Ordinanza 3285/2022
Responsabilità civile – Nesso di causalità – Inquinamento ambientale
In tema di illecito aquiliano, ai fini dell’accertamento del nesso causale, non è sufficiente una relazione di prossimità cronologica tra la condotta e l’evento dannoso, in quanto il criterio “post hoc propter hoc” è errato, posto che correlazione non significa causazione. (In applicazione del principio la Corte ha cassato la sentenza che, per rigettare la domanda di risarcimento del danno per inquinamento ambientale di un’area, aveva escluso il nesso causale tra lo sversamento di materiale oleoso, provocato dal cedimento del manto stradale in corrispondenza delle cisterne che lo contenevano, e le condotte ascritte ai convenuti, precedenti proprietari dell’area, di occultamento sotto la sede stradale di tali cisterne e di mancata rimozione delle stesse, in quanto risalenti a molti anni prima dell’evento lesivo).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 3-2-2022, n. 3285 (CED Cassazione 2022)
Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. La società (OMISSIS) S.a.s. (d’ora in poi, “società (OMISSIS)”) ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 2486/18, del 7 settembre 2018, della Corte di Appello di Venezia, che rigettando il gravame esperito, in via principale, dall’odierna ricorrente avverso la sentenza n. 715/14, del 30 dicembre 2014, del Tribunale di Belluno (accogliendo, invece, quello incidentale della società (OMISSIS) S.p.a., in relazione alla disposta compensazione delle spese del primo grado di giudizio) – ha così provveduto.
La pronuncia oggi impugnata ha confermato la reiezione della domanda proposta dalla società (OMISSIS), finalizzata all’accertamento dell’esclusiva responsabilità della predetta società (OMISSIS), oltre che della società (OMISSIS) S.r.l., per l’inquinamento ambientale verificatosi presso l’immobile di proprietà dell’odierna ricorrente, sito in (OMISSIS), con conseguente richiesta di condanna delle stesse al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati in Euro 442.677,99, oltre interessi e rivalutazione.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che in data (OMISSIS), presso l’immobile suddetto, a seguito del cedimento di un tratto del sedime stradale, veniva riscontrata – nella parte marginale della sede stradale, all’interno di una buca – la presenza di materiale oleoso, che emanava il tipico odore degli idrocarburi. Inviata, il giorno successivo, comunicazione di “individuazione di contaminazione storica”, all’esito di un primo intervento di aspirazione-emungimento del liquido – che faceva emergere l’esistenza di una “bolla”, profonda circa settanta centimetri, sotto la sede stradale – il predetto liquido scuro riprendeva a fuoriuscire, rendendo, così, necessarie operazioni di scavo, culminate nella scoperta di quattro cisterne contenenti olio pesante, la cui presenza era rimasta sino ad allora celata, essendo stati quei manufatti occultati.
Completati solo il (OMISSIS) i lavori di integrale ripristino dell’area (per un costo complessivo, sostenuto dalla società (OMISSIS), nella già indicata misura di Euro 442.677,99), l’odierna ricorrente conveniva in giudizio le società (OMISSIS) e (OMISSIS), affinchè fosse dichiarata la loro responsabilità per l’inquinamento ambientale, con condanna delle stesse a risarcirle il danno, da liquidarsi in un importo pari al costo sostenuto per il ripristino. E ciò sul presupposto che, nell’area ove è posto l’immobile di proprietà di essa società (OMISSIS), sorgeva – dal 1955 al 1980 – una fornace per laterizi di proprietà della società (OMISSIS) (poi divenuta (OMISSIS) S.r.l). alimentata da olio combustibile denso, prelevato dalle quattro cisterne poste sotto il livello stradale, senza che tale società – nè la successiva proprietaria dell’area in questione, la ridetta società (OMISSIS), resasi non solo acquirente della stessa, con scritture private del 5 aprile 1989 e del 24 ottobre 1991, ma anche esecutrice di opere di urbanizzazione – avesse mai provveduto alla loro eliminazione.
Rigettata dal primo giudice la domanda risarcitoria, proposta sia quale rivalsa Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 253, comma 4, sia ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c., la decisione veniva confermata dal giudice di appello, che respingeva il gravame dell’attrice soccombente (accogliendo, invece quello esperito, in via incidentale, dalla società (OMISSIS), in relazione alla disposta compensazione, tra le parti, delle spese del primo grado di giudizio).
3. Avverso la sentenza della Corte lagunare ha proposto ricorso per cassazione la società (OMISSIS), sulla base – come detto – di sei motivi.
3.1. Il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, e precisamente dell’art. 2043 c.c..
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato – nel decidere in merito al motivo di gravame con il quale l’allora appellante reiterava la richiesta di risarcimento danni ai sensi dell’art. 2043 c.c. – che, anche ad accedere alla prospettazione secondo cui “il materiale oleoso inquinante era fuoriuscito da cisterne interrate ivi collocate da (OMISSIS) e non rimosse da (OMISSIS) prima di rivendere l’area a terzi, lo sversamento del materiale è stato provocato dal cedimento della parte marginale della sede stradale in corrispondenza delle cisterne, verificatosi nel 2008”, ritenendo, su tali basi, non esservi “nesso causale tra la condotta delle appellate, risalente a molti anni prima, e l’evento lesivo, siccome concretamente verificatosi”. Si contesta, in particolare, la decisione della Corte territoriale per aver considerato la condotta delle società (OMISSIS) e (OMISSIS) quale “mero antecedente, privo di efficacia causale rispetto all’evento dannoso”.
In questo modo, tuttavia, sarebbe stato disatteso il principio, enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, “in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo”, secondo un accertamento da compiersi in applicazione del “criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili”, sicchè “ai fini della riconducibilità dell’evento dannoso ad un determinato fatto o comportamento, non è sufficiente che tra l’antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l’evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell’antecedente” (è citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 23 giugno 2015, n. 12923, e numerose altre).
Sotto questo profilo, dunque, la ricorrente rileva che, in assenza delle condotte addebitate alle due società (l’avere (OMISSIS) posizionato le cisterne piene di olio pesante, e (OMISSIS) non provveduto alla loro asportazione), “non ci sarebbe stato alcun cedimento della strada”.
In ogni caso, anche a ritenere – come ha fatto il giudice di appello – “il cedimento della sede stradale un evento non derivante dalla condotta delle società”, il nesso causale con l’evento dannoso non verrebbe, comunque, meno. E ciò perchè il cedimento della sede stradale non potrebbe essere considerato alla stregua di talune di quelle “cause sopravvenute (…) da sole sufficienti a determinare l’evento”, di cui all’art. 41 c.p., comma 2.
Viene richiamato, sul punto, il principio secondo cui, “qualora la condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell’evento, e ne costituisca un antecedente causale, l’agente deve rispondere per l’intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato”, non sussistendo, invece, “nessuna responsabilità dell’agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non ne costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, nè per quelli preesistenti” (è citata Cass. Sez. Lav., sent. 8 giugno 2007, n. 13400).
3.2. Il secondo motivo – proposto non solo autonomamente, ma in dichiarata relazione di subordinazione rispetto al primo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), “motivazione apparente” e/o “perplessa e incomprensibile”, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6.
Si censura quello stesso passaggio della sentenza impugnata già oggetto del primo motivo, in quanto la Corte territoriale avrebbe “laconicamente” liquidato il tema del nesso causale (o meglio, della sua carenza) tra le condotte di (OMISSIS) e di (OMISSIS) e l’evento dannoso, con motivazione – si lamenta obiettivamente inidonea a far comprendere il percorso argomentativo seguito.
3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, e precisamente dell’art. 2050 c.c..
Si censura, in questo caso, la sentenza impugnata per aver escluso anche la responsabilità di (OMISSIS) e (OMISSIS), ai sensi dell’art. 2050 c.c., sempre in ragione della “insussistenza del nesso causale tra la condotta delle appellate e l’evento lesivo”.
In particolare, con il motivo si lamenta che la Corte territoriale, sebbene “abbia correttamente ritenuto” – a dire della ricorrente – “che le attività di (OMISSIS) e (OMISSIS) rientrassero nel novero delle attività pericolose” (tali dovendo ritenersi, sottolinea la società (OMISSIS), sia “l’utilizzo di forni ad alte temperature alimentati da olio combustibile per la realizzazione di laterizi”, attività svolta da (OMISSIS), sia l’urbanizzazione dell’area, compiuta invece da (OMISSIS), considerato che l’attività edilizia, “soprattutto quando comporta opere di trasformazione, di rivolgimento, di spostamento di masse terrose e scavi profondi interessanti vaste aree”, deve ritenersi anch’essa rilevante ai fini ed agli effetti di cui all’art. 2050 c.c.), ha, poi, inopinatamente escluso l’esistenza del nesso causale con la fuoriuscita di olio combustibile. Si sottolinea, per un verso, che l’evento di danno connesso all’attività pericolosa può manifestarsi anche dopo la cessazione di questa, e che nel caso di specie – per le ragioni già illustrate con il primo motivo di ricorso – il nesso causale tra tale (duplice) attività e lo sversamento non può considerarsi “reciso” dall’intervenuto cedimento della sede stradale.
3.4. Il quarto motivo – anch’esso proposto non solo autonomamente, ma in dichiarata relazione di subordinazione rispetto al terzo – denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), “motivazione apparente” e/o “perplessa e incomprensibile”, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6.
Pure in questo caso, e sulla scorta di considerazioni analoghe a quelle sviluppate con il secondo motivo, si censura il difetto di motivazione in ordine alle ragioni della mancata applicazione dell’art. 2050 c.c..
3.5. Il quinto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione, ancora una volta, all’art. 2050 c.c..
Si censura, in questo caso, la sentenza impugnata per aver escluso l’applicazione della norma suddetta sul rilievo che “all’epoca dello sversamento entrambe le società avevano da tempo cessato di svolgere la rispettiva attività nei luoghi in cui esso si è verificato”.
In questo modo, tuttavia, la sentenza impugnata avrebbe disatteso il principio, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui – se è vero che, di norma, il danno e contestuale all’attività, esso, peraltro, “può prodursi in una fase successiva, purchè ne dipenda modo sufficientemente mediato”.
3.6. Il sesto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all’art. 92 c.p.c..
Si censura, in questo caso, la decisione della Corte veneziana di accogliere l’appello incidentale della società (OMISSIS), riformando la pronuncia adottata dal primo giudice in punto spese di lite. Sottolinea, al riguardo, la ricorrente che il Tribunale di Belluno aveva esplicitato i “giusti motivi” a sostegno della disposta compensazione, sicchè il giudice di appello avrebbe errato nell’affermare che esso aveva omesso di specificare le ragioni della propria decisione. La pronuncia della Corte territoriale, inoltre, sarebbe errata anche per non aver chiarito le ragioni per le quali i motivi di compensazione individuati dal primo giudice “sarebbero privi di particolare rilevanza e gravità atti a giustificare la compensazione anche solo parziale delle spese”.
4. La società (OMISSIS) ha resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o rigettata.
La controricorrente, innanzitutto, contesta la ricostruzione dei fatti, oggetto del presente giudizio, operata dalla società (OMISSIS).
Inoltre, nel rammentare di essere risultata vittoriosa all’esito di entrambi i gradi di giudizio di merito, essa fa riserva di riproporre le eccezioni già svolte in quella sede (difetto di legittimazione attiva della già attrice, nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, difetto della propria legittimazione passiva, prescrizione del diritto vantato dall’attrice e insussistenza di qualsiasi vincolo di solidarietà passiva tra le convenute), eccezioni rimaste, tutte, assorbite dalla duplice pronuncia di rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
Si riserva, altresì, di riproporre la domanda di manleva nei confronti di (OMISSIS), anch’essa rimasta assorbita dalla reiezione di ogni pretesa dalla società (OMISSIS) nei confronti di ambo le convenute.
Nel merito, la controricorrente sottolinea come la decisione della Corte lagunare debba ritenersi del tutto corretta, specie se posta in correlazione con quella del primo giudice. Nella sentenza del Tribunale di Belluno si legge, infatti, che “sulla base dell’ampia e dettagliata documentazione in atti, emerge, in maniera certa, che il fattore causale scatenante la fuoriuscita sia stato un cedimento della parte marginale della sede stradale”, essendo, invece, “del tutto indimostrato” che tale “fuoriuscita del carburante nel terreno fosse risalente” e, pertanto, “ascrivibile a concause remote”. In particolare, secondo il primo giudice, la causa dello sversamento deve ravvisarsi “nel fattore causante la rottura della cisterna, fattore che nella situazione specifica non è accertabile o, al limite, va identificato con qualche fatto recente, ascrivibile alla stessa attrice o altri soggetti utilizzatori dell’area che è nella detenzione dell’attrice, determinante il ridetto “cedimento della parte marginale della sede stradale””.
5. è rimasta solo intimata la società (OMISSIS).
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso va accolto.
6.1. Il primo motivo è, infatti, fondato.
6.1.1. La sentenza impugnata – come denunciato dalla ricorrente – ha fatto un uso malaccorto delle regole giuridiche relative alla ricostruzione del nesso causale, nella parte in cui afferma che, anche “ad accedere alla prospettazione dell’appellante, secondo cui il materiale oleoso inquinante era fuoriuscito da cisterne interrate ivi collocate da (OMISSIS) e non rimosse da (OMISSIS) prima di rivendere l’area a terzi, lo sversamento del materiale è stato provocato dal cedimento della parte marginale della sede stradale in corrispondenza delle cisterne, verificatosi nel (OMISSIS)”, donde la conclusione secondo cui “non vi è pertanto nesso causale tra la condotta delle appellate, risalente a molti anni prima, e l’evento lesivo, siccome concretamente verificatosi”.
La Corte territoriale, “appagandosi” della constatazione che fu il “cedimento della parte marginale della sede stradale” a determinare lo sversamento, oltre a non indagare sulla (eventuale) relazione eziologica esistente tra tale cedimento e la mancata rimozione delle cisterne (occultate sotto la strada), esclude che la loro presenza possa porsi come antecedente remoto – di una più ampia serie causale, cui appartiene pure il cedimento della strada, e ciò in base al solo dato, in sè anodino, della “risalenza nel tempo” delle condotte – interramento delle cisterne e mancata rimozione delle stesse – addebitato a (OMISSIS) e a (OMISSIS).
Si tratta di affermazione che integra violazione, più ancora che dell’art. 2043, dell’art. 1227 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p., da intendersi come implicitamente richiamati dalla ricorrente nell’illustrazione del primo motivo di ricorso, che denuncia un “error in iuducando” nell’applicazione delle regole giuridiche di ricostruzione del nesso causale.
6.1.2. Sul punto, infatti, deve muoversi, a titolo di premessa, dall’affermazione – ancora di recente ribadita da questa Corte – secondo cui, “in materia di illecito aquiliano, l’accertamento del nesso di causalità materiale, in relazione all’operare di più concause ed all’individuazione di quella cd. “prossima di rilievo” nella verificazione dell’evento dannoso, forma oggetto di un apprezzamento di fatto del giudice di merito che è sindacabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sotto il profilo della violazione delle regole di diritto sostanziale recate dagli artt. 40 e 41 c.p. e art. 1127 c.c., comma 1″ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 8 aprile 2020, n. 7760, non massimata sul punto; nello stesso senso, sempre tra le più recenti, già Cass. Sez. 6-3, ord. 24 maggio 2017, n. 13096, Rv. 644388-01). Più in generale, del resto, “l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, restando, invece, inteso che “l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivata” (Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2014, n. 4439, Rv. 630127-01).
Deve, dunque, anche qui ribadirsi che la ricostruzione della “problematica causale”, con riferimento alla “causalità materiale o di fatto, presenta rilevanti analogie con quella penale, artt. 40 e 41 c.p.”, giacchè “il danno rileva solo come evento lesivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 11 gennaio 2008, n. 576, Rv. 600899-01; per l’applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., al nesso di causalità materiale dell’illecito civile si vedano anche Cass. Sez. 3, sent. 11 maggio 2009, n. 10741, Rv. 608391-01; Cass. Sez. 3, sent. 8 luglio 2010, n. 16123, Rv. 613967-01; Cass. Sez. 3, ord. 12 aprile 2011, n. 8430, Rv. 616864-01). Sino a che punto, tuttavia, possa predicarsi siffatta “analogia”, è quanto ha formato oggetto di puntualizzazione da parte della giurisprudenza di questa Corte, culminata nel riconoscimento di un criterio di ricostruzione del nesso causale – definito della “preponderanza dell’evidenza” (o anche del “più probabile che non”) – differente da quello, “oltre ogni ragionevole dubbio”, utilizzato nel sistema della responsabilità penale. Tale diversità di criteri si pone, peraltro, come un riflesso – in particolar modo, sul piano probatorio – delle differenze, morfologiche e strutturali, dei due sistemi. Invero, come osservato di recente da questa Corte, nel recepire una nota impostazione dottrinaria, il problema della causalità materiale, in sede civile, consiste nella “dimostrazione probatoria della verità di un enunciato”, ovvero quello che “descrive un nesso di causalità naturale e specifica” tra la condotta del supposto danneggiante e l’evento lesivo lamentato dal preteso danneggiato, sicchè, in ultima analisi, il cuore della questione consiste nell’individuare “i criteri secondo i quali il giudice, in presenza di elementi di prova che riguardano l’enunciato relativo all’esistenza di un nesso causale, stabilisce se tale enunciato ha o non ha ricevuto una adeguata conferma probatoria” (cfr. Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2020, n. 13872, non massimata). Del resto, in senso sostanzialmente analogo, questa Corte ha da tempo osservato che la verifica della sussistenza del nesso causale non è più “soltanto questione di ricostruzione dei fatti nel loro svolgersi fenomenologico, ma sempre ed anche vicenda “giuridica”, cioè questione anche di diritto, e, più precisamente, vero e proprio ragionamento probatorio sui fatti, allegati e non, dimostrati e non” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 21 luglio 2011, n. 15991, Rv. 618882-01; in senso analogo già Cass. Sez. 3, sent. 16 ottobre 2007, n. 21619, Rv. 599816-01).
Orbene, anche nel contesto di un sistema, qual è quello della responsabilità civile, “retto”, quanto all’apprezzamento della sussistenza del nesso causale, dal principio del “più probabile che non” (del quale è stata, di recente, sottolineata la “coerenza” con il principio Eurounitario della effettività della tutela giurisdizionale, come ritenuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 21 giugno 2017 in causa C-621/15; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 27 luglio 2021, n. 21530, Rv. 662197-01), resta inteso, nondimeno, che il giudice di merito, per stabilire se sussista il nesso di causalità materiale, deve applicare il principio della “regolarità causale” (tra le altre, Cass. Sez. 1, sent. 23 dicembre 2010, n. 26402, Rv. 615614-01 Cass..Sez. 3, sent. 30 aprile 2010, n. 10607, Rv. 612765-01) o dello “scopo della norma violata” (da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2021, n. 19033, Rv. 661748-01), sicchè, “quando l’evento dannoso o pericoloso è stato cagionato da una pluralità di azioni o di omissioni, coeve o succedutesi nel tempo, tutte hanno uguale valore causale, senza distinzione tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive, dovendo a ciascuna di esse riconoscersi un’efficienza causale del danno se nella concatenazione degli avvenimenti abbiano determinato una situazione tale che l’evento, sebbene prodotto direttamente dalla causa avvenuta per ultima, non si sarebbe verificato”, fermo restando che, nell’ipotesi, invece, in cui “la causa sopravvenuta sia da sola sufficiente a provocare l’evento perchè autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, le cause preesistenti degradano al rango di mere occasioni perchè quella successiva ha interrotto il legame causale tra esse e l’evento” (Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2003, n. 15789, Rv. 56757801; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, sent. 6 aprile 2006, n. 8096, Rv. 588863-01; si veda pure Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2013, n. 23915, Rv. 629115-01, secondo cui la causa sopravvenuta deve essere in grado di “neutralizzare” quella precedente, ponendosi come “di per sè idonea a determinare l’evento stesso”).
6.1.3. In questa prospettiva, dunque, risulta errato far dipendere – come ha fatto la Corte veneziana – dal mero dato cronologico della “risalenza nel tempo” della condotta di (OMISSIS) e (OMISSIS) il diniego della efficienza causale delle stesse rispetto all’evento dannoso verificatosi, e ciò perchè – come si è detto all’interno di una stessa serie causale non può distinguersi “tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive”, salvo che non si riconosca all’ultima verificatasi ma a condizione che sia “autonoma, eccezionale ed atipica” l’idoneità a produrre, essa sola, l’evento dannoso, per tal ragione degradando la causa remota a semplice “occasio” dell’evento dannoso.
D’altra parte, a seguire sino in fondo l’impostazione della Corte lagunare, il nesso causale finirebbe col dover essere affermato solo in presenza di relazioni di “prossimità cronologica” tra la condotta addebitata all’asserito danneggiante e l’evento dannoso lamentato dal preteso danneggiato. Si finirebbe, in questo modo, con il dare ingresso al principio “post hoc ergo propter hoc”, in contrasto con quanto affermato, ancora di recente, da questa Corte. Essa, infatti, ha sottolineato che l’argomento “secondo cui che ciò che segue temporalmente è anche causato da ciò che precede è, da sempre, considerato un caso di fallacia argomentativa”, non essendovi “traccia nei sistemi di retorica o di logica di un solo argomento a sostengo del criterio post hoc propter hoc”, risultando, anzi, il “sofisma insito nella formula” come “pacificamente errato”, essendo “unanimemente ritenuto che correlazione, in generale, non vuol dire causazione” (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 15 ottobre 2019, n. 25936, non massimata; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 11 giugno 1999, n. 5760, Rv. 527296-01).
Non pertinente è, infine, il rilievo della controricorrente circa il contenuto della sentenza di primo grado, dovendo questa Corte (e prima di essa, l’impugnazione del ricorrente) confrontarsi con il “decisum” recato dalla sentenza impugnata, che – nella specie – è quello sopra illustrato.
6.2. Il primo motivo di ricorso, pertanto, va accolto (con assorbimento dei restanti cinque) e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese, anche del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti, cassando, per l’effetto, la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese, anche del presente giudizio.
Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 13 ottobre 2021.