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Cassazione Civile 36727/2021 – Verbale di udienza – Indicazione dell’avvenuta lettura del dispositivo di udienza – Prova contraria – Querela di falso

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Ordinanza 36727/2021

Verbale di udienza – Indicazione dell’avvenuta lettura del dispositivo di udienza – Prova contraria – Querela di falso – Necessità

Nel rito del lavoro deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, al verbale di udienza redatto dal cancelliere, anche con riferimento alla parte contenente l’indicazione dell’avvenuta lettura del dispositivo in udienza; ne consegue che, ove sia mancata la proposizione della querela di falso, è irrilevante la mera deduzione in ricorso che la lettura del dispositivo in udienza in realtà non sia avvenuta.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 25-11-2021, n. 36727   (CED Cassazione 2021)

Art. 221 cpc (Querela di falso) – Giurisprudenza

 

 

Rilevato che:

1. La Corte d’appello di Torino ha respinto l’appello della D.L. s.r.I., confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata accolta la domanda di Fe. Pe. volta alla declaratoria del diritto ad essere assunto alle dipendenze della predetta società, quale cessionaria della Agenzia D. in amministrazione straordinaria, per effetto dell’accordo sindacale sottoscritto il 26.11.2012, ai sensi dell’art. 47, I. n. 428 del 1990.

2. La Corte territoriale ha respinto le censure di nullità della sentenza di primo grado per mancata lettura del dispositivo in udienza (primo motivo di appello) e per contraddittorietà della motivazione (secondo motivo); ha ritenuto che la società appellante non avesse allegato né provato le modalità e i criteri in base a cui erano stati attribuiti i punteggi per la scelta dei lavoratori che la cessionaria si era obbligata ad assumere, in relazione alle esigenze tecnico organizzative (terzo motivo); ha definito nuove e come tali inammissibili le censure di genericità del ricorso introduttivo di primo grado (quarto motivo) e infondato il rilievo sulla mancata indicazione, nel ricorso del Pe., del lavoratore da licenziare al suo posto (quinto motivo); ha giudicato inammissibile la contestazione, da parte della società, del quantum di retribuzione rivendicato nonché l’eccezione di aliunde perceptum e percipiendi poiché sollevate per la prima volta in appello (sesto motivo); infondato il rilievo sulla mancata indicazione del livello di inquadramento, delle mansioni e della retribuzione spettanti al Pe. in relazione al riconosciuto diritto all’assunzione presso la cessionaria (settimo motivo).

3. Avverso tale sentenza la D.L. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi. Fe. Pe. ha resistito con controricorso.

4. E’ stato depositato atto di costituzione di nuovo difensore (avv. Fa. Ra.) nell’interesse del Pe., con allegata procura speciale. La D.L. s.r.l. ha depositato memoria.

Considerato che:

5. Preliminarmente, si dà atto che la difesa del Pe. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione perché privo, nella copia notificata, della sottoscrizione del difensore e l’improcedibilità dello stesso per essere la procura apposta su foglio separato non unito da timbro di congiunzione al ricorso ed anche privo di data.

6. L’eccezione non merita accoglimento.

7. Questa Corte ha chiarito che, qualora l’originale del ricorso per cassazione rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione, ad opera del medesimo, della sottoscrizione della parte che gli ha conferito la procura, la mancanza degli stessi elementi sulla copia notificata non determina l’inammissibilità del ricorso ove la predetta copia fornisca alla controparte sufficienti elementi per acquisire la certezza della sua rituale provenienza da quel procuratore (v. Cass. n. 10450 del 2020; n. 4558 del 2011; n. 636 del 2007; n. 11513 del 2007; n. 20817 del 2006), come, nel caso in esame, la sottoscrizione della relata di notifica da parte del medesimo procuratore.

8. Quanto alla mancanza di data sulla procura speciale apposta in calce al ricorso, su foglio separato, l’anteriorità di tale procura rispetto alla notifica del ricorso alla controparte può essere desunta dalla sua trascrizione nella copia notificata alla controparte (v. Cass., S.U. n. 12625 del 1998; Cass. n. 8372 del 1996).

9. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 429 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) in ragione della mancata lettura del dispositivo all’esito dell’udienza dinanzi al Tribunale, come si evince dalla comparazione tra la comunicazione a mezzo PEC inviata dal Tribunale per la causa in oggetto (in cui è scritto “sentenza ex art. 429, 1° co cpc numero 2536/2013”) e le comunicazioni inviate via PEC per altre cause di lavoro (recanti la seguente dicitura “Lettura dispositivo. Deposito sentenza- dispositivo letto in udienza”).

10. Il motivo è infondato, in quanto l’adempimento di avvenuta lettura del dispositivo e della contestuale motivazione risulta dal verbale d’udienza (“All’esito della camera di consiglio il Giudice pronuncia la seguente sentenza contestuale, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., contenente il dispositivo e l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”) che è dotato di fede privilegiata (v. Cass. 440 dei 2009) e la cui efficacia probatoria non può essere scalfita dal contenuto delle comunicazioni di cancelleria, su cui la censura si fonda. Questa Corte ha precisato (Cass. n. 19299 del 2006) che “nel rito del lavoro deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, al verbale di udienza redatto dal cancelliere, anche con riferimento alla parte contenente l’indicazione dell’avvenuta lettura del dispositivo in udienza; ne consegue che l’allegata omissione della lettura in udienza del dispositivo della sentenza (requisito previsto a pena di nullità della sentenza stessa) non può essere provata per testimoni, e che rimane irrilevante, ove sia mancata la proposizione della querela di falso, che la parte deduca, nei propri scritti difensivi, che la lettura del dispositivo in udienza in realtà non sia mai avvenuta”. Peraltro, è lo stesso art. 429 cod. proc. civ. ad usare il verbo “pronunciare” (“Nell’udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”), nel significato di “dire, proferire…dire pubblicamente” così come inteso dai giudici di appello in relazione al contenuto del verbale d’udienza.

11. Con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 156, 429 e 439 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) per non avere la Corte d’appello dichiarato la nullità della sentenza di primo grado a causa della omessa lettura del dispositivo in udienza.

12. Il motivo è assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.

13. Con il terzo motivo è dedotta violazione degli artt. 24 e 111 Cost. sul rilievo per cui il riferimento, nella motivazione della sentenza di primo grado, al “prospetto oggi prodotto dalla società convenuta” renderebbe plausibile l’assunto di redazione della motivazione in epoca antecedente all’udienza di discussione del 19.11.13, atteso che il prospetto citato era stato depositato via PEC il 13/14.11.13.

14. Il motivo è inammissibile atteso che la Corte di merito ha interpretato la sentenza di primo grado escludendo che l’utilizzo dell’espressione “prospetto oggi prodotto” potesse supportare i vizi dedotti dall’attuale parte ricorrente e quest’ultima non ha censurato tale interpretazione attraverso la specifica deduzione di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale (v. Cass. n. 16057 del 2016; n. 6226 del 2014). La censura di violazione di legge si basa, quindi, su un presupposto fattuale smentito dalla sentenza d’appello.

15. Col quarto motivo si censura la decisione d’appello per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. riguardo alla discrezionalità dei punteggi assegnati secondo l’accordo sindacale del 26.11.2012 (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.).

16. La censura è infondata in quanto non ricorre alcuna anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità, secondo i limiti tracciati dalla sentenza delle S.U. n. 8053 del 2014. Si è infatti in presenza di una motivazione certamente esistente, priva di intrinseche illogicità e che delinea in modo chiaro i limiti entro cui avrebbe potuto operare la discrezionalità consentita dall’accordo ex art. 47, I. n. 428 del 1990: “Mentre… per l’attribuzione dei punteggi relativi ai criteri dell’anzianità aziendale e dei carichi di famiglia l’accordo stabiliva modalità oggettive, aritmetiche.., è vero che per il criterio delle esigenze tecnico organizzative era stato lasciato all’azienda un margine di discrezionalità: tale discrezionalità, peraltro, doveva avere ad oggetto, necessariamente, le modalità di attribuzione del punteggio e non già, direttamente, la scelta dei lavoratori da assumere. In altre parole, la D. Logistica poteva legittimamente stabilire, ad esempio, di attribuire 1 punto per ogni anno (o biennio o quinquennio) di svolgimento delle mansioni proprie dei rami d’azienda acquisiti dalla Agenzia D. in A.S. (recapito e notifiche) per valorizzare l’esperienza pregressa nei servizi rientranti nel suo Piano Industriale e quindi l’utilità di ogni lavoratore per l’azienda acquirente, ma non poteva spingere la sua discrezionalità fino a scegliere di assumere Tizio anziché Caio in base a criteri non oggettivi, non dichiarati e non verificabili…”.

17. Con il quinto motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 47 della I. n. 428 del 1990 riguardo ai criteri di scelta di cui all’accordo sindacale del 26.11.2012 (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Si sostiene, richiamando anche decisioni di merito emesse su vicende analoghe, che il rinvio, nel citato accordo sindacale, ai criteri di cui alla legge n. 223 del 1991 costituiva solo un parametro di riferimento e che, comunque, l’eventuale inosservanza degli stessi non avrebbe potuto far sorgere il diritto del lavoratore all’assunzione presso la cessionaria (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).

18. Il motivo è inammissibile anzitutto per mancata trascrizione dell’accordo sindacale (non essendo sufficiente, ai fini dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., il deposito dello stesso; v. Cass., S.U, n. 22726 del 2011; Cass. n. 19069 del 2011; n. 20535 del 2009; n. 15628 del 2009; n. 29279 del 2008) ed inoltre in quanto la questione, secondo cui l’eventuale inosservanza dei criteri di scelta indicati nell’accordo non avrebbe potuto far sorgere il diritto del lavoratore all’assunzione presso la cessionaria, non risulta affrontata nella decisione d’appello e l’attuale parte ricorrente non indica in quali atti processuali e in che termini tale questione era stata sollevata.

19. E’ consolidato l’orientamento di questa Corte per cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018).

20. Con il sesto motivo è dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 47 della I. n. 428 del 1990 riguardo all’esatto adempimento dell’accordo sindacale del 26.11.2012 da parte della società ricorrente (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Si afferma che la società ha adempiuto all’obbligo di assumere n. 49 lavoratori, in esecuzione dell’accordo sindacale citato che lasciava alla discrezionalità delle parti l’applicazione del criterio di scelta per esigenze organizzative, in deroga all’art. 2112 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).

21. Il motivo è inammissibile anzitutto per mancata trascrizione dell’accordo sindacale, come già rilevato, ed inoltre perché la parte ricorrente censura non l’interpretazione ed applicazione dell’art. 47 cit. bensì l’interpretazione data dai Cada Ponterio, estensore R.G. n. 13602/2015 giudici di merito all’atto negoziale – accordo sindacale – senza fare riferimento alla violazione dei canoni ermeneutici.

22. Con il settimo motivo è dedotta violazione o falsa applicazione della legge n. 428 del 1990 riguardo all’accordo sindacale del 26.11.2012 in merito al numero di lavoratori assunti (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Si assume che la Corte di merito, imponendo l’assunzione di un altro lavoratore, oltre ai 49 oggetto dell’accordo citato, abbia disapplicato l’art. 47 cit. e l’accordo medesimo.

23. Il motivo è inammissibile in quanto si fonda su un assunto che non trova riscontro negli atti processuali e cioè che la sentenza d’appello abbia imposto l’assunzione del 50° lavoratore là dove tale pronuncia ha statuito (pag. 11) che “il Tribunale …ha accertato l’inadempimento della D. Logistica all’obbligo di assunzione dalla stessa liberamente assunto con la sottoscrizione dell’accordo sindacale 26.11.2012 e ne ha tratto le inevitabili conseguenze”. La Corte di merito, conformemente al Tribunale, ha cioè giudicato illegittima la mancata assunzione del Pe. in quanto la società ” a cui spettava il relativo onere probatorio, non ha dimostrato di avere rispettato i criteri di scelta previsti dall’accordo sindacale del 26.11.2012 e, in particolare, non ha affatto dimostrato perché al sig. Pe. siano stati preferiti altri soggetti, nonostante avessero minore anzianità aziendale e minori o comparabili carichi di famiglia rispetto a lui…” (v. sentenza d’appello pagg. 9 e 10), così facendo riferimento agli unici due criteri di scelta, previsti dal citato accordo, ed utilizzabili in quanto oggettivi e predeterminati.

24. Con l’ottavo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.1227 cod. civ. e dell’art. 437 cod. proc. civ. per non avere la sentenza impugnata considerato che l’aliunde perceptum e percipiendum può essere rilevato d’ufficio dal giudice, anche in presenza di eccezione non tempestiva (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).

25. Il motivo è infondato. E’ vero, come più volte affermato da questa S.C., che la deduzione dell’aliunde perceptum o percipiendum integra una eccezione in senso lato ed è pertanto rilevabile dal giudice o dalla parte tardivamente, ma essa presuppone comunque l’allegazione da parte del datore di lavoro di circostanze di fatto rilevanti ai fini della limitazione dei danno (v. Cass. n. 5310 del 2016; n. 25679 del 2014) e nulla in tal senso ha dedotto la società.

26 Col nono motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990 in relazione all’art. 9 dell’accordo 26.11.2012 quanto all’inquadramento del lavoratore e alla determinazione della retribuzione (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Si sostiene che la statuizione della sentenza d’appello, che ha dichiarato il diritto del Pe. all’assunzione presso la D. Logistica nello stesso livello contrattuale e con mansioni equivalenti a quelli che aveva presso la cedente, presuppone l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ., invece derogato dall’accordo sindacale che all’art. 9, a proposito del trattamento economico del personale trasferito, ha previsto che “la cessionaria continuerà ad applicare il CCNL Imprese Private operanti nella Distribuzione, nel Recapito e Servizi Postali…ed applicherà a tutti i lavoratori oggetto del passaggio il trattamento contrattuale minimo previsto per ciascun livello di appartenenza, azzerando tutte le voci retributive di miglior favore”.

27. Il motivo è inammissibile per mancata trascrizione dell’accordo sindacale che si assume contenesse la previsione di applicazione, ai lavoratori ceduti, del contratto collettivo in vigore presso la cessionaria.

28. Per le ragioni esposte, il ricorso va respinto.

29. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza.

30. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella Adunanza camerale del 30.9.2021