Sentenza 36430/2021
Condominio – Determinazione giudiziale del compenso dell’amministratore – Competenza del giudice del lavoro
Le controversie sulla determinazione del compenso dell’amministratore di condominio rientrano nella competenza del giudice ordinario e non in quella del giudice del lavoro, giacché il rapporto tra quello ed il condominio non solo è qualificabile in termini di mandato (le cui disposizioni sono applicabili ex art. 1129, comma 15, c.c., per quanto non disciplinato in modo specifico da detta norma), ma è, altresì, privo del requisito della coordinazione ed ingerenza caratterizzante la parasubordinazione ex art. 409, comma 1, n. 3., c.p.c., stante la particolare natura del condominio (soggetto sostanzialmente privo di organizzazione ed avente come unico fine la gestione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva), la quale esclude sia qualsiasi inserimento dell’amministratore in una qualche organizzazione esterna, che un potere continuo e diffuso di intervento ed intromissione del preponente, tanto più considerato che la l. n. 220 del 2012 ha ulteriormente delineato l’attività dell’amministratore in termini di professionalità e autonomia.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 24-11-2021, n. 36430 (CED Cassazione 2021)
Art. 1129 cc (Nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 121 del 28.1.2016 il Tribunale di Pescara, rigettando sul punto l’appello proposto dal condominio di (OMISSIS), confermò la decisione di primo grado che, revocato il decreto ingiuntivo, in parziale accoglimento della domanda di (OMISSIS), aveva liquidato in suo favore la somma di Euro 1.952,53 e quindi condannato il condominio a pagare, detratti gli acconti versati, l’importo di Euro 644,79, a titolo di compenso aggiuntivo per l’attività svolta, in qualità di amministratore del condominio, in relazione all’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione sullo stabile. In particolare il Tribunale, disattesa l’eccezione dell’appellante di incompetenza per materia del Giudice di pace in favore del Tribunale quale giudice del lavoro, dichiarò inammissibili, perchè tardivamente sollevate solo in comparsa conclusionale, le contestazioni del condominio relative alle singole voci di compenso meglio specificate dalla controparte nella comparsa di risposta e, dato atto del riconoscimento da parte dello stesso condominio della spettanza del compenso aggiuntivo in favore dell’amministratore, dichiarò del tutto giustificata e congrua, sulla base delle risultanze dei documenti prodotti e della prova testimoniale, la liquidazione del suo credito operata dal Giudice di pace, che ne aveva ridotto l’ammontare rispetto a quanto richiesto in sede monitoria.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 28.7.2016, ricorre, sulla base di quattro motivi, il condominio di (OMISSIS).
(OMISSIS) non ha svolto attività difensiva.
La trattazione del ricorso si è svolta, ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis, d.l. 28. 10. 2010, n. 137, convertito con la legge 18.12.2010, n.176, in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale, che ha depositato conclusioni scritte, e del difensore della parte costituita, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 409 c.p.c., n. 3, lamentando il rigetto dell’eccezione di incompetenza per materia sollevata fin dal primo grado di giudizio. Sostiene il ricorrente che la competenza a conoscere della domanda di compenso dell’amministratore di condominio dovrebbe essere riconosciuta non al giudice civile ma al giudice del lavoro, a mente dell’art. 409 c.p.c., n. 3, atteso che la sua attività è inquadrabile nei rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di opera continuativa e coordinata, di carattere prevalentemente personale, anche se non di natura subordinata, dal momento che l’organo sovrano del condominio è l’assemblea e non l’amministratore, che è invece obbligato a rendere all’assemblea, che può approvarli o meno, il conto preventivo e quello consuntivo e che può essere dalla stessa revocato.
Il mezzo è manifestamente infondato.
Milita invero in senso contrario alla tesi del ricorrente la copiosa e costante giurisprudenza che riconosce, in via del tutto sottintesa e scontata, la competenza del giudice ordinario e non del giudice del lavoro sulle controversie aventi ad oggetto il rapporto dell’amministrazione di condominio, nei cui confronti il lontano arresto di questa Corte (sentenza n. 1596 del 1988), che aveva affermato la competenza del giudice del lavoro sulla richiesta di pagamento del compenso da parte di un amministratore di comunione ereditaria, si pone quale precedente isolato e non seguito.
La giurisprudenza di legittimità ha invero avuto modo di precisare che perchè sia configurabile un rapporto di c.d. parasubordinazione ai sensi dell’art. 409 c.p.c., n. 3, con conseguente devoluzione della controversia alla competenza per materia del tribunale quale giudice del lavoro, deve sussistere necessariamente il requisito della coordinazione tra l’attività espletata e il conferente, da intendersi come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore (Cass. n. 5698 del 2002).
Nel caso di amministratore di condominio tale situazione non ricorre in quanto le sue attribuzioni, che sono indicate dalla legge (art. 1130 c.c.) e non dall’autonomia privata, portano a riconoscere alla sua attività completa autonomia rispetto all’ente condominio, il quale può provvedere alla sua revoca ma è privo di poteri di effettiva ingerenza e direttiva nel concreto espletamento dell’incarico. Nè può ravvisarsi tale ingerenza nel dovere generale dell’amministratore di dare esecuzione alle delibere dell’assemblea, tenuto conto delle particolari competenze della stessa, relative alla approvazione dei rendiconti ed alle gestione e manutenzione dei beni comuni, che non invade la sfera di autonomia dell’attività dell’amministratore, a cui anzi la legge riconosce un autonomo potere di azione anche contro i singoli condomini ( art. 1131, comma 1, 1133 cod. civ.; art. 63, comma 1, disp. att. stesso codice). Naturalmente l’amministratore di condominio è tenuto ad espletare l’incarico in conformità, oltre che alle disposizioni inderogabili di legge, alle istruzioni concrete che eventualmente possono provenire dall’assemblea di condominio, ma tale possibilità va tenuta distinta dal potere di coordinamento e di ingerenza che caratterizza il rapporto di parasubordinazione, che presuppone a monte un potere continuo e diffuso di intervento e intromissione. Si è cosi’ giustamente osservato che il rapporto dell’amministratore di condominio si caratterizza nella sua essenza come rappresentanza della collettività dei condomini sia nella fase di assunzione delle obbligazioni per la conservazione delle cose oggetto di proprietà comune sia all’interno della collettività condominiale (Cass. n. 3636 del 2014).
Ed invero il rapporto dell’amministratore rispetto al condominio è qualificabile in termini di contratto di mandato, le cui disposizioni sono applicabili ai sensi dell’art. 1129 c.c., comma 15, per quanto non disciplinato in modo specifico dalla predetta norma con riguardo alla sua nomina, revoca ed obblighi.
Sotto altro profilo si rileva che il requisito della coordinazione appare escluso dalla particolare natura del soggetto preponente, essendo il condominio di edifici un soggetto privo sostanzialmente di organizzazione e avente come unico fine la gestione beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, situazione che appare escludere sia qualsiasi inserimento dell’amministratore in una qualche organizzazione esterna, che la possibilità di ingerenza del preponente, nel significato sopra precisato.
Specularmente va sottolineato che la legge n. 220 del 2012 che ha riformato la disciplina del condominio, ha rafforzato i caratteri professionali dell’attività dell’amministratore condominiale, imponendo ai fini della nomina un titolo di studio e la frequentazione di un corso di formazione e di aggiornamenti annuali (art. 71 bis disp. att. c.c.), delineando nel complesso una figura professionale autonoma, dotata di una propria struttura organizzativa, costituita da uno studio, da collaboratori e da segretari, in grado di ricevere incarichi da vari enti condominiali, profili che confliggono con le situazioni di connessione e di ingerenza che si rinvengono nei rapporti di c.d. parasubordinazione.
Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibili le proprie contestazioni in ordine alle voci di compenso richieste dalla controparte, senza considerare che già con l’atto di opposizione il condominio aveva svolto contestazioni specifiche sull’attività per cui la controparte pretendeva il compenso e che soltanto in comparsa di costituzione e risposta la (OMISSIS) aveva precisato le ragioni della propria pretesa, sicchè in realtà quelle svolte in comparsa conclusionale erano la mera illustrazione di eccezioni e contestazioni già sollevate nel corso del giudizio.
Il terzo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 115 e 320 c.p.c., reitera, sotto diverso profilo, le censure verso la statuizione già investita dal motivo precedente, precisando che le questioni sollevate dal condominio erano anche di natura giuridica, per le quali non opera il principio di non contestazione, afferendo al tema se la convocazione di una assemblea straordinaria di condominio e la partecipazione alla stessa dell’amministratore rientrino o meno nell’attività ordinaria o straordinaria di quest’ultimo.
I motivi secondo e terzo, che possono trattarsi congiuntamente, sono inammissibili ed in parte infondati.
Il ricorso invero non precisa, se non in modo generico, le contestazioni sollevate nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, che sembrano ridursi alla inapplicabilità nel caso di specie, ai fini della liquidazione del compenso richiesto, della tariffa dei dottori commercialisti, e, in via subordinata, in ordine alla non compensabilità delle liquidazioni di fatture, senza precisare nemmeno, al fine di valutarne la corrispondenza, le censure svolte invece in comparsa conclusionale, che il Tribunale ha dichiarato inammissibili. In realtà dalla stessa lettura della sentenza impugnata risulta che l’eccezione in merito alla inapplicabilità delle tariffe dettate per i dottori commercialisti risulta accolta dal Giudice di pace, e confermata dal Tribunale, sicchè le altre deduzioni sollevate in comparsa di risposta, in quanto avanzate in via subordinata, correttamente non sono state esaminate. A tali rilievi merita aggiungere che il giudice di merito ha ritenuto sussistente il diritto di credito contestato in forza del fatto che la stessa assemblea condominiale, in data 11.8.2005, aveva riconosciuto all’amministratore la spettanza di un compenso aggiuntivo per i lavori straordinari, compenso il cui ammontare, in difetto di successive determinazioni, che pure la suddetta Delib. aveva previsto, è stato liquidato in via equitativa.
Il quarto motivo di ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 132 n. 4 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata di intrinseca ed insanabile contraddittorietà per avere, da un lato, affermato che non tutte le attività poste in essere dalla (OMISSIS) avevano carattere straordinario, e, dall’altro, per non avere ridotto proporzionalmente la liquidazione operata dal giudice di primo grado.
Il motivo è infondato, non ravvisandosi nella motivazione della sentenza impugnata alcuna contraddizione, una volta considerato che il Tribunale ha confermato la sentenza di primo grado e rigettato l’appello del condominio sul punto in forza del rilievo del riconoscimento da parte dell’assemblea condominiale della spettanza del compenso aggiuntivo all’amministratore, provvedendo quindi alla sua liquidazione in misura forfettaria e in via equitativa, con conseguente sensibile riduzione della richiesta formulata in sede monitoria.
Il ricorso va pertanto respinto.
Nulla sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 1° luglio 2021.