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Cassazione Civile 3575/2018 – Azione del terzo per l’accertamento della proprietà di un bene condominiale – Litisconsorzio dei condomini

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Sentenza 3575/2018


Azione del terzo per l’accertamento della proprietà di un bene condominiale – Litisconsorzio dei condomini

La domanda di un terzo estraneo al condominio, volta all’accertamento, con efficacia di giudicato, della proprietà esclusiva su di un bene condominiale ed al conseguente rilascio dello stesso in proprio favore, si deve svolgere in contraddittorio con tutti i condomini, stante la loro condizione di comproprietari dei beni comuni e la portata delle azioni reali, che incidono sul diritto “pro quota” o esclusivo di ciascun condomino, avente pertanto reale interesse a contraddire.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 14 febbraio 2018, n. 3575   (CED Cassazione 2018)

Art. 2909 cc (Cosa Giudicata) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1) Dal 2001 (OMISSIS) sas ha inteso rivendicare nei confronti del (OMISSIS) la proprietà esclusiva della particella catastale (OMISSIS) già facente parte della (OMISSIS), alla partita NCT di Roma (OMISSIS), f.g. (OMISSIS), part. (OMISSIS), costituita da un terreno molto esteso, destinato a spazi condominiali, tra i quali la piscina condominiale, sito in (OMISSIS).

La domanda è stata accolta dal tribunale di Roma nel 2005, ma la decisione del primo giudice è stata annullata dalla sentenza n. 4957 del 10 ottobre 2012 della locale Corte di appello.

Accogliendo il primo motivo di gravame del Condominio, la Corte ha ritenuto che sussista litisconsorzio di ciascun condomino comproprietario di unità immobiliari nello stabile e ha rimesso le parti al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1.

Il ricorso per cassazione della società è stato notificato il 18 gennaio 2013. Il Condominio ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) La Corte di appello ha testualmente affermato: “La domanda di accertamento della proprietà esclusiva proposta da (OMISSIS) sas – rispetto alla quale assumono natura accessoria quelle ulteriori di riduzione in pristino e risarcimento del danno – travalica l’ambito delle attribuzioni gestorie e di rappresentanza della collettività condominiale rimesse ex lege all’amministratore del Condominio (articoli 1130 e 1131 c.c.), venendo piuttosto ad incidere sui diritti reali che, secondo le contrapposte allegazioni difensive, ai singoli partecipanti derivano sui beni comuni in virtù dei rispettivi titoli di acquisto delle porzioni immobiliari, avuto riguardo, in particolare, al regolamento di condominio ivi specificamente richiamato, alla stregua del quale (articoli 2 e 3) il terreno oggetto di rivendicazione sarebbe ricompreso tra i beni comuni”.

Il ricorso verte su tre motivi, numerati come A, B, C..

Il primo denuncia violazione dell’art. 182 c.p.c. c.2, con riferimento all’art. 1131 c.1 e 2 del c.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.

Parte ricorrente deduce che, stando alla sentenza 18331/2010 delle Sezioni Unite, l’amministratore avrebbe dovuto proporre appello previa autorizzazione dell’assemblea, carenza che non era stata sanata cosicchè il procedimento di appello non poteva proseguire e la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata senza rinvio.

La censura si scontra con i rilievi di parte resistente, la quale, oltre ad osservare che la questione non era stata sollevata in precedenza, ha dedotto che la delibera assembleare del 30 gennaio 2006 era stata depositata “in data 17.5.2012 (doc. 3.8 del presente fascicolo)” e che altro verbale del 16.6.2008 è stato redatto e depositato in causa in occasione della sostituzione del precedente difensore. Ha inoltre osservato che l’autorizzazione al controricorso in cassazione avrebbe effetto sanante.

2.1) Questi rilievi di parte controricorrente colgono nel segno.

Il potere di rappresentanza processuale dell’amministratore, che, per non dire degli altri documenti, risulta, quanto all’odierno giudizio, dal verbale di assemblea straordinaria del 19/2/2013 ha effetto sanante di ogni ipotizzata mancanza.

Tanto si desume dalla stessa sentenza 18331/2010, secondo la quale “la ratifica… vale a sanare con effetti ex tunc l’operato dell’amministratore che abbia agito senza autorizzazione dell’assemblea”, quanto, ancor più esplicitamente, dalla successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. 4248/16).

È dunque insussistente la dedotta carenza di potere rappresentativo dell’amministratore con riferimento a ogni grado della presente controversia.

3) Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c.. Deduce che dalla motivazione della sentenza impugnata, qui riportata sub §2, non si comprenderebbe “perchè mai se i diritti dei condomini hanno ad oggetto beni in comune”, la Corte abbia “affermato che la domanda di rivendica proposta dalla (OMISSIS) sas, travalica i poteri dell’amministratore”.

Parte ricorrente sostiene di aver chiesto l’accertamento del proprio diritto di proprietà non su beni appartenenti in via esclusiva ai singoli condomini, ma solo di beni di cui sono comproprietari in comune. Nega che la pretesa abbia riflessi sui diritti reali che ai singoli partecipanti derivano sui beni comuni. Nega che dal regolamento condominiale si possa desumere che la pretesa (OMISSIS) possa incidere sui beni oggetto dei singoli.

Il terzo motivo denuncia “illogicità della motivazione sotto il profilo della contraddittorietà”.

La censura ripropone quanto prima sostenuto nel secondo motivo e deduce che la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella parte in cui afferma da un lato che la domanda travalica le competenze dell’amministratore perchè va ad incidere su diritti reali dei singoli, dall’altro considera i diritti reali in parola come aventi “ad oggetto beni comuni dei singoli partecipanti al condominio”.

I due motivi, da esaminare congiuntamente perchè integrantisi vicendevolmente, sono inammissibili e da rigettare.

Sono inammissibili perchè discutono di una questione processuale sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza e non di un vizio del procedimento.

Va infatti ricordato che nel giudizio di legittimità è inammissibile il motivo di ricorso col quale si lamenti il vizio di motivazione della sentenza con la quale il giudice di merito abbia risolto una questione di diritto processuale: infatti, in tema di vizi del procedimento, l’accertamento demandato alla Corte di cassazione deve consistere unicamente nella verifica del rispetto, da parte del giudice di merito, della legge processuale, a nulla rilevando il modo in cui egli abbia motivato la propria decisione (Cass. n. 13683 del 31/07/2012).

Nel caso odierno per contro parte ricorrente si è diffusamente e inequivocabilmente soffermata proprio sulla configurabilità delle censure per motivazione apparente (132 c.p.c., n. 4) e per vizio di motivazione al lume dei nuovo art. 360, n. 5, riformato nel 2012 (ricorso pag. 13).

3.1) Qualora si possa, per pura ipotesi, cogliere nei due motivi un’inespressa censura ex art. 360 n. 4 c.p.c., cioè la denuncia di un “error in procedendo” relativamente al rilevato litisconsorzio, bisognerebbe in primo luogo osservare che parte ricorrente non ha dedotto con puntualità il contenuto degli atti processuali (citazione, atto di appello, comparse, sentenza di primo grado) per definire con esattezza gli esatti termini della controversia, come è necessario per dare ingresso al potere dovere del giudice di legittimità di esaminare gli atti processuali (cfr in proposito, sull’ammissibilità del motivo di censura, tra le altre, SU n. 8077/12, Cass. 488/10; 23420/11; 5036 del 28/03/2012).

Non a caso parte controricorrente ha preliminarmente eccepito il difetto di specificità (in controricorso: “autosufficienza”, secondo la terminologia a lungo prevalente) del ricorso in ordine alle vicende del giudizio.

Il ricorso ha infatti riportato la parte cruciale della motivazione della Corte di appello, ma solo per denunciare una pretesa carenza o contraddittorietà intrinseca della motivazione. Non si è soffermato adeguatamente sul profilo, in ipotesi determinante, della configurabilità o meno del litisconsorzio in relazione alla domanda di rivendica da parte di un estraneo al condominio ( (OMISSIS) appunto) di un bene di cui con l’azione reale (sulla natura dell’azione proposta cfr ricorso pag. 5 in fine) si contesta che faccia parte delle proprietà del condominio.

Dunque i due motivi di ricorso resterebbero anche per questa via inammissibili.

3.2) Sul punto peraltro, lo si nota anche per comprendere la indispensabilità di un’argomentata censura cui la Corte di Cassazione non può dar corso sviluppandola d’ufficio (v. Cass. n. 3872 del 19/02/2014), la sentenza romana è conforme a quell’orientamento (pur contrastato) di­ questa Corte, secondo cui la pretesa dell’attore, estraneo al condominio, di accertamento di un suo diritto di proprietà esclusiva sul bene condominiale, poichè pregiudica i diritti dei condomini, esclude che essi possano restare estranei al giudizio e ne impone la partecipazione litisconsortile (Cass. 8119/99; 2925/01; 7468/00).

Le Sezioni Unite (Cass. 25454/13) si sono occupate di queste problematiche con riguardo all’iniziativa promossa da un comproprietario o condomino contro altro condomino sul presupposto della condominialità del bene.

Si è osservato che in tal caso, qualora il convenuto si limiti a resistere, senza richiesta di accertamento con effetto di giudicato e quindi senza coinvolgere la posizione proprietaria di altri soggetti, non vi è necessità di chiamate litisconsortili. Sussiste per contro, si desume dall’insegnamento delle Sezioni Unite, litisconsorzio con tutti i condomini qualora il convenuto resista e svolga una domanda riconvenzionale che miri ad affermare la personale proprietà esclusiva, negando quella comune.

Una sentenza che affermasse la proprietà esclusiva in confronto di uno soltanto dei comproprietari sarebbe infatti inutiliter data.

Alla stregua di questa lettura – e portandola al diverso caso odierno – si potrebbe affermare che la domanda di un terzo (non di un comproprietario, come più di frequente si riscontra nella casistica) il quale, agendo contro il condominio, si affermi proprietario esclusivo e pretenda di farlo con una domanda mirante al giudicato di accertamento e di condanna al rilascio dovrebbe svolgersi in contraddittorio con tutti i condomini, stante la condizione di comproprietari dei beni comuni e la portata delle azioni reali, che incidono sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, avente reale interesse a contraddire (cfr, sull’interesse in concreto al litisconsorzio, SU 11523/13).

È del resto nota in giurisprudenza e in dottrina la differenza tra l’esclusione della legittimazione alternativa individuale dei singoli condomini in caso di impugnazione di deliberazioni assembleari relative a esigenze collettive del condominio (che sono individuali solo in via mediata) e legittimazione dei singoli quanto alle azioni reali.

4) Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna di parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore molto elevato della controversia, concernente la proprietà di un terreno di 19.663 mq (pag. 12 controricorso, che riporta testualmente il verificabile dispositivo della sentenza di primo grado) in zona residenziale della capitale.

Ratione temporis non è applicabile il disposto di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.p.r 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della legge n. 228/12.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 8.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della 2^ sezione civile tenuta il 24 febbraio 2017.

 

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