Ordinanza 35873/2022
Esecuzione forzata di obblighi di fare – Condanna ad un ‘facerè mediante esecuzione di determinate opere su un immobile – Successiva acquisizione del bene da parte della p.a.
In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, in caso di condanna di un soggetto ad un “facere” mediante esecuzione di determinate opere su un immobile, la successiva acquisizione dello stesso, in via amministrativa, da parte della P.A. non priva i soggetti muniti del titolo esecutivo della legittimazione all’azione esecutiva, valendo soltanto ad abilitare il successore a titolo particolare ad intervenire nel processo a tutela delle proprie ragioni.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 6-12-2022, n. 35873 (CED Cassazione 2022)
Art. 474 cc (Titolo esecutivo) – Giurisprudenza
Art. 475 cc (Forma del titolo esecutivo giudiziale) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Caltanissetta ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle qualità di cui in epigrafe, avverso la sentenza del Tribunale di Enna con la quale era stata dichiarata l’improcedibilità dell’esecuzione per non eseguibilità degli obblighi oggetto di condanna, in capo all’appaltatore, (OMISSIS), a seguito di accertato inadempimento del contratto di appalto per lavori non eseguiti a regola d’arte, in ragione della sopravvenuta e documentata acquisizione da parte del Comune di Barrafranca dell’immobile, ove si sarebbero dovute eseguire le opere, per inottemperanza all’ordine di demolizione pronunciato in quanto dichiarato abusivo.
In particolare, per quanto ancora qui di interesse, la Corte d’appello territoriale ha rilevato che, essendo documentata ed indiscussa la sopravvenienza del provvedimento ablatorio del Comune di Barrafranca, gli appellanti non erano più proprietari dell’immobile ove le obbligazioni di facere avrebbero dovuto eseguirsi e pertanto dichiarava la carenza di legittimazione degli esecutanti.
2. Avverso la sentenza della Corte di Caltanissetta, n. 592 del 2019, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Ha resistito, con controricorso, (OMISSIS). La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la “nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e l’illegittimità costituzionale della L. 9 agosto 2013, n. 98, artt. 62-72 di conversione con modificazione del Decreto Legge 21 giugno 2013 in relazione all’art. 106 Cost., comma 2”; in particolare, si dolgono della illegittima composizione del collegio giudicante in quanto adottata con la partecipazione del giudice ausiliario in funzione di Consigliere relatore, ovverosia di persona estranea all’ufficio giudiziario.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la “violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 38 e 44 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per effetto della rilevanza assegnata al provvedimento amministrativo adottata dal Comune di Barrafranca (ordinanza di acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune – determinazione n. 5 del 7/1/2008) ritenuto quale fatto modificativo o impeditivo sopravvenuto alla formazione del titolo esecutivo (sentenza n. 105/2005 resa dal Tribunale di Enna) senza alcun vaglio di legittimità in virtù dei poteri di disapplicazione del giudice civile, nonostante si tratti di provvedimento sanzionatorio emesso in assenza di preventiva determinazione (diniego) sull’istanza di concessione in sanatoria – violazione di legge costituzionalmente rilevante per la mancanza assoluta di motivazione – motivazione apparente e incomprensibile”; nello specifico si dolgono, per un verso, dell’illegittimità dell’ordinanza di acquisizione perchè resa in pendenza di istanza di sanatoria, e per l’altro, del fatto che la Corte territoriale non avrebbe potuto pronunciare l’improcedibilità sulla base di un presunto difetto di legittimazione all’azione esecutiva; lamentano infine l’inosservanza da parte del giudice di appello di quanto previsto dall’art. 5 L.A.C. sulla disapplicazione del provvedimento amministrativo illegittimo.
3. Il primo motivo di ricorso va disatteso.
La questione posta con il primo motivo, è superata dalla decisione della Corte Costituzionale (sentenza n. 41 del 2021) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni, contenute nel Decreto Legge n. 69 del 2013 conv. con modif. nella L. n. 98 del 2013 – che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria -, statuendo che fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili.
4. Il secondo motivo di ricorso, invece, come adeguatamente interpretato nei termini di seguito illustrati, è fondato.
I ricorrenti correttamente lamentano la declaratoria di improcedibilità pronunciata dai giudici di merito sulla base del loro ritenuto difetto di legittimazione, contestando l’idoneità a tal fine del provvedimento ablatorio, sia pur sotto il peculiare profilo della sua legittimità in quanto tale.
Nonostante sia irrilevante in questa sede qualunque ulteriore indagine sulla legittimità di un provvedimento amministrativo reso nei confronti di una sola delle parti in causa e che non consta essere stato impugnato nelle sole competenti sedi da chi vi avrebbe avuto interesse, va in via dirimente osservato che la semplice sopravvenienza di un provvedimento ablatorio non fa venire meno la legittimazione attiva all’esecuzione nè quella passiva del soggetto obbligato individuato come tale nel titolo esecutivo azionato.
4.1. La Corte di appello, condividendo la pronuncia del Giudice di prime cure, ha dapprima dato conto della documentata sopravvenienza del provvedimento ablatorio del Comune di Barrafranca (ordinanza n. 2 del 2008) con cui è stato acquisito l’immobile ove erano da effettuarsi le opere oggetto del facere (a seguito di accertato inadempimento del contratto di appalto intercorso tra le parti da parte del (OMISSIS) con la sentenza del Tribunale di Enna n. 55 del 2005); ha ritenuto, poi, che tale circostanza sopravvenuta in ordine alla proprietà del bene “che non è più nella disponibilità degli appellanti, bensì del Comune” costituisse “fatto modificativo o impeditivo alla formazione del titolo esecutivo di cui alla sentenza n. 105/2005 resa dal Tribunale di Enna, come già ritenuto dal primo Giudice, non sussistendo motivi per discostarsi dalle valutazioni in sentenza anche con riguardo al carico delle spese” non essendo gli appellanti più proprietari dell’immobile ove le obbligazioni di facere avrebbero dovuto eseguirsi, ha dichiarato la carenza di legittimazione degli esecutanti (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata).
4.2. Tale conclusione non può condividersi.
4.3. In primo luogo, il Collegio osserva che la sentenza impugnata ha erroneamente assunto l’obbligazione posta a fondamento del titolo esecutivo opposto quale obbligazione propter rem e non, invece, come obbligazione derivante da un accertato inadempimento contrattuale, a proposito della quale la sussistenza o meno della qualità di proprietario del bene in capo al creditore esecutante va considerata come circostanza neutra o comunque non immediatamente rilevante.
Questa Corte ha già chiarito quali sono i caratteri propri delle obbligazioni propter rem.
In via generale, si è affermato che le obbligazioni propter rem sono caratterizzate oltre che dalla accessorietà (dal lato soggettivo passivo) e dalla ambulatorietà, dal requisito della tipicità, con la conseguenza che esse non possono essere liberamente costituite dall’autonomia privata, ma sono ammissibili solo nei casi voluti dalla legge, e cioè quando la legge consente che, in relazione a un determinato diritto reale, il soggetto si obblighi ad una prestazione accessoria, la quale può consistere anche in un facere (Cass. Sez. 2, 23/08/1978 n. 3931).
In tale prospettiva, quindi, il tratto specifico e qualificante della obligatio propter rem “consiste in una connessione indissolubile tra l’obbligazione e la cosa, per cui risulta debitore colui il quale nei confronti della cosa gode di una posizione di diritto reale. Secondo la nozione più accreditata, l’obbligazione reale di ampio e diverso contenuto positivo o negativo è connessa con il diritto, di cui il debitore è titolare: diritto del quale l’obbligazione segue le vicende, in considerazione della sua funzione causale, trovando la propria ragione d’essere nella titolarità del diritto, come conseguenza del principio secondo il quale chi gode di determinati vantaggi non può non subire gli eventuali riflessi negativi” (Cass. Sez. 2, 05/09/2000 n. 11684; Cass. Sez. 2, 05/09/2000 n. 11684).
All’evidenza, detto tratto non può ravvisarsi nell’obbligazione recata dal titolo esecutivo opposto -, poichè la fattispecie in esame invero si inquadra nella ordinaria tutela contrattuale apprestata al committente dall’art. 1668 c.c. collegata causalmente all’inadempimento del contratto da parte dell’appaltatore.
4.4. Ne consegue, in tal senso ricostruita la censura dei ricorrenti, che il fatto sopravvenuto derivante dalla vicenda amministrativa consistita nella allegata acquisizione da parte del Comune del bene immobile oggetto dell’obbligo di facere, non costituisce fatto estintivo dell’obbligo, in quanto la condanna al facere non solo non presenta il carattere dell’accessorietà, ma soprattutto e in via dirimente non è in alcun modo condizionata alla titolarità del diritto reale sottostante, bensì causalmente collegata al fatto di inadempimento accertato e per ciò, non libera dall’obbligo l’esecutato al quale potrà essere, comunque, chiesto il risarcimento del danno nella misura corrispondente alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi.
In proposito, va dapprima sottolineato che il debitore, ove non possa eseguire la prestazione dovuta a causa del comportamento di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, può invocare la conseguente impossibilità della prestazione come motivo di esclusione della sua responsabilità, soltanto se l’attività del terzo sia prevista come condizione, diversamente restando soggetto all’obbligo del risarcimento (Cass. Sez. 2, 10/02/1984 n. 1024).
Ma neppure può rilevare, nel giudizio di opposizione, di per sè sola considerata la carenza di titolo edilizio in capo ai ricorrenti o l’acquisizione, per violazioni della disciplina urbanistica, del bene al Comune.
Al riguardo, giova evidenziare che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che, quando il trasferimento del bene oggetto dell’esecuzione in forma specifica sia avvenuto prima dell’inizio del processo esecutivo, la legittimazione passiva all’azione esecutiva spetta esclusivamente a chi, tra l’alienante condannato e l’acquirente del diritto, abbia la materiale disponibilità della cosa e possa, perciò, realizzare il risultato dovuto in base al titolo.
Pertanto, il soggetto condannato ad un facere mediante esecuzione di determinate opere su un immobile ceduto ad altri non perde, in conseguenza del trasferimento del bene, la legittimazione passiva all’azione esecutiva ai sensi degli artt. 2909 c.c., artt. 474 e 475 c.p.c., potendo la successione a titolo particolare avere incidenza nel processo esecutivo soltanto a seguito di una iniziativa del nuovo titolare del diritto, poichè a quest’ultimo è consentito di interloquire sulle modalità dell’esecuzione, ferma restando la validità e l’efficacia del precetto intimato al dante causa (Cass. Sez. 2, 29/11/2018 n. 30929; in senso conforme Cass. Sez. 2, 08/01/2003 n. 73).
Nel caso in cui la titolarità del diritto e/o il possesso vengano trasferiti dopo l’inizio del processo esecutivo, e nella pendenza di questo, gli atti esecutivi già compiuti contro il dante causa conservano validità ed efficacia nei confronti del successore; a quest’ultimo è consentito interloquire sulle modalità dell’esecuzione, eventualmente sostituendosi nella posizione di soggetto passivo dell’azione esecutiva (cfr. Cass. Sez. 3, 14/02/2013, n. 3643, in motivazione punto 5.4; v. inoltre quanto affermato nell’ipotesi di cessione del diritto di credito per il quale è stata promossa espropriazione forzata, secondo cui il cedente mantiene la legittimazione attiva (ad causam) a proseguire il processo, salvo che il cessionario si opponga: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15622 del 22/06/2017).
L’applicazione del richiamato principio al caso di specie, mutatis mutandis, trattandosi di legittimazione all’azione esecutiva, comporta l’accoglimento del motivo di ricorso, avendo la Corte di appello erroneamente dichiarato il difetto di legittimazione degli allora appellanti, odierni ricorrenti. Costoro, invero, in quanto soggetti muniti di titolo, si postulano possessori del bene immobile non solo dall’inizio del processo esecutivo, ma anche successivamente, visto che essi, nel ricorso per cassazione, hanno affermato di essere ancora possessori del bene sul quale debbono essere effettuate le opere de quibus (cfr. pag. 14 in ricorso).
Pertanto, la vicenda attinente all’atto amministrativo intervenuto in corso di causa (ordinanza di acquisizione dell’immobile dei ricorrenti al patrimonio indisponibile del Comune), in sè considerata, non incide nè sulla legittimazione del creditore a proseguire l’esecuzione sul bene che ne è oggetto, nè su quella passiva del debitore ad ottemperare, sul medesimo, all’obbligo derivante dal titolo esecutivo: ma abilita solo il successore ad intervenire nel processo a tutelare in quella sede le proprie eventuali ragioni.
5. In conclusione, rigettato il primo, va accolto il secondo motivo di ricorso e la sentenza impugnata va cassata in relazione ad esso e il giudizio va rinviato alla Corte di appello di Caltanisetta, in diversa composizione, che provvederà a riesaminare l’atto di appello secondo i principi sopra ricordati, nonchè sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo ed accoglie il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al medesimo e rinvia alla Corte d’appello di Caltanisetta, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile in data 11 ottobre 2022.