Sentenza 3647/2004
Regime di comunione legale dei coniugi – Acquisto di un bene in regime di separazione – Stipulazione di convenzione matrimoniale
I coniugi in regime patrimoniale di comunione legale, al fine di effettuare l’acquisto anche di un solo bene in regime di separazione (tale essendo l’eventuale acquisizione in comunione ordinaria, che esige un regime di separazione) sono tenuti a previamente stipulare una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario, ai sensi dell’art. 162 cod. civ., sottoponendola alla specifica pubblicità per essa prevista, non essendo al riguardo viceversa sufficiente una più o meno esplicita indicazione contenuta nell’atto di acquisto, posto che questo non viene sottoposto alla pubblicità delle convenzioni matrimoniali, le quali solo conferiscono certezza in ordine al tipo di regime (patrimoniale) cui sono sottoposti gli atti stipulati dai coniugi.
Rapporti patrimoniali tra coniugi – Comunione legale – Atti compiuti senza il necessario consenso – Annullabilità
In regime patrimoniale di comunione legale, il disposto di cui all’art. 184 cod. civ. (secondo cui “gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’art. 2683”) presuppone l’effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi, pertanto non si applica nel caso in cui, come nella specie, tutti i contraenti siano a conoscenza della comunione dei beni tra i coniugi e questi ultimi figurino entrambi nel contratto come venditori, atteso che in tal caso il mancato consenso di uno dei due impedisce il sorgere di una valida obbligazione neanche a carico dell’altro.
Litisconsorzio necessario – In genere
Ai fini della valutazione dell’integrità del contraddittorio deve aversi riguardo esclusivamente alla prospettazione dell’attore, e non anche all’esito della controversia.(Nel fare applicazione del suindicato principio, la S.C. ha ritenuto, con riferimento ad un contratto preliminare di compravendita di bene immobile, non sussistere la violazione del principio del contraddittorio lamentata in ragione dell’evocazione in giudizio da parte dei promissari acquirenti solamente del promittente venditore, e non anche del di lui coniuge, pur versando costoro in regime patrimoniale di comunione legale, affermando non incidere nel caso sull’integrità del contraddittorio l’eventuale declaratoria di invalidità del contratto ai sensi dell’art. 184 cod. civ., avendo gli attori dedotto in giudizio esclusivamente il rapporto intercorrente con il coniuge disponente, “facendo valere solo le obbligazioni che, a loro avviso, costui aveva validamente assunto nei loro confronti”).
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 24-2-2004, n. 3647 (CED Cassazione 2004)
Art. 215 cc (Separazione dei beni) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 17.9.1986 Ma. Ra., Li. Ot., Pi. Au., An. Pe. e Ba. Pe. convennero davanti al Tribunale di Bergamo Da. Mo. chiedendo che fosse accertata l’autenticità della sottoscrizione apposta dal predetto in calce alla scrittura 7.2.1986 con la quale lo stesso aveva trasferito in proprietà agli attori l’immobile sito in Ma., via Da. Al. n. 20, insistente sul mappale (…) di detto comune, e si era obbligato a trasferire ai medesimi il terreno, di proprietà di terzi, identificato ai mappali nn. (…) e (…), della superficie di mq. 1440, e che fosse conseguentemente dichiarato l’avvenuto trasferimento del primo immobile e l’obbligo di trasferire il secondo, ovvero in subordine, che fosse pronunciata sentenza costitutiva ex art. 2932 c. c. quanto al primo e, in caso di mancato trasferimento in loro favore di mappali (…) e (…), che fosse disposto la riduzione del corrispettivo stabilito nel contratto dedotto in causa, con condanna di Da. Mo. al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento.
Gli attori, a chiarimento della domanda, precisarono quanto segue: che era stata fissata la data del 30.4.1986 per la sottoscrizione del rogito, successivamente procrastinata al 31.5.1986; che nella menzionata scrittura era stato pattuito che il convenuto versasse agli attori a conguaglio la somma di £ 60 milioni e che gli attori avrebbero ceduto al convenuto la loro quota di partecipazione nella società P.A. Società Agricola Fo. To. pari al 40% del capitale sociale; che con telegramma del 28.5.1986 il convenuto aveva comunicato che non si sarebbe presentato nello studio del notaio perché il preliminare non era stato sottoscritto dalla propria moglie, la quale non intendeva farlo, sicché detto contratto era inesistente.
Da. Mo., costituitosi, chiese il rigetto di tutte le domande, e in riconvenzionale chiese la risoluzione del contratto e la condanna degli attori al risarcimento dei danni, deducendo: che il preliminare era inesistente perché non sottoscritto dalla propria moglie, Ma. Gi., la quale era indicata come parte venditrice; che il termine essenziale non era stato validamente prorogato perché tale proroga non era stata sottoscritta da Pi. Au., né dalla propria moglie; che il consenso di quest’ultima era necessario per essere ella comproprietaria ex art. 177 c. c. ; che in mappali in questione erano stati erroneamente indicati come (…) e (…) anziché (…) e (…).
All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Bergamo, accertò l’autenticità della sottoscrizione di Da. Mo. sulla scrittura dedotta in causa, dichiarò che il predetto aveva validamente ceduto agli attori la proprietà dell’immobile sito in Ma., via Da. Al. n. 20, e conseguentemente lo condannò all’immediato rilascio; rigettò ogni altra domanda degli attori e la riconvenzionale, compensando le spese tra le parti.
La Corte d’Appello di Brescia, all’esito del giudizio sull’impugnazione proposta da tutte le parti in causa, in parziale riforma della sentenza del tribunale, dichiarò la nullità della scrittura stipulata tra le parti compensando tra queste le spese del giudizio.
A sostengo della decisione la Corte territoriale osservò:
– che era infondata l’eccezione di nullità del giudizio per lesione del contradditorio in relazione alla mancata citazione di Ma. Gi. perché gli attori non avevano dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo, bensì esclusivamente il rapporto intercorrente tra loro e Da. Mo., né ai fini di stabilire la ricorrenza del litisconsorzio poteva tenersi conto dell’esito della controversia, dovendosi valutare la situazione in base alla prospettazione della domanda;
– era da condividere l’opinione del tribunale che aveva ritenuto l’errore materiale nella indicazione dei mappali, perché quelli n. (…) e (…) erano effettivamente di Da. Mo. e della moglie e corrispondevano – a differenza degli altri – con la superficie indicata;
– non poteva condividersi la tesi degli attori secondo cui in ordine alla cessione dei fondi di cui ai citati mappali doveva applicarsi la disposizione dell’art. 184 c. c., perché detta disposizione concerne esclusivamente i beni acquisiti alla comunione tra i coniugi ex art. 177 c. c., mentre nella specie si versava in ipotesi di comproprietà ordinaria, per avere i coniugi acquistato i fondi in comunione al 50% ciascuno;
– che, conseguentemente, al di fuori dei casi in cui opera il principio di cui all’art. 184 c. c., il negozio traslativo di immobile sottoscritto da chi sia titolare di una sola quota indivisa della proprietà dello stesso, non è semplicemente annullabile, bensì inesistente;
– che all’atto della stipulazione tutte le parti erano consapevoli che il bene era comune a Ma. Gi.;
– che – contrariamente a quanto affermato dal tribunale – risultava palese che le parti avevano inteso stipulare un contratto non suscettibile di esecuzione parziale, sicché la inesistenza del negozio relativo ai fondi comuni a Da. Mo. e alla di lui moglie, rendeva nullo l’intero contratto. Tale convincimento della Corte poggiava sui seguenti rilievi: le varie clausole contrattuali erano funzionalmente e causalmente collegate tra loro; il contratto era intestato anche a Ma. Gi.; i promissari acquirenti avevano convocato davanti al notaio anche la predetta; la prestazione a carico degli acquirenti consisteva nella cessione di un certo numero di azioni, e non era possibile determinare la riduzione di queste in relazione ad un inadempimento parziale; mancava qualsiasi elemento per interpretare il negozio secondo la regola giuridica di cui all’art. 1367 c. c. .
Per la cassazione della menzionata sentenza hanno proposto ricorso affidato a cinque motivi Ma. Ra., Lu. Ot., Pi. Au., An. e Ba. Pe.; resiste Da. Mo. con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato ribadendo la eccepita lesione del contraddittorio. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Benché proposto come condizionato, il ricorso incidentale è pregiudiziale perché denuncia la non integrità del contraddittorio che, se sussistente, dovrebbe essere rilevata d’ufficio.
Il ricorso incidentale è infondato.
La Corte d’Appello ha esattamente rilevato che per valutare la integrità del contraddittorio deve aversi riguardo esclusivamente alla prospettazione dell’attore e non all’esito della controversia. Nella specie gli attori hanno evocato in giudizio il solo Da. Mo. perché hanno dedotto esclusivamente il rapporto intercorso tra loro e il predetto, facendo valere solo le obbligazioni che, a loro avviso, costui aveva validamente assunto nei loro confronti. Ciò posto non incide sulla integrità del contradditorio l’eventuale decisione di merito che abbia riconosciuto la invalidità dell’atto per la mancata partecipazione del coniuge.
Passando al ricorso principale, con il primo motivo i ricorrenti denunciano insufficiente motivazione sul punto in cui la Corte territoriale ha ritenuto che i terreni di cui ai mappali (…) e (…) fossero oggetto di comunione ordinaria tra i coniugi Mo., ed ha invece escluso che gli stessi fossero caduti in regime di comunione legale.
Assumono i ricorrenti che l’unico elemento addotto a sostegno della decisione è costituito dal tenore letterale dell’atto di compravendita, nel quale è stata usata l’espressione “… vendono … ai signori coniugi Da. Mo. e Ma. Gi., che accettano e comperano pro indiviso ed in parti fra di essi uguali …”, laddove la menzione del rapporto di coniugio che legava gli acquirenti ben poteva costituire l’esplicita indicazione del regime di comunione legale tra i predetti, e la conseguente acquisizione del bene alla comunione tra coniugi, non potendosi affermare che l’espressione usata sia di una pregnanza tale da dover essere interpretata univocamente quale manifestazione di una volontà derogatoria dell’ordinario regime di comunione, e non essendo significativo l’uso del termine “quota di comproprietà” per descrivere l’acquisto, in quanto il codice civile utilizza la medesima espressione anche in numerose disposizioni concernenti la comunione legale.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 162 c. c., assumendo che vi sarebbe un ulteriore argomento per escludere che la generica espressione usata nel rogito di acquisto dei mappali (…) e (…) potesse significare l’esclusione del regime della comunione legale, perché lo strumento legislativamente previsto a tale fine è la convenzione matrimoniale, come desumibile dall’art. 159 c. c., la cui funzione non è limitata esclusivamente a dettare la disciplina generale ed astratta dei rapporti patrimoniali tra coniugi alternativa a quella della comunione legale, ma può avere anche un ambito più limitato relativamente anche ad uno specifico bene. Tale assunto troverebbe conferma, secondo i ricorrenti, anche nelle disposizioni degli artt. 210, 191, comma secondo e 2647 c. c., che impongono la forma dell’atto pubblico per le convenzioni matrimoniali e la relativa trascrizione nei registri immobiliari, alla stregua della interpretazione giurisprudenziale secondo cui il dettato dell’art. 2647 c. c. si riferisce esclusivamente alle convenzioni mediante le quali si escludono beni dalla comunione legale, stipulate ai sensi dell’art. 210 c. c., solo parzialmente derogative del regime di comunione, e non anche alle convenzioni con le quali i coniugi optano per un regime alternativo a quello legale. Osservano i ricorrenti che la dichiarazione dei coniugi Mo. di acquistare i terreni siti in Comune di Ma. “pro indiviso ed in parti uguali” contenuta nell’atto di compravendita di tali terreni, non può validamente sostituirsi ad un contratto solenne qual è la convenzione matrimoniale, né rispetta le formalità pubblicitarie legislativamente previste ai fini dell’opponibilità della convenzione ai terzi.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 184 c. c. perché – dovendosi affermare l’appartenenza dei beni in discorso alla comunione legale – l’intestazione di essi ad entrambi i coniugi nei registri immobiliari, non sarebbe motivo sufficiente per escludere l’applicabilità dell’art. 184 c. c. . Assumono in proposito i ricorrenti che la giurisprudenza è nel senso di escludere che l’applicabilità dell’art. 184 c. c. sia limitata al caso in cui il bene sia intestato ad uno solo dei coniugi – come sostiene la dottrina – e, conseguentemente, la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare il decorso del termine annuale di prescrizione entro il quale Ma. Gi. avrebbe potuto agire giudizialmente per l’annullamento del contratto.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 1480 c. c. . Lamentano i predetti che la Corte territoriale ha concluso nel senso della inesistenza del contratto traslativo dei terreni perché ceduti da uno soltanto dei comproprietari, mentre in realtà l’atto di disposizione compiuto da uno o da alcuni soltanto dei comproprietari è inefficace rispetto alle quote di coloro che non hanno prestato il consenso, ma obbliga il disponente a procurarne l’acquisto alla sua controparte, sicché non può escludersi che il contratto possa valere come vendita della propria quota o di cosa parzialmente altrui, ai sensi della citata disposizione.
Assumono, peraltro, i ricorrenti, che la predisposizione dell’atto di vendita anche a nome della moglie del Mo. e la mancata sottoscrizione della medesima, determina l’inefficacia del contratto per l’intera res solo ove ciò sia fatto valere dal promissorio acquirente che abbia interesse all’acquisto dell’intero immobile, ben potendo il predetto chiedere l’esecuzione per la sola quota del comproprietario stipulante senza che quest’ultimo possa opporsi, non avendo alcun interesse apprezzabile a che il bene sia venduto nell’intero.
I primi quattro motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente perché intimamente connessi.
I motivi suddetti sono infondati.
I principi giuridici affermati dai ricorrenti nei primi due motivi sono sicuramente corretti, ma – per quanto si dirà – non elidono le ragioni determinanti il rigetto delle loro domande, anche se la motivazione della sentenza impugnata va in certa misura rettificata.
Osserva infatti la Corte che non può condividersi la tesi del giudice d’appello secondo cui i terreni di cui ai mappali (…) e (…) sarebbe in comunione ordinaria tra i coniugi Mo.-Gi. perché ciò si desumerebbe dalle espressioni del rogito in cui i predetti vengono indicati come acquirenti in parti uguali tra loro. Invero, essendo i coniugi all’epoca in regime di comunione legale, per effettuare un acquisto in regime di separazione (tale essendo la eventuale acquisizione in comunione ordinaria, che esige ovviamente un regime di separazione) questi avrebbero dovuto previamente stipulare una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario, anche per il solo bene in questione, ai sensi dell’art. 162 c. c. sottoponendola alla specifica pubblicità prevista. In assenza di detta convenzione non può ritenersi ammissibile l’acquisizione di beni in regime di separazione, non essendo sufficiente a tal fine una più o meno esplicita indicazione contenuta nell’atto stesso, posto che questo non viene sottoposto alla pubblicità delle convenzioni matrimoniali, che conferiscono certezza al tipo di regime cui sono sottoposti gli atti stipulati dai coniugi.
Deve quindi ritenersi esatto il rilievo per cui i fondi in discorso appartengono alla comunione legale dei coniugi.
Non è tuttavia fondata la pretesa dei ricorrenti di veder affermata la validità del contratto di compravendita per essere decorso il termine annuale concesso al coniuge dall’art. 184 c. c. per far annullare l’atto stipulato senza il suo consenso.
Come rileva la Corte territoriale (pag. 26) le parti avevano predisposto un contratto in cui figuravano in qualità di venditori sia Da. Mo. che la di lui moglie Ma. Gi., senza tuttavia mai ottenere la sottoscrizione della predetta, sicché non può dirsi che l’odierno resistente avesse disposto autonomamente di un bene della comunione, perché è pacifico che tutte le parti erano consapevoli della comunione vigente sui beni e la comune volontà di tutti era orientata alla stipula di un contratto in cui entrambi i titolari del bene avrebbero dovuto prestare il consenso alla vendita, come è dimostrato anche dal fatto che i promissari acquirenti invitarono alla stipula davanti al notaio entrambe le parti, ricevendo da Da. Mo. la comunicazione che neppure lui si sarebbe presentato stante il rifiuto della propria moglie.
Deve pertanto escludersi l’applicabilità al caso di specie del disposto dell’art. 184 c. c. il quale presuppone la effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi, situazione non certamente equiparabile a quella di specie, in cui la mancata prestazione del consenso di uno dei coniugi non ha mai consentito il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell’altro.
Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 1419 c. c. e dell’art. 112 c. p.c. per avere la Corte territoriale dichiarato la nullità dell’intero contratto, ritenendo – sul presupposto della inesistenza della pattuizione avente ad oggetto terreni – che le parti non avessero inteso concludere un contratto suscettibile di esecuzione parziale. Assumono i ricorrenti che i giudici d’appello, ai fini di cui all’art. 1419 c. c., hanno dato rilevanza ad alcuni pretesi indici rilevatori, senza considerare che l’effetto estensivo della nullità di singole clausole dell’intero contratto non può essere rilevato d’ufficio, perché il principio di conservazione del negozio costituisce la regola e, quindi, è onere della parte dimostrare i fatti costitutivi della estensione della nullità. In assenza dell’eccezione la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione.
Anche il quinto motivo è infondato.
Va innanzitutto escluso il preteso vizio di ultrapetizione, perché Da. Mo., appellando la sentenza del tribunale che aveva ritenuto la scindibilità dei contratti riconoscendo validità a quello concernente la vendita dell’appartamento, ha dedotto, tra l’altro, che il primo giudice aveva errato nel non considerare il carattere unitario del negozio, comprovato, a suo dire, dal fatto che Ma. Gi. avrebbe dovuto diventare cointestataria dei titoli azionari costituenti il corrispettivo dell’intero contratto (punto 2 pag. 15 della sentenza impugnata).
Quanto alla censura concernente la valutazione della inscindibilità dei contratti operata dalla Corte d’Appello, osserva il collegio che detta valutazione è frutto della interpretazione della volontà delle parti cui il giudice d’appello è pervenuto attraverso argomentazioni logiche e pienamente rispettose dei parametri ermeneutici legali. E’ sufficiente in proposito rammentare gli argomenti della unicità del corrispettivo, della singolarità di esso (pacchetto azionario da intestare ad entrambi i coniugi), della mancanza di un criterio per stabilire l’entità della riduzione in caso di esecuzione parziale, e della impossibilità di stabilirla in sede giudiziale proprio per la particolarità di detto corrispettivo.
Deve quindi concludersi per il rigetto del ricorso.
Si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 giugno 2003.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2004