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Cassazione Civile 3323/2001 – Successione testamentaria – Impugnazione del testamento per incapacità d’intendere e di volere del testatore – Azione di annullamento – Litisconsorzio necessario processuale fra erede e legatario

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Sentenza 3323/2001

Successione testamentaria – Impugnazione del testamento per incapacità d’intendere e di volere del testatore – Azione di annullamento – Litisconsorzio necessario processuale fra erede e legatario

In tema d’impugnazione del testamento per incapacità d’intendere e di volere del testatore, il legatario, che abbia partecipato al giudizio di primo grado, assume nella fase di appello la qualità quantomeno di litisconsorte necessario processuale, non essendo concepibile che, all’esito dello stesso processo, un testamento possa essere ritenuto valido (o invalido) nei confronti dell’erede istituito e invalido (o valido) nei confronti del legatario. Nel caso di legato di usufrutto, che abbia prodotto i suoi effetti, la morte del legatario avvenuta nel corso del giudizio di primo grado, non rende superflua la partecipazione dei suoi eredi al giudizio di appello. L’eventuale annullamento del testamento porrebbe nel nulla, con efficacia retroattiva, gli effetti prodotti dal legato prima della morte del legatario e le conseguenze del godimento di fatto esercitato dall’usufruttuario sarebbero destinate a ripercuotersi sui suoi eredi (è sufficiente fare riferimento all’obbligo di restituzione dei frutti).

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 7-3-2001, n. 3323   (CED Cassazione 2001)

 

 

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 23-24 febbraio 1993 Ma. e Se. Am. convenivano davanti al Tribunale di Napoli Da. Am. e An. Gi., chiedendo che venisse annullato il testamento pubblico in data 18 dicembre 1992 con il quale Vi. Am., di cui erano nipoti ex fratre, aveva nominato Da. Am. erede universale ed An. Gi. usufruttuaria generale.
Da. Am., costituitasi, resisteva alla domanda, che veniva rigettata dal Tribunale di Napoli con sentenza in data 16 marzo 1996. Ma. e Se. Am. proponevano appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza in data 10 marzo 1998. I giudici di secondo grado ritenevano che, non essendo la testatrice affetta da alcuna vera e propria malattia mentale suscettibile di influire permanentemente e abitualmente sulla sua psiche, (privandola di ogni cosciente e razionale determinazione), ma da insufficienza renale cronica, nella quale la incapacità non può essere presunta, incombeva agli attori dimostrare in concreto che nel momento della redazione del testamento fossero sopravvenute complicazioni di ordine psichico di tale intensità da privare Vi. Am. della possibilità di discernere la natura e gli effetti del negozio e da ostacolare la formazione di una valida volontà; tale prova era da ritenersi non raggiunta in base alla documentazione esibita.
Correttamente, poi, i giudici di primo grado non avevano ammesso le prove testimoniali articolate dagli attori, in quanto le stesse avevano ad oggetto circostanze generiche o irrilevanti. Le prove testimoniali formulate dagli appellanti nel corso nel giudizio di secondo grado erano inammissibili, in considerazione della decadenza in cui erano incorsi nel giudizio di primo grado, e comunque avevano ad oggetto non già fatti specifici e obiettivi, ma apprezzamenti e giudizi sullo stato fisico e psichico di Vi. Am. o fatti generici. Ad ogni modo le circostanze oggetto della prova testimoniale in questione erano smentite dalle altre prove acquisite.
Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione Ma. e Se. Am., con tre articolati motivi. Resiste con controricorso Da. Am..
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti invocano, in primo luogo, la giurisprudenza di questa S.C. secondo la quale nel giudizio di impugnazione del testamento sono litiscorsorti necessari tutti i potenziali eredi legittimi e deducono che nella specie non risulta avere partecipato al giudizio Paolo Am., anch’esso nipote di Vi. Am..
La doglianza è infondata.
La qualità di potenziale erede legittimo di Paolo Am. (in caso di annullamento del testamento), infatti, viene affermata dai ricorrenti, ma non risulta dagli atti di causa.
I ricorrenti sostengono, poi, che la qualità di litisconsorte necessario di Paolo Am. risultava comunque dal fatto che in suo favore, nel testamento impugnato, era stato disposto un legato. Anche tale tesi è infondata, in quanto Paolo Am. era semplice beneficiario di un modus (avendo Vi. Am. previsto nel testamento che, alla morte della usufruttuaria, Da. Am. avrebbe dovuto disporre, a suo piacimento, in favore di Paolo Am. di una parte del denaro che concorreva alla formazione dell’asse ereditario).
Sostengono, ancora, i ricorrenti che la sentenza di secondo grado sarebbe comunque nulla, in quanto l’appello non era stato notificato ad An. Gi., deceduta nel corso del giudizio di primo grado.
La doglianza è fondata.
Occorre, in proposito, premettere che, avendo An. Gi. partecipato ai giudizio di primo grado, il collegio non deve occuparsi della questione se il legatario, in relazione alla causa di impugnazione del testamento per incapacità di intendere e di volere, sia litisconsorte necessario, pur non ignorando che questa S.C., con sentenza 26 ottobre 1972 n. 3298, ha affermato che non sussiste, in astratto, nell’ambito di una successione mortis causa, alcuna inscindibilità tra la posizione dell’erede e quella del legatario, per cui non sarebbe dato affermare che ogni qualvolta si controverta in ordine alla posizione di uno di tali soggetti, prescindendosi dalla posizione dell’altro, debba essere necessariamente chiamato in causa anche quest’ultimo.
Secondo tale decisione non potrebbe rilevare al riguardo la circostanza che i motivi della contestazione possono apparire obiettivamente estensibili anche alla posizione del soggetto non chiamato in causa, poiché, in tale ipotesi, potendosi ravvisare solo gli estremi di una eventuale comunanza di causa petendi, non si verserebbe mai in tema di litisconsorzio necessario, in quanto, non importando la decisione richiesta l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di una situazione giuridica inscindibilmente comune a più soggetti, e cioè tale da non poter sussistere se non nei confronti di tutti i soggetti medesimi e da non essere, quindi, obiettivamente suscettibile di modificazione solo nei riguardi di alcuni di essi, la sentenza non sarebbe inutiliter data se non emessa nei confronti di tutti.
Va peraltro rilevato che tale decisione ha invocato come precedente conforme la sentenza di questa S.C. in data 23 ottobre 1956 n. 3853, la quale, a quanto pare, era stata pronunciata con riferimento ad una fattispecie diversa, avendo affermato che il legatari o non è litisconsorte necessario nel giudizio il quale coinvolga soltanto gli eredi e, fermi in ogni caso i diritti, del legatario, per non essere sui medesimi insorta alcuna contestatizone, si agiti soltanto la questione riflettente la validità della istituzione di erede.
Ad ogni modo, con riferimento al caso di specie, va ricordato che An. Gi. aveva partecipato al giudizio di primo grado, per cui aveva assunto la qualità quantomeno di litisconsorte necessario processuale, non essendo concepibile che, all’esito dello stesso processo, un testamento possa essere ritenuto valido (o invalido) nei confronti dell’erede istituito e invalido (o valido) nei confronti del legatario.
Erroneamente Da. Am. deduce che, essendo An. Gi. semplice legataria di usufrutto, una volta estintosi il diritto in relazione al quale aveva acquistato la qualità in questione, non aveva alcuna giustificazione la partecipazione al giudizio dei suoi eredi.
Il legato, infatti, prima della morte di An. Gi. aveva prodotto i suoi effetti, il quali erano destinati a cadere nel nulla con effetto retroattivo, a seguito dell’eventuale annullamento del testamento e il godimento di fatto dell’usufrutto prima di tale annullamento aveva comportato delle conseguenze (è sufficiente fare riferimento all’obbligo di restituzione dei frutti), destinate a ripercuotersi sugli eredi di An. Gi., donde la necessità della loro partecipazione al giudizio di appello.
L’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo del ricorso comporta l’assorbimento del secondo motivo (con il quale i ricorrenti prospettano una nullità del testamento) e del terzo motivo (con il quale ricorrenti si dolgono del mancato accoglimento della domanda di annullamento ex art. 591 cod. civ.). In relazione alla censura accolta la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
la Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso, con assorbimento degli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2000.