Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 32787/2022 – Espromissione e promessa di pagamento – Differenze

Richiedi un preventivo

Ordinanza 32787/2022

Espromissione e promessa di pagamento – Differenze

L’espromissione si distingue dalla promessa di pagamento, disciplinata dall’art 1988 c.c., in quanto, mentre quest’ultima si colloca fra i negozi unilaterali, la prima integra un contratto, caratterizzato dall’incontro delle volontà di chi si pone come nuovo debitore (accanto, e talora al posto, del debitore originario) e chi lo accetta come tale.

Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza 8-11-2022, n. 32787   (CED Cassazione 2022)

Art. 1988 cc (Promessa di pagamento e ricognizione di debito) – Giurisprudenza

 

 

RITENUTO IN FATTO

– che la società (OMISSIS) S.p.a. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 101/21, del 20 gennaio 2021, della Corte di Appello di Bari, che – accogliendo il gravame esperito da (OMISSIS) avverso la sentenza n. 5524/15, del 17 dicembre 2015, del Tribunale di Bari – ha condannato la stessa a pagare al (OMISSIS) la somma di Euro 50.000,00;

– che, in punto di fatto, l’odierna ricorrente riferisce di aver proposto opposizione avverso il provvedimento monitorio, emesso dal Tribunale di Bari, che le ingiungeva di pagare al (OMISSIS) la somma suddetta, sulla base di una scrittura privata, sottoscritta dal rappresentante legale della (OMISSIS);

– che nella citata scrittura si leggeva che il (OMISSIS), nella qualità di amministratore delegato della società (OMISSIS) S.r.l., accettava “a transazione, tacitazione e saldo del credito derivante da compensi di amministratore della società stessa in parte non percepiti per gli anni (OMISSIS), l’importo complessivo netto di Euro, 50.000,00”;

– che l’iniziativa ex art. 645 c.p.c. era assunta – chiedendo e ottenendo, dall’adito giudicante, che fosse chiamata in giudizio anche la (OMISSIS) – sul rilievo che i pretesi compensi del (OMISSIS) avrebbero riguardato l’attività dallo stessa prestata nei confronti della (OMISSIS), e non certo della (OMISSIS), società, quest’ultima, solamente socia (insieme ad altri tre soggetti, tra cui lo stesso (OMISSIS)) della prima;

– che la terza chiamata (OMISSIS), costituitasi in giudizio, sosteneva come (OMISSIS) avesse assunto spontaneamente l’obbligazione di pagare le somme indicate nella suddetta scrittura privata, in modo del tutto svincolato dai rapporti esistenti tra il (OMISSIS) e (OMISSIS);

– che l’opposizione era accolta dal primo giudice, con decisione, tuttavia, totalmente riformata da quello di appello, su gravame dell’opposto (OMISSIS);

– che avverso la sentenza della Corte barese ricorre per cassazione (OMISSIS), sulla base – come detto – di tre motivi;

– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1272, 1988, 2697 e 1324 c.c., contestando la qualificazione come espromissione, data dalla sentenza impugnata, della scrittura privata posta dal (OMISSIS) a fondamento del ricorso monitorio, dal momento che la Corte territoriale non avrebbe considerato che presupposto dell’espromissione è la sussistenza di un’obbligazione altrui, precedente all’assunzione dell’espromittente;

– che il secondo motivo denuncia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1272, 1988, 1362 e 1324 c.c., ribadendo la stessa censura già oggetto del primo motivo, sebbene sotto altro profilo, ovvero lamentando che, nella qualificazione della scrittura suddetta come atto di espromissione, il giudice di appello avrebbe disatteso il criterio dell’interpretazione letterale;

– che il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio;

– che esso consisterebbe nell’avvenuta messa a disposizione, da parte di (OMISSIS) (in esecuzione di quanto deliberato nel verbale dell’assemblea societaria del 15 maggio 2008), al solo soggetto obbligato verso il (OMISSIS), vale a dire (OMISSIS), della somma di Euro 50.000,00, importo, appunto, da destinarsi a tacitazione delle pretese di costui verso (OMISSIS);

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, il (OMISSIS), chiedendo che sia dichiarata inammissibile e, comunque, rigettata;

– che è rimasta intimata (OMISSIS);

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 14 luglio 2022;

– che ricorrente e controricorrente hanno depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va rigettato;

– che ritiene, infatti, questo Collegio che le conclusioni in tal senso rassegnate nella proposta del Consigliere relatore non siano state superate dai rilievi svolti dalla ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2;

– i motivi primo e secondo – da scrutinare congiuntamente, giacchè contestano la qualificazione come espromissione, data dalla Corte territoriale alla scrittura fonte del credito azionato in via monitoria dal (OMISSIS) – sono infondati;

– che questa Corte ha, da tempo, chiarito che “l’espromissione si distingue dalla promessa di pagamento, disciplinata dall’art. 1988 c.c., in quanto mentre quest’ultima si colloca fra i negozi unilaterali, l’altra è considerata un contratto, caratterizzato dall’incontro delle volontà di chi si pone come nuovo debitore, al fianco, e talora al posto, del debitore originario, e chi lo accetta come tale” (Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 1973, n. 609, Rv. 362703-01; Cass. Sez. 1, sent. 21 novembre 1983, n. 6935, Rv. 431605-01);

– che è proprio l’esistenza di una duplice manifestazione di volontà, del legale rappresentante di (OMISSIS) e del (OMISSIS), a far propendere per la qualificazione dell’atto in questione come contratto di espromissione e non come promessa di pagamento, se è vero che la fattispecie di cui all’art. 1272 c.c., ancorchè non richieda l’accettazione del debitore, presenta struttura bilaterale (da ultimo, Cass. Sez. 6-2, ord. 22 luglio 2021, n. 21102, Rv. 661909-01, pertinentemente richiamata nel controricorso del (OMISSIS));

– che neppure può dirsi che tale qualificazione contrasti con il canone dell’interpretazione letterale e con la centralità che esso riveste tra i criteri dell’ermeneutica contrattuale, visto che “il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti” (Cass. Sez. 5, sent. 28 giugno 2017, n. 16181, Rv. 644669-01, in senso analogo, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 10 settembre 2021, n. 24483, non massimata);

– che l’operazione ermeneutica, pertanto, va sempre compiuta con riferimento al “contesto negoziale integrale ai sensi dell’art. 1363 c.c.”, nonchè ai “criteri di interpretazione soggettiva stabiliti dagli artt. 1369 e 1366 c.c., rispettivamente volti a consentire l’accertamento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta (in conformità agli interessi che le parti abbiano inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale), ed altresì ad escludere, mediante un comportamento improntato a lealtà e salvaguardia dell’altrui interesse, interpretazioni cavillose che depongano per un significato in contrasto con gli interessi che le parti abbiano inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale”, il tutto, dunque, nella prospettiva di una “circolarità del percorso ermeneutico”, che “impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e quindi di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 14 settembre 2021, n. 24699, Rv. 662267-01);

– che non vale, dunque, richiamarsi – come ha fatto (OMISSIS) nella propria memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, – al principio “in claris non fit intepretatio”, essendosi già precisato, da parte di questa Corte, non solo che, persino quando “la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto”, essa è pur sempre da apprezzare “attraverso una valutazione di merito che consideri il grado di chiarezza della clausola contrattuale mediante l’impiego articolato dei vari canoni ermeneutici”, in quanto essi risultano “legati da un rapporto di implicazione necessario” (cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 3 giugno 2014, n. 12360, Rv. 631051-01), ma soprattutto che il principio suddetto “non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti” (Cass. Sez. 3, sent. 9 dicembre 2014, n. 25840, Rv. 63342101);

– che, pertanto, sebbene i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. siano governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la “comune intenzione delle parti stipulanti”, la necessità di ricostruire quest’ultima senza “limitarsi al senso letterale delle parole”, ma avendo riguardo al “comportamento complessivo” dei contraenti comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, giacchè il significato delle dichiarazioni negoziali non è un “prius”, ma l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore” (Cass. Sez. 3, sent. 15 luglio 2016, n. 14432, Rv. 640528-01);

– che, quindi, come evidenziato anche dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, sebbene “il criterio del senso letterale delle parole (art. 1362 c.c., comma 1)”, si ponga “quale primo momento del processo di interpretazione”, donde la necessità di “valutarne la portata assorbente di eventuali, ulteriori e successivi criteri ermeneutici” (così, tra le più recenti, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 26 ottobre 2021, n. 30135, Rv. 662581-01), tra questi ultimi spicca “quello funzionale, che attribuisce rilievo alla “ragione pratica” del contratto, in conformità agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale” (Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 2016, n. 23701, Rv. 642983-01 in senso conforme anche Cass. Sez. 3, sent. 6 luglio 2018, n. 17718, Rv. 649662-01, nonchè, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 8 marzo 2019, n. 6882, non massimata e, di recente, Cass. Sez. lav., ord. 25 gennaio 2022 n. 2173, Rv. 663736-01);

– che proprio alla stregua di tale criterio “funzionale”, anche in ragione del fatto che sussiste piena compatibilità tra espromissione e causa transattiva (Cass. Sez. Lav., sent. 16 febbraio 2004, n. 2932, Rv. 570150-01), l’interpretazione proposta dalla sentenza impugnata appare del tutto plausibile;

– che neppure può sostenersi – come ha fatto la ricorrente, nuovamente, nella memoria depositata in vista della presente adunanza camerale – che la “ragione pratica” della scrittura suddetta, identificata dalla Corte barese in quella tipica dell’espromissione, sarebbe contraddetta dalla circostanza (sulla quale insiste, in particolare, il terzo motivo di ricorso) che essa (OMISSIS) avrebbe fornito a (OMISSIS), all’esito dell’assemblea del 15 maggio 2008, la somma di Euro 50.000,00 necessaria a tacitare le pretese del (OMISSIS);

– che assume infatti la ricorrente – in particolare a pag. 4 della citata memoria – che “se la (OMISSIS) S.p.a. avesse inteso espromettere la (OMISSIS) S.r.l. non avrebbe avuto il minimo senso per tale società obbligarsi due mesi dopo, nell’assemblea all’uopo convocata, a corrispondere la medesima somma alla (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione”;

– che questo rilievo – come si vedrà appena di seguito – resta superato dal rigetto anche del terzo motivo di ricorso;

– che esso – nel lamentare essere stato omesso l’esame della circostanza costituita dall’avvenuta messa a disposizione, da parte di (OMISSIS) all’obbligata (OMISSIS), della somma di Euro 50.000,00 – è privo di decisività;

– che a tale esito conduce non solo il rilievo – già espresso nella proposta del Consigliere relatore – che nella espromissione “non vengono in considerazione i rapporti interni fra obbligato ed espromittente, nè sono giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l’intervento del terzo”, essendo la causa di tale contratto “costituita dall’assunzione del debito altrui tramite un’attività del tutto svincolata dai rapporti eventualmente esistenti fra terzo e obbligato, anche se non si richiede l’assoluta estraneità dell’obbligato rispetto al terzo” (Cass. Sez. 2, sent. 7 dicembre 2012, n. 22166, Rv. 624165-01), ma il tenore stesso del documento (il verbale dell’assemblea societaria) dal quale emergerebbe, secondo la ricorrente, tale fatto decisivo di cui sarebbe stato omesso l’esame;

– che, infatti, come bene osserva il controricorrente, dal testo di tale documento – peraltro, non riprodotto integralmente nel ricorso (ciò che rende dubbia la stessa ammissibilità del motivo a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6; cfr. Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34469, Rv. 656488-01) – non emerge affatto in modo certo che la somma messa a disposizione di (OMISSIS) fosse da impiegare per pagare gli emolumenti di (OMISSIS);

– che, in conclusione, il ricorso va rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo;

– che in ragione del rigetto del ricorso va dato atto — ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 — della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando la società (OMISSIS) S.p.a. a rifondere, a (OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 4.000,00, oltre Euro, 200,00 per esborsi, più 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Sesta Civile, Terza sottosezione, della Corte di Cassazione, il 14 luglio 2022.