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Cassazione Civile 33409/2021 – Matrimonio putativo – Nullità del matrimonio – Buona fede dei coniugi – Trasmissibilità dell’azione agli eredi

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Ordinanza 33409/2021

 

Matrimonio putativo – Buona fede dei coniugi – Trasmissibilità dell’azione agli eredi

In tema di matrimonio putativo, la buona fede dei nubendi al momento della celebrazione del matrimonio si presume, in applicazione dei principi generali sanciti dall’art. 1147 c.c. L’onere della prova grava pertanto su colui che allega la mala fede e ha interesse a dimostrarne l’esistenza, restando comunque ogni valutazione al riguardo – anche in ordine alla ricorrenza di una condizione di ignoranza dipendente da colpa grave – riservata al giudice di merito.

Nullità del matrimonio – Trasmissibilità dell’azione agli eredi

In tema di nullità del matrimonio, il terzo portatore di un interesse legittimo e attuale, avente diritto a proporre l’azione di nullità ex art. 117, comma 1, c.c., che sia anche erede di colui che abbia impugnato il matrimonio e sia deceduto in pendenza di giudizio, può proseguire “iure hereditatis” l’azione esperita dal “de cuius”, in applicazione dell’art. 127 c.c., a prescindere dal fatto che abbia o meno esercitato l’azione diretta a lui spettante.

Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 11-11-2021, n. 33409   (CED Cassazione 2021)

Art. 1147 cc (Possesso di buona fede) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), di cittadinanza italiana e americana, il (OMISSIS) contraeva a (OMISSIS), con (OMISSIS), matrimonio da cui nasceva il figlio (OMISSIS); il 13 gennaio 1983 otteneva dal Tribunale di Mercer County (West Virginia) pronuncia di divorzio (e solo successivamente lo scioglimento del matrimonio con sentenza del Tribunale di Genova del 5 dicembre 1990); in data 21 gennaio 1983 il (OMISSIS) contraeva a New York matrimonio (trascritto in Italia nei registri dello stato civile di Viggiano nel 1998) con (OMISSIS), cittadina colombiana, da cui nasceva il figlio (OMISSIS); a seguito di denuncia presentata dalla (OMISSIS) nel luglio 1986, la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 10 aprile 1990, condannava il (OMISSIS) per il delitto di bigamia (art. 556 c.p.), avendo contratto matrimonio con la (OMISSIS) nel (OMISSIS) quando era ancora unito in matrimonio con la (OMISSIS).

Nel 2014 (OMISSIS) e il figlio (OMISSIS) agivano, separatamente, dinanzi al Tribunale di Milano per fare dichiarare la nullità del matrimonio contratto con la (OMISSIS) nel 1983 per mancanza del requisito della libertà di stato del nubendo al momento del matrimonio.

Il Tribunale, con sentenza del 14 luglio 2016, dichiarava cessata la materia del contendere nel procedimento introdotto da (OMISSIS) (deceduto nel (OMISSIS)) e, pronunciando sulla domanda di (OMISSIS) (legittimato ad agire ex art. 117 c.c.), dichiarava la nullità del matrimonio della (OMISSIS), essendo stato contratto da (OMISSIS) quando era ancora unito alla (OMISSIS) dal persistente matrimonio del (OMISSIS), essendo il divorzio stato pronunciato dal giudice italiano solo nel 1990 e la pronuncia americana di divorzio del 1983 non riconosciuta nè riconoscibile in Italia (essendo stata emessa senza il contraddittorio con la (OMISSIS)).

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 24 aprile 2019, confermava la statuizione di nullità del matrimonio ma, in accoglimento del sesto motivo di appello della (OMISSIS), dichiarava che la relativa pronuncia, stante la sua buona fede al momento del matrimonio nel (OMISSIS), aveva efficacia ex nunc e che a suo favore si producevano gli effetti del matrimonio (putativo) fino alla data della sentenza dichiarativa della nullità, ai sensi dell’art. 128 c.c.. Ad avviso della Corte, gli elementi evidenziati dal primo giudice non integravano indizi gravi, precisi e concordanti, idonei a superare la presunzione di buona fede della (OMISSIS) all’epoca del matrimonio.

Avverso questa sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi e a una memoria, resistito dalla (OMISSIS) che propone ricorso incidentale condizionato. La (OMISSIS) ha depositato una memoria.

Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 128 e 2727 c.c., per avere, in applicazione della disciplina in tema di matrimonio putativo, ritenuto operante, ed erroneamente inteso in senso soggettivo, la clausola generale di buona fede di cui all’art. 128 c.c., comma 3, senza indagare sul grado di diligenza nè dare rilievo all’affidamento incolpevole dell’altro coniuge, onde verificare se la pretesa non conoscenza della causa di invalidità del matrimonio dipendesse o meno da grave negligenza della stessa (OMISSIS); nonchè per avere, invertendo l’onere della prova di cui all’art. 2927 c.c. e art. 1147 c.c., comma 3, impropriamente esonerato il coniuge (putativo) convenuto dall’onere di provare la propria buona fede, addossando al terzo l’onere di provare lo stato di bigamia e anche la conoscenza in concreto di tale impedimento in capo alla controparte processuale, sulla quale invece dovrebbe ricadere l’onere di provare la propria qualità di coniuge putativo.

Il motivo è infondato.

Nella giurisprudenza di legittimità corrisponde a un principio ampiamente recepito l’applicabilità alla materia matrimoniale del criterio generale di cui all’art. 1147 c.c., comma 4, dovendosi agli effetti dell’art. 128 c.c., presumere la buona fede dei nubendi nel momento della celebrazione del matrimonio, con la conseguenza che l’onere di provare l’inefficacia del matrimonio nullo anche sotto il profilo della putatività, e la mala fede del nubendo, incombe a colui che lo allega (cfr. Cass. n. 2077 del 1985, n. 4889 del 1981, n. 1298 del 1971). Se è vero che, come osservato dal ricorrente, la buona fede è incompatibile con lo stato di dubbio del coniuge sulla validità del matrimonio, tuttavia la prova dell’esistenza di un tale stato è a carico di chi ha interesse a dimostrare l’assenza di buona fede. Ed ogni valutazione al riguardo – anche in ordine alla ricorrenza di una situazione di ignoranza dipendente da colpa grave in capo al coniuge cui tale situazione è rimproverata (cfr. Cass. n. 4649 del 1985) – è riservata al giudice di merito (cfr. Cass. n. 2486 del 1969) che, nella specie, l’ha compiuta come emerge dalla motivazione che è argomentata e immune da vizi logici e, quindi, incensurabile in sede di legittimità.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2729 c.c., per avere escluso la prova presuntiva della conoscenza della invalidità del matrimonio da parte della (OMISSIS), in presenza di una pluralità di elementi fattuali che la Corte territoriale avrebbe omesso di sussumere nella fattispecie legale delle presunzioni e di valutare nella loro gravità e concordanza, trascurando la massima di esperienza che consente di ritenere verosimile che i due nubendi abbiano agito in modo complice e condiviso.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere escluso la valenza confessoria della dichiarazione resa dalla (OMISSIS) in un processo straniero in relazione a fatti secondari, a proposito della sua consapevolezza della non riconoscibilità della sentenza di divorzio pronunciata nel West Virginia e della condivisione con (OMISSIS) della scelta di sposarsi all’oscuro di figli e amici.

Detti motivi sono inammissibili.

Si deve premettere che, in tema di prova presuntiva, e incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito in ordine ai requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 1234 del 2019); analogamente, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni sulla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicchè rimane estranea (anche) al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, non essendo consentita la censura della complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, mediante contrapposizione alla stessa di una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 20553 del 2021).

La Corte territoriale ha esaminato e valutato gli elementi fattuali invocati dal ricorrente (ad es.: il luogo e le circostanze in cui fu celebrato il matrimonio, otto giorni dopo la pronuncia americana di divorzio e senza invitare i figli di primo letto del (OMISSIS); il ritardo nella trascrizione del secondo matrimonio in Italia; la notevole differenza di età dei nubendi; le dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) in un processo straniero) sia nella loro intrinseca consistenza, sia unitariamente considerati, in quanto privi di concordanza nell’indicare il fatto ignoto (la malafede) che vorrebbero comprovare.

Come rilevato anche dal Procuratore Generale, la dedotta consapevolezza in capo a (OMISSIS) della inidoneità della pronuncia di divorzio a garantirgli lo stato libero non può essere traslata in capo alla (OMISSIS), dovendosi pur sempre dimostrare (da parte di chi ha interesse a contestare l’applicabilità del regime del matrimonio putativo) che il coniuge bigamo in malafede abbia comunicato la permanenza del proprio status all’altro coniuge prima del compimento dell’atto matrimoniale o che questi ne fosse comunque a conoscenza al momento delle nozze, non rilevando le dichiarazioni rese successivamente dalla (OMISSIS) (mala fides superveniens non nocet) nel procedimento svoltosi in Liechtenstein (sui fatti indicati nel secondo motivo e a proposito della conoscenza acquisita dalla prima moglie del secondo matrimonio del (OMISSIS)).

Entrambi i motivi sono dunque inammissibili, risolvendosi – benchè formulati in termini di violazione di legge (sostanziale e processuale) nella richiesta di rivisitazione di apprezzamenti di fatto, al fine di ottenere un esito decisorio in senso diverso da quello auspicato dal ricorrente.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., motivazione apparente e apodittica e omesso esame di fatti decisivi a fondamento del meccanismo presuntivo: la convivenza della (OMISSIS) con (OMISSIS) in periodo precedente alle nozze (dal (OMISSIS)) a (OMISSIS), ai fini della conoscenza dello stato non libero del coniuge al momento del matrimonio; l’essere la (OMISSIS) persona di cultura proveniente da buona famiglia che renderebbe apodittica l’affermazione della Corte secondo cui era “presumibilmente” ignara della normativa italiana in materia di diritto di famiglia; l’inerzia nella richiesta di trascrizione del matrimonio da parte della (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile.

Il vizio di omesso esame è insussistente, essendo stata esaminata la questione della convivenza con (OMISSIS) in periodo precedente alle nozze nella sentenza impugnata (a pag. 27, righe 12-13), la quale, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha escluso che da ciò potesse desumersi la conoscenza, da parte della (OMISSIS), della persistenza del precedente vincolo matrimoniale.

Tale conoscenza è ricondotta dal ricorrente anche al fatto che la (OMISSIS), essendo persona di buona cultura, avrebbe dovuto essere a conoscenza della legislazione italiana e della necessità della delibazione della sentenza straniera di divorzio per consentire al (OMISSIS) di riacquistare lo stato libero per contrarre le nuove nozze. Si evidenzia in tal modo la reale finalità delle censure proposte: indurre impropriamente questa Corte a compiere un nuovo giudizio di fatto sostitutivo di quello svolto dai giudici di merito. Peraltro, come osservato dal Procuratore Generale, le circostanze di fatto evidenziate nel motivo non sarebbero decisive, rilevando non l’astratta conoscenza della legislazione italiana da parte della (OMISSIS), quanto la sua consapevolezza dei presupposti di fatto che rendevano, al momento delle nozze, il (OMISSIS) ancora vincolato al precedente matrimonio.

Con il quinto motivo (OMISSIS) lamenta il rigetto dell’appello incidentale con il quale egli intendeva agire in prosecuzione della posizione processuale di (OMISSIS) (deceduto nel corso del processo nel (OMISSIS)), avendo la Corte territoriale, confermando la statuizione del Tribunale di cessazione della materia del contendere, dichiarato priva di effetti la sua costituzione in giudizio per difetto di legittimazione attiva jure hereditatis. Il ricorrente contesta l’esclusione della propria legittimazione ad agire quale erede per il solo fatto di avere il diritto di incardinare un autonomo giudizio di impugnazione del matrimonio e richiama l’art. 127 c.c., che prevede la trasmissione all’erede dell’azione impugnatoria di nullità del matrimonio quando il giudizio è già pendente alla morte dell’attore, come avvenuto nella specie in cui l’azione è stata iniziata dal de cuius prima della morte.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse: come rilevato anche dal Procuratore Generale, “l’azione di nullità del matrimonio (è) rimasta in vita, nonchè accolta, stante l’autonoma iniziativa (di (OMISSIS)) ex art. 117 c.c., comma 1, non (…) essendo stato dedotto quale vantaggio pratico trarrebbe il ricorrente dall’accoglimento del motivo di ricorso”.

Tuttavia, la motivazione dev’essere corretta, ex art. 384 c.p.c., comma 4, essendo affetta da un errore in diritto che non inficia il dispositivo.

Ad avviso della Corte territoriale, il terzo avente diritto a proporre direttamente l’azione di nullità del matrimonio (anche per l’assenza della libertà di stato del coniuge, ex art. 86 c.c.), essendo titolare di “un interesse legittimo ed attuale”, ai sensi dell’art. 117 c.c., non potrebbe giovarsi dell’art. 127 c.c., per proseguire il giudizio iniziato dal coniuge per fare dichiarare la nullità del matrimonio “quando il giudizio è già pendente alla morte dell’attore”. In altri termini, “la previsione di cui all’art. 127 c.c., non (sarebbe) applicabile a casi in cui gli eredi siano legittimati in modo diretto all’azione di impugnazione del matrimonio, per essere la legittimazione estesa a chiunque sia portatore di un interesse legittimo ed attuale (artt. 117 e 119 c.c.)” (sentenza pag. 17).

Questa tesi farebbe escludere la legittimazione del terzo, quale erede, a proseguire jure hereditatis l’azione promossa dal de cuius nel caso in cui, pur essendo legittimato ex art. 117 c.c., comma 1, egli non abbia in concreto esercitato l’azione diretta di nullità del matrimonio (diversamente da quanto accaduto nella fattispecie).

Si tratta tuttavia di una interpretazione ingiustificatamente restrittiva dell’art. 127 c.c., che avrebbe l’effetto di ammettere la legittimazione a proseguire il giudizio (iniziato dal coniuge deceduto) in capo all’erede che sia privo della legittimazione diretta all’azione di nullità del matrimonio e, contraddittoriamente, di escluderla quando l’erede sia fornito di tale legittimazione per essere titolare di un interesse proprio a fare accertare l’invalidità del vincolo ex art. 117 c.c..

In altri termini, non è conforme alla ratio dell’art. 127 c.c., limitarne l’ambito applicativo ai soli casi in cui l’erede sia privo di un’autonoma legittimazione a far valere la nullità del matrimonio, escludendo l’azione jure hereditatis del terzo che non abbia in concreto esercitato l’azione diretta di nullità del matrimonio, pur essendo titolare di un interesse legittimo e attuale a farla valere ex art. 117 c.c..

In conclusione, il ricorso principale è rigettato. Il ricorso incidentale condizionato è assorbito. Le spese devono essere compensate, in considerazione della complessità anche fattuale e parziale novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e compensa le spese.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del dPR n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Roma, 13 ottobre 2021