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Cassazione Civile 35068/2022 – Dazione differita della caparra confirmatoria – Caparra confirmatoria e clausola penale – Funzioni dei due istituti e differenze

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Ordinanza 35068/2022

Dazione differita della caparra confirmatoria

In tema di contratto preliminare, la funzione di anticipazione della prestazione dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio propria della caparra confirmatoria – che si perfeziona con la consegna che una parte fa all’altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale) – ben può essere assolta anche da una dazione differita, così posticipandosi la consegna ad un momento successivo alla conclusione del contratto principale, ma a condizione che il momento di tale consegna sia anteriore al termine di scadenza delle obbligazioni pattuite con il preliminare e con la conseguenza che, nelle more della consegna, non si producono gli effetti che l’art. 1385, comma 2 c. c ., ricollega alla consegna in conformità della natura reale del patto rafforzativo del vincolo.

Caparra confirmatoria e clausola penale – Funzioni dei due istituti e differenze

In tema di contratto preliminare, la caparra confirmatoria, al pari della clausola penale stipulata per il caso di inadempimento, rivelano il comune intento di indurre l’obbligato all’adempimento e, pertanto, ambedue possono coesistere nell’ambito dello stesso contratto. I due istituti, tuttavia, differiscono quanto ad ambito di applicazione, giacché la caparra confirmatoria trova applicazione quando, per effetto del recesso, il contratto non possa essere più adempiuto, mentre la clausola penale è applicabile laddove colui che non è inadempiente preferisca domandare l’esecuzione del contratto o la risoluzione.

Diritto di credito azionato in via monitoria sul presupposto della risoluzione del contratto preliminare

Quando si chieda in via monitoria il pagamento di una somma a titolo di caparra confirmatoria, conseguente ad un’implicita pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto preliminare, il diritto non può considerarsi né liquido né esigibile in quanto il suo riconoscimento dipende dalla modificazione del diritto sostanziale operata dal giudice con la sentenza costitutiva. Ne consegue che se, da un lato, il decreto ingiuntivo non può essere emesso, d’altro canto, una volta emesso, il giudice dell’opposizione non può limitarsi a dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo, ma deve pronunciarsi sull’intero rapporto dedotto in giudizio e conoscere anche la domanda di risoluzione del contratto sottesa alla richiesta di decreto ingiuntivo.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 29-11-2022, n. 35068   (CED Cassazione 2022)

Art. 1453 cc (Risoluzione del contratto per inadempimento) – Giurisprudenza 

Art. 1385 cc (Caparra confirmatoria) – Giurisprudenza

Art. 1382 cc (Effetti della clausola penale) – Giurisprudenza

Art. 645 cpc (Opposizione a decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1.- Con ricorso per decreto ingiuntivo depositato l’8 maggio 2011, (OMISSIS), premesso: che aveva sottoscritto, in data 12 febbraio 2011, in qualità di promittente alienante, un preliminare di vendita di un terreno sito in agro di (OMISSIS) con (OMISSIS), in qualità di promissario acquirente; che tale contratto prevedeva il versamento, alla data del 15 aprile 2011, di Euro 240.000,00, “da valere quale caparra nella misura stabilita dalla legge e acconto prezzo”, mediante due assegni circolari rispettivamente di Euro 220.000,00 e di Euro 20.000,00; che il residuo di Euro 160.000,00 avrebbe dovuto essere versato dal promissario acquirente entro il 30 settembre 2011, data fissata per la stipula del rogito notarile definitivo; che la somma dovuta, con scadenza al 15 aprile 2011, non era stata mai versata; tanto premesso, chiedeva al Tribunale di Lecce che fosse ingiunto, nei confronti di (OMISSIS), per la causale indicata, il pagamento dell’importo di Euro 240.000,00.

Con provvedimento monitorio n. 431/2011, depositato il 10 maggio 2011 e munito della clausola di provvisoria esecuzione ex art. 642 c.p.c., il Tribunale di Lecce ingiungeva la somma richiesta nei confronti di (OMISSIS).

Quindi, avverso l’emesso provvedimento monitorio proponeva opposizione (OMISSIS), sostenendo: a) che il suo inadempimento nel versamento della caparra aveva determinato la risoluzione del preliminare, in forza della previsione di cui alla clausola n. 7 del contratto, secondo cui il mancato pagamento, anche di uno solo dei versamenti previsti, avrebbe comportato la decadenza della scrittura per inadempienza del promissario acquirente; b) che ciò era confermato dalla clausola sub 14, la quale prevedeva una penale di Euro 20.000,00 a carico della parte che fosse stata inadempiente a qualsivoglia pattuizione del preliminare; c) che, comunque, il credito non poteva ritenersi certo, liquido ed esigibile, in ragione della contestazione rivolta alla promittente alienante circa l’individuazione e l’appartenenza del cespite promesso in vendita, tanto da indurre il promissario acquirente a richiedere la rinegoziazione del preliminare, quantomeno sotto il profilo della revisione del prezzo di vendita. Concludeva, pertanto, chiedendo l’accoglimento dell’opposizione, con la revoca del decreto ingiuntivo opposto, previa sospensione della sua provvisoria esecuzione.

Si costituiva in giudizio (OMISSIS), la quale resisteva all’opposizione, chiedendone il rigetto, con la condanna dell’opponente al pagamento di una somma equitativamente determinata per l’instaurazione di una lite temeraria.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 1522/2014, depositata il 15 aprile 2014, rigettava l’opposizione e condannava l’opponente alla refusione, in favore dell’opposta, delle spese di lite, oltre ad Euro 5.000,00, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., ritenendo che la promittente alienante – ingiungente avesse esercitato la pretesa in giudizio ai fini di ottenere l’esecuzione del preliminare.

2.- Con citazione notificata il 28 maggio 2014, proponeva appello (OMISSIS), il quale lamentava: a) il presunto errore in cui sarebbe incorso il Giudice di prime cure nella qualificazione giuridica della domanda, da cui sarebbe derivata la violazione dell’art. 1385 c.c.; b) l’omessa pronuncia in ordine alla paventata erronea interpretazione delle previsioni contrattuali; c) la violazione dell’art. 96 c.p.c. per difetto dei presupposti della condanna per responsabilità processuale aggravata.

Decidendo sul gravame interposto, cui resisteva (OMISSIS), la Corte d’appello di Lecce, con la sentenza di cui in epigrafe, in totale riforma della pronuncia impugnata, accoglieva l’appello e, per l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo n. 431/2011, revocava la condanna per responsabilità processuale aggravata e compensava interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

A sostegno della pronuncia il Giudice del gravame rilevava, per quanto interessa in questa sede: a) che, in tema di caparra confirmatoria, le parti, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, potevano differirne la dazione, in tutto o in parte, ad un momento successivo alla conclusione del contratto principale; b) che, in tal caso, la dazione doveva comunque essere anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite nel contratto principale, essendo escluso che l’autonomia negoziale potesse spingersi fino al punto di negare la natura reale del patto; c) che la promittente venditrice aveva inteso agire in sede monitoria, per il pagamento della somma di Euro 240.000,00, prevista nel preliminare a titolo di “caparra e acconto sul prezzo”, ai fini di recedere dal contratto, ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c.; d) che, infatti, nella comparsa di risposta e nella comparsa conclusionale, l’opposta aveva richiamato la natura perentoria dei termini previsti in suo favore nel preliminare nonchè la previsione della decadenza per inadempienza del promissario acquirente; e) che, in mancanza della traditio della somma convenuta a titolo di caparra, doveva ritenersi preclusa all’accipiens la possibilità di far valere alcuna delle funzioni di tale istituto e, segnatamente, di esperire il rimedio del recesso; t”) che, ancora, qualora la domanda di ingiunzione avesse avuto ad oggetto una prestazione conseguente ad una pronuncia di natura costitutiva, sarebbero venuti meno i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito.

3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, (OMISSIS). Ha resistito con controricorso l’intimato (OMISSIS).

4.- La ricorrente ha presentato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 112 e 161 c.p.c., anche in relazione alle norme che regolano l’interpretazione dei contratti, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 1385 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la ricorrente per decreto ingiuntivo, rivendicando il pagamento della somma prevista a titolo di caparra confirmatoria e di acconto, avesse manifestato la volontà di esercitare il recesso, anzichè esigere l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal concluso contratto preliminare.

Obietta l’istante che il comportamento sostanziale e processuale assunto dalla parte sarebbe stato inequivocabilmente rivolto all’esecuzione del contratto.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione degli artt. 125 c.p.c., 1385 e 1362 c.c. nonchè degli artt. 345 e 101, comma 2, c.p.c., per avere la Corte d’appello, erroneamente e senza sufficienti argomentazioni, interpretato la domanda proposta dalla promittente alienante, in relazione alle norme che disciplinano l’istituto della caparra confirmatoria, violando il divieto di introduzione di fatti nuovi in appello e rilevando d’ufficio una questione non sottoposta al contraddittorio delle parti.

All’uopo, la ricorrente ribadisce che aveva in realtà agito, non già per far valere il recesso, bensì affinchè fosse costituita la caparra confirmatoria, realizzando un credito certo, liquido ed esigibile, rappresentativo altresì di una parte del prezzo pattuito.

Aggiunge che le parti avevano accettato la dilazione del versamento della somma stabilita a titolo di caparra confirmatoria, di cui era stato chiesto il pagamento in base agli impegni assunti, senza alcuna pronuncia nè dichiarativa del recesso, nè costitutiva del diritto alla ritenzione della caparra.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 345 e

101, comma 2, c.p.c., per avere il Giudice del gravame interpretato la volontà dell’esponente nel senso che essa avesse richiesto una pronuncia costitutiva del diritto, mai prospettata dalle parti, e senza che sul punto la Corte avesse previamente sollecitato il contraddittorio.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione degli artt. 1362 e ss., 1372 e ss. c.c., per avere la Corte distrettuale applicato erroneamente le regole sull’interpretazione del contratto, seppure al cospetto di una pattuizione lineare, chiara e realizzata in conformità ad una pratica generalizzata, attribuendo all’iter e al contenuto di quella contrattazione un significato del tutto contrario alla comune intenzione delle parti.

5.- Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 125 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e degli artt. 1385, 1382, 1383 e 1362 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’incongruità e illogicità della motivazione, fino alla sua omissione, in relazione all’art. 111 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente valutato le risultanze processuali, dalle quali sarebbe emersa la proposizione, a cura dell’ingiungente, esclusivamente di una domanda di adempimento dell’obbligo assunto dal promissario acquirente di versare una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria e acconto sul prezzo.

Rileva, peraltro, l’istante che la possibilità di avvalersi dell’impegno assunto dal promissario acquirente non fosse pregiudicata dalla congiunta previsione di una clausola penale, in ragione della possibile coesistenza nello stesso contratto di caparra confirmatoria e clausola penale, nel rispetto della diversità della funzione di ciascuna.

6.- Con il sesto motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 633 c.p.c. e 1362 e ss. c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione agli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 111 Cost., per avere il Giudice d’appello scorporato la duplice funzione indicata nel preliminare di caparra e anticipo sul prezzo della somma dovuta di Euro 240.000,00.

Sostiene, ancora, l’istante che la sentenza impugnata avrebbe incongruamente escluso che la natura di contratto reale della caparra confirmatoria ammettesse una consegna differita rispetto al momento di conclusione del contratto, così da impedire secondo la tesi del Giudice dell’impugnazione – la previsione di un’obbligazione di prestare la somma ivi pattuita in un momento successivo, passibile – in caso di inadempimento – di essere fatta valere attraverso una domanda monitoria.

7.- Il settimo motivo investe, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. da 62 a 72 del Decreto Legge n. 69/2013, in relazione all’art. 158 c.p.c. e in riferimento agli artt. 106, 111 Cost. e 6 CEDU, per essere stata la sentenza della Corte d’appello emessa da un collegio giudicante costituito da un giudice ausiliario, cui era stata anche affidata la funzione di estensore ed implicitamente di relatore.

Secondo la ricorrente, la normativa di riferimento non avrebbe consentito l’assegnazione all’ausiliario anche del compito di riferire e proporre l’esito decisorio nonchè di redigere la motivazione, senza, peraltro, che fossero prestabiliti i termini di inserimento dell’ausiliario nel collegio.

Perciò, si sarebbero determinati dei vizi relativi alla costituzione del collegio decidente, tali da inficiare la validità della sentenza impugnata.

8.- è pregiudiziale lo scrutinio del settimo motivo, con cui si lamenta in radice la nullità della sentenza della Corte di merito per vizio relativo alla costituzione del collegio giudicante.

8.1.- La doglianza è infondata.

8.2.- Deve essere anzitutto confutato l’assunto della ricorrente, secondo cui la normativa di settore, dedicata all’integrazione dei collegi giudicanti delle corti d’appello attraverso giudici ausiliari, inibirebbe comunque l’assegnazione a tali giudici onorari di partecipare al collegio in qualità di relatori ed estensori delle cause.

Per converso, l’art. 68 del Decreto Legge n. 69/2013, convertito, con modificazioni in L. n. 98/2013, rubricato significativamente “Collegi e provvedimenti. Monitoraggio”, prevede espressamente che del collegio giudicante non possa far parte più di un giudice ausiliario, il quale deve definire, nel collegio in cui è relatore e a norma del successivo art. 72, comma 2, almeno novanta procedimenti per anno. Stabilisce ancora la norma che, con cadenza semestrale, il Ministero della Giustizia provvede al monitoraggio dell’attività svolta dai giudici ausiliari al fine di rilevare il rispetto dei parametri di operosità ed il conseguimento degli obiettivi fissati.

è evidente, allora, che il compito attribuito agli ausiliari che integrano i collegi d’appello di “definire” un certo numero di procedimenti si manifesti nel loro potere-dovere di redigere anche i relativi provvedimenti decisori.

8.3.- Quanto alla compatibilità delle norme sull’integrazione dei collegi giudicanti d’appello con i principi costituzionali indicati dalla ricorrente, recentemente la Corte Cost. (Sentenza n. 41 del 17/03/2021) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale differita a decorrere dal 31 ottobre 2025 di tale normativa, con la conseguenza – rispetto al caso di specie – che la costituzione del collegio giudicante, cui ha partecipato, in qualità di relatore ed estensore, un giudice ausiliario, non è inficiata da alcun vizio, tale da compromettere la validità della sentenza.

Segnatamente, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 106, primo e comma 2, Cost., gli del Decreto Legge n. 69 del 2013 artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72, conv., con modif., in L. n. 98 del 2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del Decreto Legislativo n. 116 del 2017.

Al riguardo, il Giudice delle leggi ha rilevato che le disposizioni censurate dalla Corte di cassazione istituiscono e disciplinano, nell’ambito della magistratura onoraria, la nuova figura dei giudici ausiliari d’appello, conferendogli lo status di componenti dei collegi. Senonchè esse – nella parte in cui rispettivamente prevedono la nomina di un numero complessivo massimo in origine determinato in 400 giudici ausiliari (art. 63), entro il limite di 40 per ufficio (art. 65), per cinque anni prorogabili una sola volta per il medesimo periodo, seguendo il procedimento contemplato per la nomina (art. 67), e salva la conferma annuale (art. 71) e la limitazione di cui all’art. 62, fermo restando che i giudici togati costituiscono la maggioranza del collegio, del quale può fare parte un solo giudice ausiliario (art. 68), prevedendo garanzie della loro autonomia e imparzialità (artt. 69 e 70), cosicchè essi acquisiscono lo stato giuridico di magistrati onorari (art. 72) – violano il parametro evocato, il quale delinea un sistema generale di reclutamento mediante pubblico concorso, come strumentale all’indipendenza della magistratura, non diversamente dalla garanzia dell’inamovibilità (art. 107, comma 1, Cost.), evitando ogni discriminazione, anche di genere, e assicurando la qualificazione tecnico-professionale.

Nondimeno, la Consulta, una volta accertata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, ha valorizzato l’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo della decisione sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello, visto l’apporto dei giudici ausiliari allo smaltimento o al contenimento dell’arretrato del contenzioso civile. Sicchè la declaratoria di illegittimità è stata resa compatibile con l’obiettivo di lasciare al legislatore un sufficiente lasso di tempo volto ad assicurare la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale. A tal fine la reductio ad legitimitatem è stata effettuata con la sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire, prescrizione limitativa possibile nell’attuale contesto normativo, che vede una riforma in progress della magistratura onoraria (Decreto Legislativo n. 116/2017), la cui completa entrata in vigore è già stata differita per vari aspetti al 31 ottobre 2025 (art. 32 di tale decreto legislativo) e che è stata oggetto di iniziative di ulteriore riforma all’esame del Parlamento, così riconoscendo alla disciplina censurata – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale.

Per l’effetto, secondo la Corte Cost. (Sentenza n. 41 del 17/03/2021), l’esercizio – da parte di un magistrato onorario, seppur in via eccezionale e transitoria – di attività giurisdizionale collegiale è compatibile con la prescrizione dell’art. 106, comma 2, Cost., nei limiti in cui lo svolgimento delle funzioni collegiali avvenga in via eccezionale e temporanea, dovendosi trattare pur sempre di un’assegnazione precaria e occasionale, riferita a singole udienze o singoli processi, al fine di scongiurare il rischio dell’emergere di una nuova categoria di magistrati.

Ha proseguito il Giudice delle leggi, osservando che, a fronte della violazione dei parametri evocati nel sindacato di legittimità costituzionale, è possibile che sussistano altri valori costituzionali di pari – e finanche superiore – livello, i quali risulterebbero in sofferenza ove gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale risalissero (retroattivamente, come di regola) fin dalla data di efficacia della norma oggetto della pronuncia.

8.4.- Alla luce del richiamato quadro normativo – seppure come rivisitato dall’intervento del Giudice delle leggi -, deve ritenersi, come è consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che la partecipazione del giudice ausiliario al collegio presso la Corte d’appello e alla decisione – con la correlata nomina quale relatore e la conseguente stesura della pronuncia – non ha inciso sulla regolare costituzione dell’organo giudicante, ex art. 158 c.p.c., nè ha determinato la nullità dell’attività giurisdizionale espletata, in quanto essi incontestabilmente appartengono all’ufficio giudiziario presso cui prestano la loro opera (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 22415 del 05/08/2021).

Occorre, all’uopo, tenere conto che il vizio di costituzione del giudice è ravvisabile solo quando gli atti giudiziari siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, non investita della funzione esercitata, il che non è nel caso di specie, per quanto anzidetto.

Pertanto, i giudici onorari possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati.

Neppure è richiesto, ai sensi dell’art. 43-bis del Regio Decreto n. 12/1941, che sia documentata la situazione legittimante l’assegnazione al giudice onorario del lavoro giudiziario, atteso che il presupposto dell'”impedimento o mancanza dei giudici ordinari”, previsto dalla norma, risulta integrato anche dalla mera insufficienza degli organici, essendo attribuita alla magistratura onoraria una funzione suppletiva ed il suo impiego costituendo

una misura apprezzabile nell’ottica di un’efficiente

amministrazione della giustizia (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2047 del 24/01/2019; Sez. 1, Sentenza n. 22845 del 09/11/2016).

9.- A questo punto, deve essere esaminato il primo motivo.

Con esso si contesta l’interpretazione della domanda, cui ha aderito il Giudice del gravame, interpretazione che ha costituito il fondamento dell’accoglimento dell’appello e del conseguente accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, con la revoca del provvedimento monitorio opposto.

Precisamente, la sentenza d’appello – riformando la sentenza di prime cure – ha ritenuto che, proponendo la domanda giudiziale, la promittente alienante avesse inteso esercitare il recesso dal preliminare in forza di una caparra confirmatoria ancora non versata, sebbene fosse scaduto il termine per il suo pagamento. Con l’effetto che – attesa la natura reale del patto costitutivo della caparra confirmatoria -, in difetto della concreta disponibilità della somma oggetto della caparra, il diritto potestativo regolato dall’art. 1385, comma 2, c.p.c. non avrebbe potuto essere riconosciuto, nè – attraverso un provvedimento monitorio – si sarebbe potuto pronunciare, con efficacia costitutiva, l’effetto conseguente all’esercizio del diritto di sciogliersi dal preliminare, seppure a fronte di una caparra non versata (ossia la risoluzione del contratto preliminare).

La ricorrente, nei motivi articolati, obietta che, mediante il ricorso per decreto ingiuntivo, non ha affatto inteso avvalersi della facoltà di recesso riconosciuta dall’art. 1385, comma 2, c.c., ma ha esclusivamente inteso dare esecuzione al preliminare, invocando il pagamento della somma di Euro 240.000,00, “a titolo di caparra e acconto sul prezzo”, in ragione della scadenza (il 15 aprile 2011), senza esito, del termine di pagamento pattuito nel preliminare del 12 febbraio 2011 (e ciò a fronte della previsione della stipula del definitivo e del pagamento del prezzo residuo di Euro 160.000,00 alla data del 30 settembre 2011).

9.1.- La censura è fondata.

In proposito, sono necessari i seguenti passaggi propedeutici all’enucleazione dell’errore giuridico contestato, ripercorrendo gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di questa Corte.

9.2.- In primis, la funzione di anticipazione della prestazione dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio propria della caparra confirmatoria – che si perfeziona con la consegna che una parte fa all’altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale) – ben può essere assolta anche dalla dazione differita (ossia, nel caso di specie, in epoca successiva alla stipulazione del contratto preliminare), così posticipandosi la consegna ad un momento successivo alla conclusione del contratto principale, ma a condizione che il momento di tale consegna (nella fattispecie, il termine fissato per la dazione) sia anteriore a quello di scadenza delle obbligazioni pattuite con il preliminare – ossia, nella fattispecie, alla scadenza del termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo – (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24563 del 31/10/2013; Sez. 2, Sentenza n. 5424 del 15/04/2002).

Ed invero, in tema di caparra confirmatoria, le parti, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, possono differirne la dazione, in tutto od in parte, ad un momento successivo alla conclusione del contratto principale, purchè anteriore alla scadenza delle obbligazioni che ne sono derivate. Prima di tale momento non si producono gli effetti che l’art. 1385, comma 2, c.c. ricollega alla consegna, in conformità alla natura reale del patto rafforzativo del vincolo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10366 del 31/03/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 21506 del 27/07/2021; Sez. 2, Sentenza n. 4661 del 28/02/2018; Sez. 2, Sentenza n. 10056 del 24/04/2013; Sez. 2, Sentenza n. 17127 del 09/08/2011; Sez. 2, Sentenza n. 5644 del 23/05/1995; Sez. 2, Sentenza n. 3704 del 31/05/1988). Pertanto, se è vero che l’ipotesi prevista come ordinaria dalla norma è quella della dazione della caparra a mani del destinatario al momento della conclusione del contratto, ciò non esclude la possibilità di effettuarne la traditio secondo modalità e tempi diversi, purchè compatibili con il conseguimento degli scopi previsti dall’art. 1385 c.c., onde consentire il particolare e migliore regolamento degli interessi voluto delle parti stesse: sicchè la traditio può essere concretamente effettuata anche con dazioni ripartite o differite oppure con dazione a mani d’un terzo, mandatario di entrambe le parti, con incarico di procedere alla traditio previo accertamento del verificarsi di determinate condizioni. E ciò senza che tali modalità pattizie dell’acquisizione della somma al patrimonio del destinatario minimamente influiscano, una volta effettuato il versamento da parte del soggetto ad esso tenuto ed uscita quindi la somma dal patrimonio dello stesso, sulla natura giuridica e, quindi, sull’efficacia di essa.

E tanto perchè le funzioni di anticipazione della prestazione dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio, pur accomunate nel medesimo istituto, sono distinte, onde la seconda – che si realizza, in caso d’inadempimento, secondo la previsione dell’art. 1385, comma 2, c.c. – non viene meno, una volta che la somma dovuta sia stata concretamente messa a disposizione del destinatario da parte del soggetto tenuto alla prestazione, uscendo dal patrimonio di quest’ultimo, per il sol fatto che la prima non si realizzi contestualmente, ove, come nella specie, la materiale immissione nella disponibilità della somma stessa da parte del destinatario sia pattiziamente e legittimamente, per quanto sopra evidenziato – regolata con tempi e/o modalità diverse rispetto alla conclusione del contratto cui la pattuizione accede.

9.3.- Il secondo passaggio da affrontare concerne la possibilità, di cui discorre la sentenza impugnata, che la pretesa al pagamento della somma dovuta a titolo di caparra confirmatoria e acconto sul prezzo potesse essere azionata in via monitoria, a corredo di una implicita pronuncia costitutiva della risoluzione del contratto preliminare, sottesa alla circostanza che lo scioglimento ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c. non potesse essere esercitato per difetto della disponibilità della somma prevista a titolo di caparra.

Ebbene, qualora la domanda di ingiunzione abbia ad oggetto una prestazione che sia conseguente ad una pronuncia di natura costitutiva (ex art. 2908 c.c.), come è quella di risoluzione del contratto, il diritto azionato non è certo, liquido ed esigibile, in quanto il suo riconoscimento dipende dalla modificazione del rapporto di diritto sostanziale operata dal giudice con la sentenza costitutiva (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23336 del 09/09/2008; contra Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3247 del 04/10/1976). Questo significa che non può essere emesso un decreto ingiuntivo qualora la condanna dal debitore dipenda da una pronuncia di risoluzione del contratto. In tal caso, infatti, il diritto di credito sorge soltanto con la sentenza di risoluzione, che non può essere emessa in sede di ingiunzione, ma presuppone l’instaurazione di una causa ordinaria. La pronuncia avente natura costitutiva e non di mera condanna non può, dunque, trovare ingresso in sede monitoria.

Tuttavia, ove il decreto ingiuntivo sia ugualmente accordato, benchè ricorresse la condizione inibitoria rappresentata dalla sottesa pronuncia costitutiva, il giudizio di opposizione dovrà pronunciarsi anche su tale sottesa domanda.

Infatti, una volta proposta opposizione a decreto ingiuntivo ed instauratosi il contraddittorio, oggetto del giudizio non sono solo l’ammissibilità e la validità del procedimento monitorio, ma anche la fondatezza della domanda di merito introdotta a seguito della rituale costituzione delle parti; conseguentemente il giudice, anche quando dichiari la nullità del ricorso e del decreto ingiuntivo, deve pronunciarsi sulla domanda così introdotta. Nella specie, ove il ricorso per decreto ingiuntivo contenga un’implicita domanda di risoluzione del contratto ed il giudice di merito (recte dell’opposizione) dichiari la nullità del decreto, dovrà all’esito pronunciarsi sia sull’implicita domanda di risoluzione sia sulla conseguente domanda di condanna (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3671 del 14/04/1999).

9.4.- Ulteriore aspetto cui accenna la sentenza impugnata concerne la possibilità di prevedere congiuntamente nel contratto una caparra confirmatoria e una clausola penale.

Ove ciò sia, i due istituti mantengono comunque funzioni diverse.

La caparra confirmatoria, oltre a dimostrare esteriormente la conclusione del contratto e ad integrare una anticipata parziale esecuzione della prestazione convenuta, ha la funzione di rappresentare un anticipato risarcimento del danno in caso di mancato adempimento. Sotto tale aspetto essa si accosta alla clausola penale, stipulata per il caso d’inadempimento, per il fine che essa rivela di indurre l’obbligato ad eseguire la prestazione. Peraltro, l’accostamento tra caparra confirmatoria e clausola penale, stipulata per il caso d’inadempimento, non può andare oltre il rilievo del comune intento che esse rivelano di indurre l’obbligato all’adempimento, in quanto esse hanno un diverso ambito di applicazione. Mentre la prima è applicabile al caso che il contratto non debba essere più adempiuto per l’avvenuto esercizio del diritto di recesso, la seconda è, invece, applicabile al caso che il diritto di recesso non sia stato esercitato.

Pertanto, in uno stesso contratto ben può essere stipulata una clausola penale, in aggiunta alla caparra confirmatoria.

In tale ipotesi, la clausola penale ha la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anzichè recedere dal contratto, domandarne l’esecuzione o la risoluzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10953 del 28/06/2012; Sez. 1, Sentenza n. 925 del 09/05/1962; Sez. 2, Sentenza n. 4274 del 20/11/1954).

Siffatta discriminazione resta ferma anche nell’ipotesi di specie, in cui – con riferimento alla caparra confirmatoria – è stato previsto il pagamento prima della scadenza delle obbligazioni contemplate nel contratto (ossia prima della stipula del contratto definitivo).

9.5.- In ultimo, l’altro passaggio a cui è funzionale lo scrutinio del motivo in esame riguarda la possibilità di esigere l’adempimento, a fronte della stipulazione di un contratto preliminare con effetti parzialmente anticipati – e, segnatamente,

a fronte della previsione dell’obbligo di corrispondere una parte del prezzo, da valere anche come caparra confirmatoria, ad una certa data, dopo la stipula del preliminare e prima della data concordata per la stipula del definitivo.

In proposito si rileva che, qualora sia stabilito che il pagamento del prezzo debba eseguirsi entro un termine determinato, anche se alla sua scadenza non si possa concludere il contratto definitivo (e, quindi, detta scadenza sia antecedente alla data fissata per la stipulazione del definitivo), la parte è obbligata al versamento tempestivo di esso nel domicilio del creditore (artt. 1183, 1498 c.c.) e, ove non vi provveda, colui che è tenuto al pagamento (nella fattispecie, il promissario acquirente) è da considerarsi inadempiente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27342 del 29/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 26226 del 13/12/2007; Sez. 2, Sentenza n. 8196 del 19/08/1998).

Pertanto, può configurarsi inadempimento coercibile del preliminare, non solo rispetto all’obbligazione finale di conclusione del definitivo, ma anche rispetto alle eventuali obbligazioni interlocutorie che trovano la propria fonte immediatamente nel preliminare e che sono dirette, in tutto o in parte, ad anticipare gli effetti del definitivo.

Ne discende che, una volta cristallizzatosi tale inadempimento, non è precluso al promittente venditore di agire per l’adempimento di detto obbligo.

9.6.- Tanto esposto, alla luce delle coordinate innanzi acquisite, deve essere indagata la ricorrenza del vizio di interpretazione della domanda addotto dal mezzo di critica.

E ciò tenuto conto che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico-decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 31039 del 20/10/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 15368 del 13/05/2022; Sez. L, Sentenza n. 5832 del 03/03/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 30607 del 27/11/2018; Sez. 6-1, Ordinanza n. 8645 del 09/04/2018).

9.7.- Senonchè, nella fattispecie, come emerge dal confronto dinamico tra i passi salienti del ricorso per decreto ingiuntivo riportati nel ricorso per cassazione (contenuto ripreso anche nel testo del controricorso) e le argomentazioni della sentenza d’appello, a fronte della causa petendi dedotta nell’atto introduttivo del procedimento monitorio, volto ad ottenere l’adempimento dell’obbligo di pagamento della somma prevista, entro il termine pattuito, a titolo di caparra confirmatoria e acconto sul prezzo finale, prima della data fissata per la stipulazione del definitivo, la Corte territoriale ha interpretato la domanda nel senso che essa manifestasse la facoltà di esercitare il recesso in forza di una caparra confirmatoria ancora non versata e, pertanto, ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo per i motivi esposti.

Per l’effetto, l’errore di interpretazione ha avuto concrete ripercussioni sull’esito decisorio, che sarebbe stato diverso ove la pronuncia avesse acceduto ad una lettura in termini “meramente esecutivi” degli obblighi negoziali, come prospettato dallo stesso Giudicante per giustificare il diverso esito della decisione rispetto a quella di primo grado.

Ed invero, nel corpo di tale ricorso per decreto ingiuntivo non si fa affatto cenno alla manifestazione della volontà di sciogliersi dal contratto preliminare, ma si allude, in modo stringato, al fatto che, in data 12 febbraio 2011, era stato sottoscritto il preliminare, il quale prevedeva il versamento di Euro 240.000,00, “da valere quale caparra nella misura stabilita dalla legge e acconto prezzo”, e che tale somma non era stata mai versata; per l’effetto, era richiesto il decreto ingiuntivo per la somma emarginata (si veda anche il paragrafo dedicato allo “Svolgimento del processo” nel controricorso).

Peraltro, nella motivazione della sentenza d’appello si dà atto che il preminente sforzo interpretativo del Giudice d’appello è stato indirizzato verso la comparsa di costituzione e la comparsa conclusionale depositate dalla parte opposta, che al più avrebbero potuto assumere una valenza integrativa del primario atto da interpretare, in quanto contenente la domanda introduttiva del procedimento, rappresentato dal ricorso monitorio (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6579 del 10/03/2021; Sez. 2, Sentenza n. 5415 del 25/02/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 16564 del 22/06/2018), del cui contenuto non è stato fatto cenno nella pronuncia.

Da tanto deriva che l’errore del Giudice del gravame si è tradotto in un vizio del ragionamento logico-decisorio, in forza del quale l’inesatta rilevazione del contenuto della domanda ha determinato un vizio attinente alla individuazione del petitum, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, dedotto come vizio di nullità processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

E, inoltre, tale errore ha coinvolto la “qualificazione giuridica”

dei fatti allegati nell’atto introduttivo (deduzione

dell’inadempimento e non già esercizio del diritto potestativo di recesso), integrando un vizio di error in judicando ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3

In conseguenza, è stato alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell’atto, in relazione alle finalità che la parte intendeva perseguire (Cass. Sez. L, Sentenza n. 2148 del 05/02/2004), e dunque risulta “travisato” il contenuto della domanda proposta con l’atto introduttivo del giudizio, con conseguente errato convincimento sulla qualificazione giuridica della domanda.

Il Giudice, in tal caso, avrebbe dovuto procedere, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, avuto riguardo alle espressioni adoperate dalla parte, ad accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte nonchè dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27428 del 13/12/2005), soccorrendo a tal fine esclusivamente il criterio ermeneutico volto ad indagare il contenuto che emerge dal testo dell’atto, secondo il significato fatto palese dalle parole in base alla loro connessione logica, ed evincibile dalla complessiva lettura del contenuto dell’atto, avuto riguardo anche alla situazione dedotta in giudizio ed allo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10840 del 10/07/2003; Sez. U, Sentenza n. 3041 del 13/02/2007), restando esclusi evidentemente – i criteri ermeneutici – soggettivi ed oggettivi previsti per gli atti negoziali, che implicano la ricerca della comune intenzione delle parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25853 del 09/12/2014; Sez. 1, Sentenza n. 24847 del 24/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 4754 del 09/03/2004).

Nessuna pretesa di accertamento dello scioglimento dal preliminare, per effetto dell’esercizio del diritto potestativo di recesso, era annessa alla richiesta monitoria, e neppure vi era sottesa una pronuncia costitutiva di risoluzione di detto preliminare.

10.- All’esito, i residui motivi devono essere dichiarati assorbiti.

Essi, infatti, sono accomunati, seppure sotto prospettive diverse, dalla medesima ratio ispiratrice: ossia la contestazione dell’interpretazione della domanda, cui ha aderito il Giudice del gravame, tema già affrontato, con esito positivo, scrutinando la prima doglianza.

11.- In definitiva, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, il settimo deve essere rigettato, mentre i rimanenti motivi sono assorbiti.

Per l’effetto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo, rigetta il settimo motivo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 2 novembre 2022.