parti sono tenute in tal caso ad osservare (salvo il limite sancito dall’art. 873 c.c. per la distanza tra costruzioni, che non può essere inferiore a mt. 3).
Il ricorso è quindi respinto.
Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto difese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, del giorno 13.12.2021.