Sentenza 3575/1998
Fideiussione – Contenuto e modalità dell’azione di regresso – Obbligazioni fideiussorie correlate ad interessi distinti – Confideiussione
Nel caso di più obbligazioni fideiussorie correlate ad interessi distinti, pur versandosi in ipotesi estranea alla figura della confideiussione, per la quale non è, quindi, applicabile l’art. 1954 cod. civ., il fideiussore solvente resta surrogato (art. 1203 cod. civ.) nei diritti che il creditore aveva contro gli altri fideiussori che avevano dato separata ed autonoma garanzia. Sicché, il fideiussore “solvens” subentra nel rapporto obbligatorio nella stessa situazione attiva che faceva capo al creditore e con le stesse garanzie, potendo agire nei confronti anche di uno solo degli altri fideiussori per la ripetizione di quanto egli abbia pagato ad estinzione del debito altrui e, quindi, nella misura risultante dalla detrazione, da quanto da lui pagato, della sola propria quota (perché, nei limiti di questa, egli ha pagato un debito a lui pertinente), anziché soltanto “pro quota”, come nel caso del regresso.
Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 7.4.1998, n. 3575
Art. 1954 cc (Regresso contro gli altri fideiussori)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 16 ottobre 1986 Ni. Lu. e Ni. M.L. richiedevano al Presidente del Tribunale di Perugia decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti di Ni. Ma. e della società El. Ni. s.r.l. per il pagamento della somma capitale di lire 104.780.000 oltre interessi al saggio convenzionale del 26,50% annuo dalla domanda.
Esponevano all’uopo: che la El. Ni. s.r.l. era risultata debitrice verso il Monte dei Paschi di Siena di lire 75.560.738 per saldo passivo del conto corrente n. 1844 chiuso il 29 ottobre 1984 e di lire 26.239.732 per saldo passivo del conto corrente n. 1778 alla stessa data (importi liquidati nel decreto ingiuntivo emesso a favore della banca il 6 dicembre 1984); che per la El. Ni. s.r.l. avevano prestato fideiussione gli istanti e altre cinque persone tra cui Ni. Ma.; che il debito verso la banca, determinato in lire 152.087.249 al marzo 1986, era stato pagato da essi istanti, i quali erano stati surrogati dalla banca nelle sue ragioni di credito verso la società e verso gli altri fideiussori; che essi intendevano conseguire il rimborso di quanto erogato alla banca sotto detrazione della quota di loro pertinenza che indicavano in lire 47.300.000.
Il Presidente del Tribunale di Perugia pronunciava il 17 ottobre 1986 il chiesto decreto ingiuntivo che veniva notificato a Ni. Ma. il 17 novembre 1986. Ni. Ma. proponeva opposizione con atto notificato il 3 dicembre 1986, assumendo: che egli aveva revocato la propria fideiussione il 3 novembre 1983; che a tale data il debito della società garantita era di complessive lire 71.439.274 di cui lire 18.094.184 riferibili al conto n. 1778 e lire 53.345.090 riferibili al conto n. 1844; che la garanzia da lui prestata era limitata a lire 80.000.000 comprensive di capitale, interessi (anche moratori) e spese; che egli inoltre aveva versato al Monte dei Paschi di Siena il 29 marzo 1995 lire 8.929.909 in conto del maggior credito della Banca; che in ogni caso egli era obbligato in via di regresso per un settimo del debito complessivo estinto da Ni. Lu. e Ni. M.L., mentre illegittimamente il decreto ingiuntivo comprendeva anche gli importi di pertinenza degli altri garanti con la sola esclusione dei due autori del pagamento. Ni. Lu. e Ni. M.L. si costituivano in giudizio e insistevano per la conferma dell’impugnato provvedimento.
Con altro decreto ingiuntivo pronunciato il 27 marzo 1987 e notificato il 18 aprile 1987 veniva intimato a Ni. Ma. il pagamento in favore di Ni. Lu. e Ni. M.L. degli interessi relativi al periodo intercorrente tra il versamento da questi compiuto e l’emissione del precedente provvedimento monitorio. Anche questo decreto veniva fatto oggetto di opposizione.
Previa riunione dei procedimenti, il Tribunale di Perugia con sentenza 21 aprile/2 ottobre 1992 revocava entrambi i decreti e condannava Ni. Ma. al pagamento in favore di ciascuna delle controparti della somma di lire 20.450.013 oltre interessi convenzionali al 26,50% annuo decorrenti dal 10 aprile 1986, con la compensazione delle spese.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale Ni. Ma. chiedendo, in parziale riforma della stessa, “accertare e dichiarare che l’ing. Ma. Ni. è tenuto al pagamento in favore dei signori M.L. e Lu. Ni., per i titoli di cui è causa, della somma complessiva di lire 10.410.754, oltre agli interessi legali dalla data del 10/6/1986 alla data del pagamento (19/6/1987). Per l’effetto, condannare i signori M.L. e Lu. Ni. alla restituzione in favore dell’appellante della complessiva somma di lire 145.717.583 pari alla differenza tra quanto dovuto dall’ing. Ma. Ni. (lire 10.410.754) ai confideiussori e quanto dal medesimo pagato (lire 156.128.337) in forza dei revocati decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi oltre gli interessi legali dalla data del preteso indebito pagamento a quella dell’effettivo soddisfo. Oltre il maggior danno ex art. 1224 secondo comma C.C. Con vittoria di spese, competenze e onorari di entrambi i gradi di giudizio.” Ni. Lu. e Ni. M.L., congiuntamente costituitisi in giudizio, eccepivano l’inammissibilità, in parte, dell’appello di Ni. Ma. e, nella restante parte, l’infondatezza dello stesso nel merito, e chiedevano, in via di appello incidentale, “riformare parzialmente la gravata sentenza nel punto in cui ha statuito che gli opposti Lu. e M.L. Ni. potevano agire contro il fratello Ma. Ni. e contro ogni altro fideiussore solo nei limiti della quota di ciascuno di essi e per l’effetto respingere l’opposizione quale proposta confermando in ogni parte i decreti ingiuntivi.” ed inoltre “riformare la gravata sentenza in punto spese giudiziali ponendole a carico integrale dell’ing. Ma. Ni. o quanto meno compensarle soltanto per un terzo.” La Corte di appello di Perugia con sentenza 24 novembre/22 dicembre 1994 n. 327 cosi decideva: “1) in parziale accoglimento dell’appello principale e in conseguente parziale riforma della impugnata sentenza, condanna il Ma. Ni. al pagamento della somma di lire 10.225.006 nei confronti del Lu. Ni. e di lire 10.225.006 nei confronti della M.L. Ni. oltre agli interessi, nella misura e con la decorrenza disposte con l’appellata sentenza; 2) dichiara il Lu. e la M.L. Ni. tenuti alle restituzioni ex art. 336 C.P.C. nei confronti del Ma. Ni.; 3) conferma nel resto, e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.”
Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre Ni. Ma., Ni. Lu. e Ni. M.L., congiuntamente, resistono con controricorso contestualmente proponendo ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. Il ricorso principale di Ni. Ma. e il ricorso incidentale di Ni. M.L. e Ni. Lu. devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 C.P.C. per essere contestualmente decisi.
2. Il ricorrente in via principale Ni. Ma. deduce, con unico articolato motivo, “violazione e falsa applicazione degli art. 1373, 1942, 1946 e 1954 cod. civ. , nonché degli art. 113 e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.;
omessa motivazione su punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.”. Sotto un primo profilo, il ricorrente ricorda che egli aveva prestato fideiussione limitata all’ammontare di lire 80.000.000 ed aveva esercitato la facoltà di recesso con comunicazione alla banca in data 3 novembre 1983; lamenta che non sia stata verificata l’incidenza degli effetti del recesso sul rapporto tra i confideiussori, e in particolare nei riguardi di quelli tra essi che avevano soddisfatto la banca; sostiene che il debito di ciascuno dei garanti non poteva eccedere il suddetto importo di lire 80.000.000 comprensivo di “capitale, interessi anche se moratori e ogni altro accessorio non ché di ogni spesa anche di carattere giudiziario”; e rileva che la Corte di appello ha richiamato l’art. 1942 C.C. che estende la fideiussione agli accessori del debito principale, omettendo di considerare che questa disposizione fa salvi i patti contrari. Appare, per vero, non pertinente l’osservazione contenuta nella motivazione della Corte di Perugia secondo cui “il recesso dal contratto è istituto eccezionale che opera soltanto se previsto dalla legge o dalla volontà delle parti”, dappoiché la fideiussione è stata prestata con la espressa clausola che “il fideiussore può recedere dalla garanzia dandone comunicazione con lettera raccomandata; la dichiarazione di recesso si reputa conosciuta dall’Azienda dì credito solo quando la lettera giunga ai suoi uffici e sia trascorso il tempo ragionevolmente necessario per provvedere”; altrettanto irrilevante è il riferimento alla mancata pattuizione del beneficium divisionis. Peraltro, il rilievo di tali difetti formali nella sentenza impugnata non giova a sostegno della critica che il ricorrente principale rivolge alla sentenza stessa con argomenti che appaiono, sia con riguardo alla rilevanza del limite quantitativo dell’obbligazione di garanzia sia con riguardo alle conseguenze del recesso, privi di concreto significato. Ed invero, ferma restando la facoltà del fideiussore di recedere unilateralmente, l’esercizio del recesso comporta la conseguenza che egli non può essere chiamato a rispondere degli effetti obbligatori delle nuove operazioni che vengano eventualmente poste in essere dal debitore garantito, dopo la data in cui il recesso acquista efficacia nei confronti del creditore; ma egli resta tenuto al soddisfacimento del debito quale esistente alla suddetta data e in tale misura cristallizzato (al quale va raffrontato il limite massimo della garanzia), e resta tenuto inoltre, nel caso di mancato tempestivo adempimento, agli ulteriori interessi che a titolo moratorio abbiano a maturare su tale importo fino alla data del pagamento, da – chiunque effettuato: e l’incremento che per tal modo subisce il debito del fideiussore, in quanto imputabile a specifico inadempimento del fideiussore stesso, svincolato da correlazione con la ormai caducata efficacia della garanzia e autonomamente rilevante, non soggiace -a differenza di quello rappresentato dagli interessi (anche moratori) maturati anteriormente al recesso- al limite del massimale della fideiussione. In questo senso esige di essere chiarito il concetto, tralaticiamente e brachilogicamente espresso nel senso che il fideiussore che ha esercitato il recesso risponde nei limiti del saldo passivo esistente in quel momento, e in tali termini richiamato dal deducente. E poiché risulta, in base ai dati di fatto riferiti negli atti del presente giudizio -e in se stessi non revocati in contestazione- che il passivo del conto non ha subito variazioni, in linea capitale, rispetto a quello risultante alla data di efficacia del recesso (anch’essa non controversa) e non eccedente il massimale della fideiussione prestata da Ni. Ma., ma è pervenuto al maggiore ammontare giudizialmente riconosciuto solo in forza degli interessi moratori successivamente maturati fino all’estinzione del debito ad opera di Ni. Lu. e M.L., non può dirsi che alcuna difformità dai suesposti principi – che vengono invece riaffermati nella motivazione, con richiamo a Cass. 103/1985- abbia esplicato influenza deviante sul contenuto della decisione della Corte di Perugia.
3. Risulta invece fondato l’ulteriore profilo di censura -al quale nulla oppongono i controricorrenti con cui il ricorrente principale, ricordando che egli aveva corrisposto alla banca, a parziale estinzione del debito della El., lire 8.929.909, si duole del fatto che l’importo di lire 1.275.071, pari alla settima parte (sette essendo i fideiussori) di quanto da lui pagato, sia stato, in sede di determinazione della ripetizione, detratto una sola volta anziché due volte. La Corte di merito ha acceduto alla seguente ricostruzione matematica: “Essendo la somma pagata dagli opposti pari a lire 152.080.000 pari a sua volta al debito della garantita società verso il Monte dei Paschi di Siena ; divisa tale somma tra i sette confideiussori, si hanno lire 21.725.714. Detratto un settimo, pari a lire 1.725.701, del versamento di lire 8.929.0909 fatto dal Ma. Ni. il 20/3/1985, si hanno lire 20.450.013. Questa è la somma complessivamente dovuta dal Ma. Ni. alla controparte: e cioè in definitiva egli deve lire 10.225.006 alla sorella M.L. ed altrettanto al fratello Lu.”. Nella prospettiva distributoria accolta dalla Corte umbra in applicazione dei criteri della solidarietà (che qui viene considerata in se stessa, a prescindere dalle osservazioni che verranno svolte nel paragrafo seguente in relazione al ricorso incidentale) risulta incongruente l’imputazione di una sola quota del pagamento parziale effettuato da Ni. Ma. in diminuzione del totale risultante dalla somma delle quote di Ni. Lu. e di Ni. M.L. del pagamento finale da loro effettuato, in luogo della singola ma ripetuta imputazione a ciascuna delle quote di Ni. Lu. e Ni. M.L., o -con risultato aritmeticamente equivalente- della imputazione della prima in misura doppia al totale delle due quote di questi ultimi, i quali, conseguentemente a tale errore di metodologia (e non di mero calcolo), si sono visti addebitare un quid minus del dovuto, a danno del deducente.
4. Con il ricorso incidentale, Ni. Lu. e Ni. M.L. deducono “violazione e falsa applicazione degli art. 1203, 1204, 1936, 1949 e 1954 C.C., nonché degli art. 112 e 115 C.P.C.; insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione” per avere la Corte di merito,- in reiezione dell’appello incidentale proposto dai deducenti sul punto, escluso che fosse loro diritto esigere da Ni. Ma. l’intera differenza tra la totalità del debito e l’ammontare della quota di loro pertinenza. Nella motivazione della impugnata sentenza, pur dandosi atto che i deducenti risultano surrogati nella ragioni di credito della banca da loro soddisfatta, e che la surrogazione compete in ogni caso, in alternativa al regresso, al fideiussore solvente, sì afferma che il diritto di escutere solidalmente i vari fideiussori spetta solo al creditore, e non anche al fideiussore neì confronti degli altri fideiussori, in quanto tale diritto attiene al “rapporto esterno” e non si trasmette al confideiussore solvente che, nel rapporto interno nel cui ambito il debito si ripartisce fra i garanti, è vincolato -a norma del disposto dell’art. 1292 C.C.- dal limite delle quote singolarmente riferibili a ciascuno di essi. I deducenti si dolgono dell’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello confondendo, in linea di principio, l’obbligazione solidale, che sorge quando più debitori per legge o per volontà delle parti sono tenuti all’adempimento della medesima obbligazione, e la fideiussione che è obbligazione di garanzia con cui ciascun fideiussore si obbliga nei confronti dello stesso creditore a garantire l’ adempimento del debitore principale (onde, se è vero che qualora più persone abbiano prestato fideiussione nell’interesse di uno stesso debitore tutti rispondono per l’intero nei confronti del creditore, ciò avviene in considerazione non del carattere solidale dell’obbligazione ma del contenuto dell’obbligazione da tutti e da ciascuno assunta verso il creditore); criticano come erronea la qualificazione giuridica della fattispecie operata dalla Corte umbra con l’apodittica affermazione che si verte in tema di confideiussione, mentre ci si troverebbe invece in presenza di una pluralità di distinte obbligazioni fideiussorie; e sostengono che, in tale situazione, essi, avendo dichiarato in sede di pagamento dell’intero di volersi surrogare nelle ragioni del creditore ai sensi e per gli effetti dell’art. 1203 C.C., sono soggetti alla detrazione, dal quantum oggetto della ripetizione, della sola quota di loro competenza. La doglianza dei deducenti merita accoglimento, nel senso che qui riceve esplicazione. La surrogazione, disciplinata in via generale dall’art. 1203 C.C., deve ritenersi operante, in ipotesi di pluralità di fideiussori, a favore del solvenza, indipendentemente dal fatto che in tema di fideiussione il legislatore abbia previsto espressamente la surrogazione del fideiussore nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore principale (art. 1949 C.C.), e abbia previsto invece, in caso di confideiussione, il
regresso contro gli altri fideiussori (art. 1954 C.C.). La surrogazione, della cui sussistenza la sentenza impugnata dà atto, si concreta in un fenomeno traslativo in virtù del quale il credito del creditore principale si riproduce in favore del fideiussore che ha pagato, nella stessa dimensione (salva la limitazione quantitativa derivante dal fatto che il solvens ha diritto a ripetizione nella misura in cui egli, essendo tenuto con altri e per altri al pagamento, ha estinto un debito che possa considerarsi altrui e non anche per quella parte del debito che possa qualificarsi come a lui proprio), con le stesse caratterizzazioni e con le stesse posizioni di garanzia che assistevano il credito originario. La distinzione tra l’ipotesi del regresso e quella della surrogazione, in caso di pluralità di obbligazioni fideiussorie, è ben presente nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha avuto occasione di affermare: che presupposto della confideiussione e del diritto di regresso previsto dell’art. 1954 C.C. è l’esistenza di un collegamento tra le obbligazioni assunte dai singoli fideiussori nel senso che costoro abbiano garantito congiuntamente il medesimo debito gravante sul medesimo debitore, cioè di un insieme di vincoli di fideiussione relativi alla medesima obbligazione tra loro collegati da un interesse comune ai garanti (con la precisazione che affinché possa ritenersi sussistente tale condizione non si richiede che l’assunzione della garanzia sia contestuale e nemmeno simultanea, ben potendo invece le obbligazioni di garanzia essere assunte separatamente purché in funzione di un interesse sostanziale comune (Cass. 4594/1990); che, ai fini della determinazione del contenuto del regresso, la ripartizione del debito all’interno del gruppo dei confideiussori va effettuata applicando il criterio dell’art. 1298 C.C., facendo peraltro riferimento non al contratto col quale ciascun
fideiussore ha prestato la garanzia, ma alla ragione del collegamento tra le obbligazioni assunte in relazione all’interesse comune (Cass. 1712/1967); che nel caso di più obbligazioni fideiussorie correlate a interessi distinti 11pur versandosi in ipotesi estranea alla figura della confideiussione e per la quale non è quindi applicabile l’art.1954 C.C., non vi è tuttavia ragione di negare che il fideiussore solvente resti surrogato in virtù della norma generale dell’art.1203 C.C. nei diritti che il creditore aveva contro gli altri fideiussori che avevano dato separata e autonoma garanzia (Cass. 1962/1962). E nell’alternatività facoltativa, riconosciuta dalla giurisprudenza confortata dalla prevalente dottrina, tra la surrogazione e il regresso (v. in proposito Cass. 1120/1987, anche in ordine ai riflessi che l’opzione per l’una o l’altra azione esplica in tema di competenza territoriale in relazione al forum destinate solfitino di cui all’art. 20 C.P.C.), l’opportunità di avvalersi del primo anziché del secondo tra i suindicati mezzi di tutela consiste in ciò che solo la surrogazione, a differenza del regresso, comporta il subentro nelle garanzie che assistono il credito. Ora, la sentenza impugnata appare censurabile proprio nella mancata percezione, e nella omessa applicazione, delle conseguenze della pur affermata riconducibilità (indipendentemente dalla verifica, a questi effetti priva di rilevanza, della sussistenza o meno dei presupposti della confideiussione e quindi del regresso) della fattispecie in esame all’ipotesi della surrogazione, la quale, in base ai ricordati principi generali, consente al fideiussore solvens di subentrare nel rapporto obbligatorio nella stessa situazione attiva che faceva capo al creditore e con le stesse garanzie, e gli consente quindi di agire nei confronti anche di uno solo degli altri fideiussori per la ripetizione di quanto egli abbia pagato ad estinzione del debito altrui, e quindi nella misura risultante dalla detrazione, da quanto da lui pagato, della sola propria quota (perché, nei limiti di questa, egli ha pagato un debito a lui pertinente), anziché soltanto pro quota come nel caso del regresso.
5. Con riferimento ai due aspetti suindicati riceve cassazione la sentenza impugnata. Consegue il rinvio della causa, per nuovo esame, ad altro giudice che viene indicato nella Corte di appello di Roma, alla quale viene riservata la decisione sull’onere delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte
riunisce i ricorsi;
accoglie per quanto di ragione, il ricorso principale di Ni. Ma.;
accoglie il ricorso incidentale di Ni. Lu. e Ni. M.L.;
cassa la impugnata sentenza della Corte di appello di Perugia 24 novembre/22 dicembre 1994 n. 327;
e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Roma, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 1997
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 1998.