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Cassazione Civile 33575/2021 – Appalto – Opposizione a decreto ingiuntivo – Congruità della somma – Onere della prova

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Ordinanza 33575/2021

Appalto – Opposizione a decreto ingiuntivo – Congruità della somma – Onere della prova

L’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha l’onere di dimostrare la congruità della somma, con riferimento alla natura, all’entità e alla consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dal medesimo appaltatore, poiché si tratta di documenti fiscali provenienti dalla parte stessa.

Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 11-11-2021, n. 33575   (CED Cassazione 2021)

Art. 633 cpc (Condizioni ammissibilità decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 645 cpc (Opposizione a decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 2697 cpc (Onere della prova ) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con sentenza del 29/3/2018, ritenuto provato il pagamento di € 8.000,00, in parziale accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da Co. Ma., ha condannato quest’ultimo al pagamento, in favore della (OMISSIS) s.r.I., della somma di € 28.300,00, quale residuo corrispettivo per i lavori eseguiti dalla società opposta nell’immobile di proprietà dell’ingiunto.

Co. Ma. ha proposto appello.

La (OMISSIS) s.r.l. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello ed ha, per l’effetto, rigettato la domanda proposta dalla (OMISSIS) s.r.l. revocando il decreto ingiuntivo pronunciato in suo favore nel 2012.

La corte, in particolare, dopo aver evidenziato come fosse pacifico che tra le parti non era stato perfezionato un contratto per iscritto e che spettava all’appaltatore opposto l’onere di provare l’esistenza del titolo e l’oggetto dello stesso, gravando sull’opponente l’onere di provare l’adempimento, ha ritenuto che, alla luce delle prove raccolte, “l’unico dato certo è costituito dall’avvenuto conferimento di un incarico per la realizzazione di una tettoria e che invece fu realizzato un locale chiuso”.

Sennonché, ha osservato la corte, “non sono noti i materiali e le lavorazioni esattamente eseguite, per qualità e quantità e, pur ritenendo che i lavori possano essere iniziati nel 2006 e finiti nel 2008, come emergente dalla prova per testi, le lavorazioni non sono identificate in grado tale da consentire di procedere ad una valutazione del corrispettivo da riconoscersi, che, nel contratto di appalto, ex art. 1657 c. c. può essere determinato a posteriori”, risultando a tal fine “ostativo … il riscontro della qualità e quantità dell’opera”: “nulla ha il requisito della certezza; non la quantità e qualità della tinteggiatura, … e neppure l’estensione dei lavori di pavimentazione ad opera del piastrellatore …”. La natura complessiva delle opere non è stata specificata dai testimoni, “non presenti per tutta la durata dei lavori”, e non è certificata dalla documentazione relativa alle maestranze impiegate ed i costi sostenuti.

La documentazione fotografica, ha aggiunto la corte, risulta inidonea alla prova e non v’è agli atti l’elaborato di un tecnico che abbia assistito, verificato e quantificato il realizzato, “così da quantificare il dovuto”. La prova fornita dall’appaltatore, che non ha depositato una disamina analitica che giustificasse la somma richiesta, è, dunque, del tutto carente, non potendosi concedere alcun valore probatorio alla fattura in atti, per cui la sua richiesta di pagamento dev’essere rigettata, non essendovi idoneo riscontro dei fatti costitutivi del diritto azionato all’adempimento da parte dell’opponente.

(OMISSIS) s.r.I., con ricorso notificato il 16/9/2020, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.

Co. Ma. ha resistito con controricorso e depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata, che non risulta notificata, è stata depositata in data 16/12/2019. Il ricorso per cassazione, in quanto notificato il 16/9/2020, risulta, pertanto, proposto nel termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art. 327, comma 1°, c.p.c., nel testo attualmente in vigore, trattandosi di processo introdotto in data successive al 4/7/2009), a fronte tanto della sospensione tra il 9 marzo 2020 e I’11 maggio 2020 (prevista dagli artt. 83, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, conv. con I. n. 27 del 2020, e 36, comma 1, del d.l. n. 23 del 2020, conv. con I. n. 40 del 2020), quanto della sospensione dal 1° agosto 2020 al 31 agosto 2020 (art. 1 della I. n. 742 del 1969, nel testo applicabile ai sensi dell’art. 16, commi 1 e 3, del d.l. n. 132 del 2014, conv. con modif.  dalla I. n. 162 del 2014, trattandosi di sentenza depositata in data successiva al 1° agosto 2015: cfr. Cass. n. 20866 del 2017; Cass. n. 30053 del 2020), ed è, in definitiva, senz’altro tempestivo.

2. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 1460 e 1218 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo accerto l’avvenuta realizzazione di un locale chiuso, ha rigettato la domanda di pagamento del corrispettivo proposta dalla società opposta perché sfornita di prova senza, tuttavia, considera che, in materia contrattuale, il creditore ha soltanto l’onere di allegare (e provare) la sussistenza del credito, spettando al debitore l’allegazione e la prova di fatti estintivi totali o parziali del credito azionato.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 432 c.p.c. e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur in presenza di tutti i presupposti, ha rigettato la domanda proposta dalla società opposta senza provvedere alla determinazione equitativa dell’importo dovuto.

4. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda proposta dalla società opposta per la mancanza di prova del suo ammontare omettendo, tuttavia, di considerare che, a fronte della provata realizzazione di una tettoia, il Ma. avrebbe dovuto essere condannato quanto meno al pagamento del valore, da determinare a mezzo di una consulenza tecnica d’ufficio, delle lavorazioni accertate.

5.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei limiti che seguono.

5.2. L’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha, in effetti, l’onere di fornire la prova della congruità di tale somma, alla stregua della natura, dell’entità e della consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dall’appaltatore, trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dalla stessa parte (Cass. n. 10860 del 2007).

5.3. Il potere, conferito al giudice dall’art. 1657 c.c., di determinare il prezzo dell’appalto se le parti non ne abbiano pattuito la misura, né stabilito il modo per calcolarlo, sempre che non possa farsi riferimento, per tale calcolo, alle tariffe esistenti e agli usi, è, pertanto, esercitabile solo ove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore: allorquando, invece, il contrasto riguardi anche tale aspetto del rapporto, incombe sull’attore l’onere di fornire la prova dell’entità e della consistenza di dette opere, non potendo il giudice stabilire il prezzo di cose indeterminate, né, d’altra parte, offrire all’attore l’occasione di sottrarsi al preciso onere probatorio che lo riguarda (Cass. n. 17959 del 2016).

5.4. Tuttavia, una volta che, come ha ritenuto dalla corte d’appello, le opere eseguite dall’appaltatore siano state, sia pur in parte, dimostrate in giudizio, il giudice di merito, una volta accertato che le parti non avevano determinato la misura del corrispettivo dovuto all’appaltatore né il modo di determinarlo, non può, evidentemente, sottrarsi al proprio dovere di determinare il corrispettivo della misura conseguentemente dovuta, avendo riguardo, a norma dell’art.1657 c.c., alle tariffe esistenti o agli usi, ovvero, in mancanza, procedendo direttamente alla relativa determinazione.

6. La sentenza impugnata dev’essere, pertanto, cassata con rinvio per un nuovo esame alla corte d’appello di Napoli che, in differente composizione, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione; cassa la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla corte d’appello di Napoli che, in differente composizione, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.

Così deciso a Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 24 giugno 2021.