Ordinanza 36636/2021
Remissione del debito
La remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco e un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo se è privo di alcun’altra giustificazione razionale; ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio possa fondarsi su altra causa, diversa dalla volontà della società di rinunciare al credito.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 25-11-2021, n. 36636 (CED Cassazione 2021)
Art. 1236 cc (Remissione del debito) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 31/7/2018 la Corte d’Appello di Firenze, per quanto ancora d’interesse in questa sede in parziale accoglimento del gravame interposto in riassunzione (all’esito della cancellazione dal registro delle imprese della Cooperativa (OMISSIS)) in proprio da parte dei soci liquidatori sigg. (OMISSIS) ed altri (dichiarato viceversa il difetto di legittimazione attiva del curatore speciale nominato ex art. 78 c.p.c., nella ravvisata inapplicabilità in via analogica degli artt. 528 c.c. e segg., in tema di eredità giacente) e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Livorno n. 56/2010, ha rideterminato in aumento la somma liquidata dal giudice di prime cure a favore dei medesimi a titolo di risarcimento del danno da inadempimento del sig. (OMISSIS) dello stipulato contratto di prestazione d’opera intellettuale, per avere, nella sua qualità di direttore dei lavori relativi ai cantieri di (OMISSIS), commissionati dalla Cooperativa (OMISSIS) alla società (OMISSIS) s.r.l., versato alla società appaltatrice somme non dovute, con “emissione… di certificati di pagamento che attestavano come realizzate opere nei tre cantieri oggetto di causa ((OMISSIS)) in realtà non eseguite”, e dunque “superiori rispetto alle opere cui facevano riferimento”.
Ha in particolare liquidato anche “una serie di opere extracontratto – asseritamente eseguite dalla società appaltatrice ed allegate dal convenuto – diverse ed ulteriori rispetto a quelle ricomprese nei certificati di pagamento de quibus” non riconosciute dovute dal giudice di prime cure, (diversamente dal giudice di prime cure) ritenendo non scomputabili le medesime dall’importo risarcitorio dovuto, in quanto non risultata provata la relativa autorizzazione da parte della committente.
Ha confermato per il resto le statuizioni della sentenza di 1 grado, che ha (tra l’altro) accolto la “domanda di garanzia svolta dal convenuto arch. (OMISSIS) avverso la terza chiamata Toro Assicurazioni”, citata in sede di gravame per mera litis denuntiatio.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
Resistono con congiunto controricorso i soggetti indicati in epigrafe che hanno presentato anche memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 10motivo il ricorrente denunzia «violazione e falsa applicazione» dell’art. 342 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 10co. n. 3, c.p.c.
Si duole che la corte di merito non abbia ritenuto generiche le “critiche all’operato del CTU” mosse da controparte con l’atto d’appello.
Con il 20motivo denunzia «violazione e falsa applicazione» degli artt. 2945 c.c., 110 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuta non rinunziata la pretesa creditoria all’esito della cancellazione volontaria della Cooperativa dal registro delle imprese.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati nei termini di seguito indicati.
Con riferimento al 1 motivo va osservato che, diversamente da quanto dall’odierno ricorrente lamentato, già alla stregua della riproduzione (invero meramente indiretta) dell’atto di appello dal medesimo effettuata (v. in particolare pag. 17 del ricorso) si evince un contenuto che (come osservato dalla stessa sentenza impugnata nell’evocare Cass., Sez. Un., n. 27199 del 2017, pur nella specie applicandosi ratione temporis il testo vecchio dell’art. 342 c.p.c.) risulta invero rispettoso dell’onere di specificità, avuto in particolare riguardo alle critiche mosse alla valutazione fatta dal primo giudice delle risultanze dell’espletata C.Testo Unico (“Dopo aver affermato che “Il Tribunale ha errato sia nel disporre un supplemento di perizia inutile e non pertinente alla causa, sia nell’aderire alle conclusioni finali del CTU” la Cooperativa circoscrive le proprie doglianze esclusivamente alle conclusioni raggiunte dall’ing. (OMISSIS) all’interno della CTU integrativa, senza altro specificare. Infatti, con l’atto di citazione in appello critica il Tribunale per aver disposto il supplemento di perizia e di conseguenza ampliato il tema d’indagine, che a suo avviso avrebbe dovuto comprendere esclusivamente i lavori contabilizzati e certificati dall’arch. (OMISSIS) sulla base dei SAL in quanto le opere extra non erano state autorizzate dal direttore dei lavori, quindi non pertinenti alla causa. La Cooperativa critica inoltre il Tribunale laddove ha aderto alle conclusioni del CTU, dal momento che ritiene detti lavori extra di difficile accertamento e le indagini geofisiche fatte effettuare dal CTU… dei meri sondaggi; il CTU avrebbe solo ipotizzato dette opere, che non figuravano nei SAL e che la ditta appaltatrice non aveva mai reclamato, nè fatto oggetto di apposite riserve, fino alla rottura del rapporto contrattuale”).
Quanto al 2 motivo va posto in rilievo che come questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha avuto modo di porre in rilievo, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtu’ del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, cio’ che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una piu’ rapida conclusione del procedimento estintivo (v. Cass., Sez. Un., 12/3/2013, n. 6070).
Si è al riguardo altresì precisato che l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (v. Cass., 22/5/2020, n. 9464).
Si è ulteriormente sottolineato che la remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco e un comportamento tacito; ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio possa fondarsi su altra causa, diversa dalla volontà della società di rinunciare al credito (cfr. Cass., 14/12/2020, n. 28439).
Orbene, nella specie non ricorre invero l’ipotesi dalle Sezioni Unite indicata come mancanza di “un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”, attesa, da un canto, la previsione, anteriormente alla liquidazione, di un meccanismo deponente per la persistenza della legittimazione della società estinta, seppure per il tramite di un curatore; e, per altro verso, avendo i liquidatori interposto gravame, a tale stregua mantenendo un comportamento deponente invero non già per il difetto bensì per la sussistenza dell'”attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”.
Con il 3 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1223, 2697 c.c., art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia determinato il quantum risarcitorio dovuto senza adeguatamente valutare il comportamento della Cooperativa, che non ha mai contestato la necessità delle opere extracontratto.
Il motivo è inammissibile.
Esso risulta invero formulato in violazione del requisito a pena d’inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (cfr., Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701), non essendo indicato e a fortiori debitamente riportato nel ricorso l’atto deponente per la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., sotto il profilo della non contestazione, cioè quello che avrebbe contenuto la pretesa non contestazione.
L’illustrazione del motivo, per altro verso si risolve in realtà (in mancanza di argomento alcuno a sostegno della denunziata violazione dell’art. 2697 c.c.), nella mera sollecitazione ad una inammissibile rivalutazione delle emergenze istruttorie, in contrasto con il principio consolidato in base al quale la vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, consente una doglianza sostanziantesi nella denunzia dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti e inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie volta a censurare l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Emerge evidente, a tale stregua, come l’odierno ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonchè una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 14.200,00, di cui Euro 14.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Roma, 11/3/2021