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Cassazione Civile 36480/2021 – Condominio negli edifici – Occupazione stabile di parte della soffitta condominiale mediante chiusura tramite tamponamento

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Sentenza 36480/2021

Condominio negli edifici – Occupazione stabile di parte della soffitta condominiale mediante chiusura tramite tamponamento

L’occupazione stabile di parte della soffitta condominiale, realizzata mediante la sua chiusura tramite tamponamento ed implicante la definitiva sottrazione di tale porzione ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri condomini, è illegittima, determinandone, in violazione dell’art. 1102 c.c., l’esclusione all’uso ed al godimento di costoro ed un’alterazione della destinazione del bene condominiale, né rilevando, in senso contrario, che la residua parte, non oggetto di occupazione per uso esclusivo, rimanga a disposizione della collettività condominiale.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 24-11-2021, n. 36480   (CED Cassazione 2021)

Art. 1120 cc (Innovazioni) – Giurisprudenza

 

 

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione del 5 novembre 2007 il sig. (OMISSIS), nella qualità di proprietario di un appartamento ubicato al secondo piano del fabbricato sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Belluno, il sig. (OMISSIS), quale proprietario del piano terra e del primo piano dello stesso fabbricato, per ottenere la rimozione di alcune opere (relative all’installazione di tubi di rame all’esterno dei muri perimetrali per la conduzione del gas con gli inerenti contatori e di alcuni sfiati di una colonna di scarico nelle mura esterne del fabbricato), dal medesimo eseguite sulla proprietà comune senza l’autorizzazione di esso attore ed in asserita violazione della disciplina sull’uso della cosa comune.

Si costituiva in giudizio il predetto convenuto, il quale, in primo luogo, deduceva che le anzidette opere erano state realizzate con il consenso dell’attore ed erano dirette a migliorare l’utilizzo della cosa comune senza alterarne la destinazione o comportare l’impedimento del pari uso della cosa comune. In via subordinata e per il caso di rilevata fondatezza della domanda attorea, instava per la costituzione coattiva della servitù per il passaggio delle tubature per il gas e per lo scarico fognario delle sue unità abitative e gravante sulle mura perimetrali come già in essere, proponendo anche domanda riconvenzionale per l’ottenimento della rimozione delle opere eseguite dal (OMISSIS) con le quali aveva chiuso, tramite un tamponamento, una parte della soffitta comune per uso esclusivo, del distacco dello scaldabagno dalla canna fumaria, del ripristino dell’intonaco sulla facciata est del fabbricato, della rimozione del pozzo nero con tubature situato nella superficie scoperta, oltre al risarcimento dei danni per gli interventi compiuti su detta facciata, tra cui la costruzione di un’autorimessa interrata.

Con sentenza n. 389/2014, l’aclao Tribunale accoglieva parzialmente la domanda dell’attore, condannando il convenuto alla rimozione dello sfiato collocato in prossimità della finestra collocata al secondo piano, nel mentre dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale del (OMISSIS) proposta con riferimento alla costruzione dell’autorimessa e rigettava tutte le ulteriori domande dallo stesso formulate.

2. Decidendo sull’appello avanzato dal (OMISSIS) e nella costituzione dell’appellato (il quale formulava, a sua volta, appello incidentale), la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1730/2016 (pubblicata il 26 luglio 2016), rigettava il gravame principale ed, in parziale riforma dell’impugnata decisione, accoglieva quello incidentale, condannando il (OMISSIS) alla rimozione dell’opera eseguita al piano soffitta del fabbricato in questione con rimozione del tamponamento e sgombero dell’area occupata destinata all’uso di tutti i compartecipanti, compensando le spese del grado.

A fondamento dell’adottata pronuncia la Corte veneta rilevava l’infondatezza di tutti i motivi del gravame principale mentre ravvisava la sussistenza delle condizioni di merito per l’accoglimento di quello incidentale in relazione all’oggetto appena indicato. In particolare, il giudice di secondo grado evidenziava che il riferimento al pregiudizio estetico dell’installazione dei tubi del gas e dei contatori lungo le pareti esterne del fabbricato non era stato dedotto specificamente e tempestivamente con l’originario atto di citazione, considerando, altresì, che le opere, ancorchè realizzate su parte comune, non alteravano la sua destinazione nè comportavano pericoli per la stabilità del fabbricato. Inoltre, lo stesso giudice di appello osservava, quanto all’ulteriore motivo riguardante l’invocata rimozione della colonna di scarico e di ripristino del cunicolo che collegava la canna fumaria esistente con l’esterno dell’edificio, che il relativo intervento del (OMISSIS) non aveva arrecato alcun pregiudizio rispetto alla situazione preesistente.

Di contro il giudice di seconde cure riteneva che l’opera eseguita dal (OMISSIS) al piano soffitta del fabbricato attraverso il denunciato tamponamento doveva considerarsi illegittima siccome essa aveva comportato l’esclusione di tale porzione all’uso e al godimento degli altri condomini, in violazione dell’art. 1102 c.c..

3. Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il (OMISSIS), resistito con controricorso dal (OMISSIS). I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 163, 112 e 115 c.p.c., nonchè dell’art. 1122 c.c., sul presupposto che il pregiudizio addotto con riferimento all’installazione dei tubi di rame e dei contatori del gas lungo le pareti esterne del fabbricato si sarebbe dovuto considerare specificamente dedotto, così come sussistente era il pregiudizio al decoro architettonico prospettato, ragion per cui doveva ritenersi che la Corte di appello non aveva correttamente identificato i termini dell’oggetto della domanda sul punto, imponendo, altresì, ad esso ricorrente un obbligo di previsione di una soluzione tecnica alternativa ad opere di natura illecita che erano da considerarsi comuni con riferimento a quanto prescritto dall’indicato art. 1122 c.c..

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – sempre con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 163, 183, 112 e 115 c.p.c., oltre che degli artt. 1120 e 1122 c.c., per non aver la Corte di appello esattamente tenuto conto della portata delle domande proposte fin dal primo grado da esso (OMISSIS) nonchè degli esiti delle prove acquisite, con particolare riferimento alle risultanze della c.t.u., dalle quali si evinceva che la colonna di scarico e il cunicolo collegante la canna fumaria esistente con l’esterno dell’edificio, così come realizzati dal (OMISSIS), avevano in effetti comportato un pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato stesso.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., asserendo che la Corte di appello, nell’accogliere l’avverso gravame incidentale, non aveva considerato che l’occupazione della soffitta da esso (OMISSIS) posta in essere con il tamponamento era solo parziale, trascurando che la restante parte era rimasta comunque idonea a soddisfare anche le potenziali analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione.

4. Con il quarto ed ultimo mezzo il ricorrente ha denunciato – ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c., deducendo l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva respinto le sue istanze istruttorie, quale appellante principale, dirette all’ottenimento del rigetto dell’appello incidentale, in quanto tese ad accertare il suo avvenuto acquisto per usucapione della porzione occupata della soffitta, sul presupposto della ravvisata inammissibilità di dette istanze poichè l’eccezione di usucapione non era stata riproposta in appello.

5. Rileva il collegio che, in via pregiudiziale, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente per l’asserito difetto dei requisiti di specificità, completezza e pertinenze previsti dall’art. 366 c.p.c., poichè, al contrario, il ricorso risponde all’osservanza di tali requisiti, con particolare riferimento alla necessaria sommaria esposizione dei fatti di causa e alla idonea indicazione, con le relative argomentazioni giuridiche di supporto, dei proposti motivi riferiti compiutamente a singole violazioni ricondotte a vizi contemplati dall’art. 360 c.p.c., comma 1.

6. Ciò chiarito, il primo motivo va ritenuto infondato e, quindi, deve essere rigettato.

Osserva, innanzitutto, il collegio che dal contenuto del ricorso non emerge (nè risulta trascritto il relativo passaggio) che l’odierno ricorrente avesse chiesto la rimozione delle opere del convenuto considerate illegittime anche per aver alterato il decoro architettonico del fabbricato condominiale, avendo dedotto soltanto che la collocazione dei tubi e dei contatori del gas lungo i muri perimetrali violava l’art. 1122 c.c..

Lo stesso ricorrente afferma (v. pag. 7 del ricorso) di aver allegato alla domanda introduttiva iniziale alcuni estratti di sentenze di questa Corte relative al danno al suddetto decoro provocato da opere realizzate da un condomino, ma non di aver specificamente dedotto questo aspetto nell’ambito complessivo del “petitum” individuato con l’atto di citazione.

E tanto è confermato anche dall’esame diretto del contenuto di tale atto (che può essere compiuto in questa sede, vertendosi in tema di vizio processuale), dal quale si evince, per l’appunto, che la domanda era stata basata esclusivamente sulla prospettata illegittimità delle suddette opere realizzate dal (OMISSIS) lungo i muri perimetrali esterni, alterandone la destinazione ed impedendo agli altri condomini di farne parimenti uso, ma senza porre alcun riferimento all’eventuale produzione di un danno al decoro architettonico del fabbricato condominiale.

Pertanto, il pregiudizio al menzionato decoro non era stato dedotto specificamente a supporto della domanda di cui all’atto di citazione ed è per questa ragione che la Corte di appello ha, nell’impugnata sentenza, correttamente ritenuto che questo aspetto non fosse stato tempestivamente e, perciò, ammissibilmente proposto dall’odierno ricorrente (e, quindi, non facesse parte del “thema decidendum”).

7. Anche la seconda censura è priva di fondamento e va respinta.

Infatti, nell’esaminare la complessiva domanda del (OMISSIS), la Corte veneta, nel valutare le risultanze della c.t.u., ha – con motivazione del tutto adeguata confermato la decisione del primo giudice che, nel rilevare che le opere del (OMISSIS) erano risultate insistenti su parti comuni dell’edificio, tuttavia non avrebbero potuto considerarsi, per dimensioni e consistenza, tali da impedire il contemporaneo utilizzo di dette parti da parte dello stesso attuale ricorrente ed idonee ad alterare in concreto la destinazione delle parti interessate e ad incidere sulla stabilità dell’edificio. Inoltre, sempre sulla scorta degli esiti della c.t.u., la stessa Corte di appello ha riferito che malgrado, in via potenziale, la realizzazione di tali opere potesse valutarsi non conforme a canoni estetici, le altre ragioni debitamente esposte – tali da soddisfare le esigenze del (OMISSIS) – dovevano considerarsi prevalenti, posto che, in considerazione delle caratteristiche dell’immobile (che presentava muratura in pietra), non era tecnicamente consigliabile (e, quindi, rispondente a criteri di piena compatibilità) inserire l’impianto sottotraccia.

In ogni caso, sulla scorta della chiarita legittimità della collocazione della colonna di scarico sui muri perimetrali dell’edificio condominiale, non avendo comportato l’alterazione dell’utilizzazione dei beni comuni (come accertato adeguatamente in fatto nel caso di specie), la Corte di appello ha, anche sulla base delle emergenze della c.t.u., rilevato che il sig. (OMISSIS) non aveva allegato alcuno specifico pregiudizio. Quanto, poi, all’aspetto relativo al ripristino del cunicolo di collegamento della canna fumaria, la stessa Corte territoriale, con valutazione di merito insindacabile in questa sede, ha ugualmente rilevato l’insussistenza di qualsiasi pregiudizio in virtù della sua irrilevanza rispetto alla situazione preesistente e alla modestia della relativa opera.

8. Anche il terzo motivo non coglie nel segno e deve essere rigettato.

Ritiene, infatti, il collegio che il giudice di appello – nell’accogliere, con l’impugnata sentenza, il gravame incidentale del (OMISSIS) – si è conformata alla univoca giurisprudenza di questa Corte rilevando, nel valorizzare anche gli esiti della c.t.u., che la chiusura tramite tamponamento, da parte dello (OMISSIS), di una parte della soffitta condominiale rendendola di uso esclusivo (l’unica, peraltro, con altezza maggiore, sotto la linea di colmo, rispetto alla parti residue che degradavano sotto le falde), aveva comportato univocamente un’innovazione vietata (realizzata con un’opera permanente e tale da occupare stabilmente una parte comune), alterando la destinazione di un bene condominiale ed impedendo agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Infatti, in tema di condominio, la sostituzione integrale o parziale del tetto o la sua permanente occupazione in parte con la sovrapposizione di altro manufatto od ancora l’incorporazione parziale di una soffitta condominiale per l’esercizio dell’uso esclusivo sulla relativa porzione sono idonee ad imprimere al nuovo o modificato manufatto, per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi, anche una destinazione ad uso esclusivo dell’autore dell’opera, così conseguendone l’alterazione della destinazione della cosa comune.

Tali interventi innovativi o modificativi sono da ritenersi illeciti non potendo essere invocato l’art. 1102 c.c., poichè essi non possono considerarsi finalizzati al migliore godimento della cosa comune, consistendo, invece, nell’illegittima appropriazione di una parte di questa che viene definitivamente sottratta ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri, senza che assuma al riguardo alcun rilievo il fatto che la residua parte non oggetto di occupazione per uso esclusivo rimanga a disposizione della collettività condominiale.

è consolidata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione del principio in base al quale, in tema di uso della cosa comune secondo i criteri stabiliti nell’art. 1102 c.c., comma 1 lo sfruttamento esclusivo del bene comune (anche se solo parzialmente) da parte del singolo che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri non è riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intesa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

In altri termini, l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi del citato art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto, configurando, pertanto, un abuso la condotta del condomino consistente nella stabile ed integrale o parziale occupazione di un vano o di un’area comune dell’edificio condominiale (cfr., tra le tante, Cass. n. 17208/2008 e Cass. n. 15705/2017).

9. Il quarto ed ultimo motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo state con esso indicate le circostanze dedotte a sostegno della richiesta di ammissione della prova orale (cfr., ex multis, Cass. n. 19985/2017 e Cass. n. 8204/2018), la quale, oltretutto, non avrebbe potuto aver seguito perchè addotta per riscontrare l’eventuale fondatezza di un’eccezione di usucapione, che, tuttavia, non era stata come verificato dal giudice di secondo grado – riproposta in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (così dovendosi ritenere implicitamente rinunciata), non costituendo, perciò, più facente parte dell’oggetto del contendere.

10. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine va dato atto della sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 5.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 1° luglio 2021.