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Cassazione Civile 357/2023 – Compensi dell’avvocato – Opposizione a decreto ingiuntivo art 645 cpc – Contestazione, anche generica, sull’espletamento e consistenza dell’attività

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Ordinanza 357/2023

Compensi dell’avvocato – Opposizione a decreto ingiuntivo art 645 cpc – Contestazione, anche generica, sull’espletamento e consistenza dell’attività

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attività è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur”, costituendo la parcella una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c.

Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 10-1-2023, n. 357   (CED Cassazione 2023)

Art. 645 cpc (Opposizione a decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 633 cpc (Condizioni ammissibilità decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 636 cpc (Parcella delle spese e prestazioni) – Giurisprudenza

Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza

 

 

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

(OMISSIS) propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso l’ordinanza di questa Corte n. 13200/2022 resa pubblica il 27.4.2022.

Il condominio Centro degli Affari ha resistito con controricorso.

è stata avanzata proposta di inammissibilità del ricorso.

In prossimità dell’adunanza le parti hanno depositato memorie.

Il provvedimento qui impugnato ha così statuito:

“L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza 31 marzo 2021 resa dalla Corte d’appello di Bologna.

L’intimato (OMISSIS), Savignano sul Rubicone, ha notificato controricorso.

La Corte d’appello di Bologna ha respinto il gravame avanzato dall’avvocato (OMISSIS) contro la sentenza n. 214/2010 del Tribunale di Cesena, la quale aveva accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo intimato dal professionista al Condominio Centro degli Affari per il pagamento di compensi professionali richiesti nell’importo di E 4.657,14, come da parcella allegata, rideterminando la somma dovuta in E 3.689,14 oltre interessi. I giudici di appello hanno affermato che il Condominio Centro degli Affari non avesse mai espresso una effettiva accettazione dei compensi pretesi dall’avvocato (OMISSIS), ritenendo peraltro sufficiente la contestazione, pur generica, mossa dall’opponente, e condividendo la valutazione di congruità delle somme operata dal Tribunale in ordine alle prestazioni professionali svolte.

Il primo motivo di ricorso dell’avvocato (OMISSIS) denuncia l’omesso esame del fatto che il Condominio Centro degli Affari avesse, piuttosto, dedotto nelle sue difese di aver “regolarmente saldato” il proprio debito verso il professionista.

Il secondo motivo censura parimenti l’omesso esame del fax 22 aprile 2005, recante una promessa di pagamento.

Il terzo motivo deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 89 e 96 c.p.c., nonchè dell’art. 2043 c.c. per il dolo o la colpa grave del Condominio e le affermazioni calunniose contenute nelle difese dello stesso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Le parti hanno presentato memorie.

I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 e dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

La sentenza della Corte di Bologna si è uniformata all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui, nel giudizio di cognizione avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali di un avvocato, ogni contestazione in ordine all’espletamento ed alla consistenza dell’attività che si assuma svolta, è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare il quantum debeatur, costituendo la parcella una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c. (Cass. Sez. 2, 11/01/2016, n. 230; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14556; Cass. Sez. 2, 25/06/2003, n. 10150).

L’onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista sorge, quindi, ove questa muova da un conteggio preciso e dettagliato, e non un importo complessivo e globale, spettando in ogni caso tale accertamento di fatto al giudice del merito (arg. anche da Cass. Sez. 2, 01/12/2021, n. 37788).

Come ribadito anche da Cass. Sez. Unite 8/7/2021, n. 19427, ai fini della liquidazione dei compensi degli avvocati, la parcella delle spese e prestazioni, sottoscritta e corredata del parere della competente associazione professionale, pur mantenendo, dopo l’abrogazione del sistema delle tariffe professionali disposta dal Decreto Legge n. 1 del 2012, conv. dalla L. n. 27 del 2012, l’efficacia vincolante attribuitale dall’art. 636 c.p.c. nel procedimento per ingiunzione, perde questa efficacia nel giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c., nel quale il giudice è libero di discostarsene, salvo l’obbligo di fornire congrua motivazione, spettando in ogni caso al professionista, nella sua qualità di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella.

D’altro canto, è vero che, seppur non operi nel presente giudizio, ratione temporis, la modifica dell’art. 115 c.p.c., comma 1, (nel senso che i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita devono essere posti dal giudice a fondamento della sua decisione), introdotta dalla L. n. 69 del 2009, l’onere di specifica contestazione era già presente nell’art. 167 c.p.c. per i giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della L. n. 353 del 1990. Tuttavia, perchè un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, e perciò non richiedente una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto. La non contestazione scaturisce, pertanto, dalla non negazione del fatto costitutivo della domanda, di talchè essa non può comunque ravvisarsi ove, a fronte di una pretesa creditoria fondata sullo svolgimento di una complessa prestazione giudiziale di avvocato, il cliente abbia comunque definito incongruo il compenso richiesto rispetto all’attività svolta (cfr. Cass. Sez. 3, 24/11/2010, n. 23816; Cass. Sez. 3, 19/08/2009, n. 18399; Cass. Sez. 3, 25/05/2007, n. 12231; Cass. Sez. L, 03/05/2007, n. 10182; Cass. Sez. 3, 14/03/2006, n. 5488).

La censura in ordine alla valenza della allegazione difensiva del Condominio Centro degli Affari, secondo la quale lo stesso aveva “regolarmente saldato” il proprio debito verso l’avvocato, non tiene conto del contenuto essenziale della decisione, la quale ha comunque condannato l’opponente a decreto ingiuntivo al pagamento dei compensi professionali, rideterminando però la somma dovuta in E 3.689,14 oltre interessi rispetto a quella maggiore intimata, sulla base del necessario apprezzamento di congruità degli onorari indicati in parcella, operato in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale.

Del pari, la censura sull’assunta promessa unilaterale di pagamento non adempie all’onere di specificità quanto alla prova, che sarebbe essa si decisiva, del debito di maggiore importo gravante sul Condominio rispetto alla somma determinata giudizialmente di Euro 3.689,14 oltre interessi.

Il terzo motivo di ricorso è del pari inammissibile, in quanto la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, sicchè non può farsi luogo all’applicazione della norma quando, come avvenuto nella specie, non sussista il requisito della totale soccombenza per essersi, piuttosto, verificata una soccombenza reciproca, a seguito della revoca del decreto ingiuntivo opposto e della condanna al pagamento di un minore importo (Cass. Sez. 2, 14/04/2016, n. 7409). Inoltre, è inammissibile la domanda di risarcimento dei danni ex art. 89 c.p.c., comma 2, rivolta in cassazione con riguardo alle espressioni sconvenienti od offensive contenute negli scritti delle fasi processuali anteriori, essendo ogni statuizione al riguardo riservata al potere discrezionale del giudice di merito dinanzi al quale si svolge il giudizio in cui tali espressioni siano state usate, nonchè insindacabile in sede di legittimità, sia pure per denunciare l’omesso esame dell’istanza (Cass. Sez. 3, 17/03/2009, n. 6439; Cass. Sez. 3, 09/07/2009, n. 16121; Cass. Sez. 3, 20/10/2009, n. 22186; Cass. Sez. 1, 07/12/2020 n. 27935).

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, e, in ragione della soccombenza, il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 art. 13, comma 1-quater, -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Per questi motivi la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in favore in complessivi E 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, 8.04.2022″.

L’odierno ricorrente, facendo esplicito riferimento all’art. 111 Cost., ricorre per la cassazione della riportata ordinanza sulla base di due motivi.

Con il primo lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte di Cassazione “erroneamente, se non pretestuosamente, al solo fine di dichiararne l’inammissibilità, dichiarato inammissibile la domanda affermando, contrariamente a quanto affermato dalle SSUU con sentenza 14699/2010 senza motivare sul dissenso, che “la parcella è una semplice dichiarazione unilaterale del professionista sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 cc”. Oneri assolti ma non considerati…inoltre, ha superficialmente e opportunamente ignorato che il D.I. era stato chiesto in forza di dettagliata nota opinata dal C.O.A. per cui, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non poteva essere disconosciuto dal giudice (SSUU 14669/2010; cass. 12461/2011). Rimprovera dunque alla Corte di avere volutamente ignorato la documentazione prodotta e di avere omesso di considerare che la controparte in sede di conclusioni aveva introdotto un tema di indagine completamente nuovo. Altrettanto pretestuosamente, la Corte avrebbe affermato che la controparte avrebbe definito incongruo il compenso richiesto, mentre mai controparte aveva contestato il quantum, avendo affermato di avere già pagato.

Quanto all’omesso risarcimento del danno ex artt. 89 e 96 osserva che le frasi ingiuriose restano tali sempre per chiunque anche se non togato”.

Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto artt. 112, 115, 89, 96 c.p.c. e art. 2043 c.c. rimproverandosi alla Corte di Cassazione di avere pronunciato oltre i limiti della domanda e di avere considerato eccezioni mai proposte. Ancora, erroneamente avrebbe posto a fondamento della decisione prove non proposte e inoltre non avrebbe tenuto conto delle espressioni offensive di controparte.

Il ricorrente ha domandato quindi a questa Corte di “accogliere i motivi di dissenso alle decisioni della Corte di Cassazione con ordinanza n. 13200/22” e di “cassare la stessa con o senza rinvio,

confermare il D.I. opposto con vittoria di spese dei gradi oltre accessori di legge”. Ha chiesto altresì la condanna della controparte ai sensi dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 3.

Il ricorso è inammissibile.

Preliminarmente, va osservato che per giurisprudenza costante di questa Corte, nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove censure nè sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (v. Sez. 2 -, Sentenza n. 24007 del 12/10/2017 Rv. 645587; Sez. 1, Sentenza n. 28855 del 29/12/2005 Rv. 587153). Il principio, di ordine generale, vale logicamente anche per le memorie depositate ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come nel caso in esame, essendo comune la finalità.

Si rivelano pertanto sterili le considerazioni svolte per la prima volta in memoria e tese a dimostrare, attraverso il richiamo ai principi della effettività della tutela giurisdizionale e dello sfavore per gli esiti abortivi del giudizio, ed attraverso una forzatura del contenuto del ricorso, che è stata in realtà domandata la revocazione, rimedio che – come è noto – risponde a tutt’altre finalità e che non traspare minimamente dal ricorso di cui oggi si discute.

Infatti, il mezzo di impugnazione oggi attivato dal ricorrente, e dal medesimo espressamente qualificato “come ricorso ex art. 111 Cost.”, non è assolutamente suscettibile di riqualificazione in termini di revocazione poichè i vizi che vengono lamentati non sono sussumibili in alcuna delle ipotesi di revocazione delle pronunce della Corte di Cassazione quali apprestate dal codice di rito.

Da un lato, infatti, è ictu oculi inapplicabile l’art. 391-ter c.p.c., afferente alle ipotesi in cui, col provvedimento gravato, la Corte abbia deciso il ricorso nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., posto che la pronuncia qui impugnata, invece, ha dichiarato il ricorso inammissibile; dall’altro, parimenti inapplicabile è l’art. 391-bis c.p.c. poichè in questa sede non è stato censurato alcun errore revocatorio (cfr. al riguardo art. 395 c.p.c.). Nella specie si denuncia invece l’omesso esame di un fatto decisivo (che in realtà mira a contestare anche in questo caso il giudizio della Corte), nonchè la violazione di norme processuali e si sollecita espressamente la Corte di legittimità alla “cassazione” della propria precedente decisione, quale conseguenza di quelli che sono delineati quali vizi di cui all’art. 360 c.p.c., il che è precluso della definitività ed irrevocabilità che connota le decisioni del giudice di legittimità (al di fuori delle eccezionali ipotesi in cui è ammessa la revocazione). Nè tantomeno, il ricorso può essere qualificato come un’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., poichè, da un lato, l’attuale ricorrente è stato parte anche del giudizio che ha dato luogo all’ordinanza qui gravata e poichè, dall’altro, tale mezzo di impugnazione è ammissibile contro i provvedimenti della Corte di Cassazione solo ove con questi venga deciso il merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., mentre la pronuncia qui impugnata – lo si ripete – ha dichiarato il ricorso inammissibile – (Cass. 11235/2016).

è evidente, quindi, che l’odierno ricorso si pone totalmente al di fuori dei casi in cui il legislatore eccezionalmente prevede l’impugnabilità delle decisioni della Corte di cassazione.

In definitiva, il carattere di impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati nell’art. 395 c.p.c., comporta l’inammissibilità di ogni impugnazione non compresa in detta elencazione (Cass. sent. n. 9865/2014).

Sulla scorta delle esposte considerazioni, in linea anche con un recente precedente di questa Corte riguardante un caso analogo (cfr. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 27838 del 2022), il ricorso va dichiarato inammissibile con inevitabile addebito di spese alla parte soccombente e logico superamento dell’esame dell’istanza ex art. 96 c.p.c. pure avanzata dal (OMISSIS).

Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo
unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1.12.2022.