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Cassazione Civile 36878/2021 – Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione del danno – Debito di valore – Interessi compensativi

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Ordinanza 36878/2021

 

Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione del danno – Debito di valore – Interessi compensativi

L’obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano costituisce un debito di valore, rispetto al quale gli interessi “compensativi” valgono a reintegrare il pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità della somma equivalente al danno subito nel tempo intercorso tra l’evento lesivo e la liquidazione; la relativa determinazione non è, peraltro, automatica né presunta “iuris et de iure”, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento.

Cassazione Civile, Sezione 6-L, Ordinanza 26-11-2021, n. 36878   8CED Cassazione 2021)

Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza

 

 

RILEVATO CHE:

1. la Corte d’Appello di Messina, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma pari ad Euro 12.205,00, “oltre interessi come per legge”, “confermando nel resto l’impugnata sentenza” e provvedendo sulle spese di entrambi i gradi di giudizio;

2. i giudici d’appello, conformemente al Tribunale, hanno escluso che nel caso sottoposto al loro giudizio si fosse consumata una condotta di “mobbing” in danno della (OMISSIS), ma hanno comunque ritenuto la violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., da parte dell’azienda datrice di lavoro per avere provveduto con ritardo sulla legittima istanza della lavoratrice di essere esonerata dalla “attività di degenze”, in ragione delle patologie di cui era affetta;

quanto poi all’entità del danno, la Corte, sulla scorta di una CTU che lo stimava nella misura del 6% per una “sindrome depressiva di lieve-media entità”, lo ha liquidato sulla base delle tabelle milanesi del 2018; infine, la Corte ha escluso la legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria della ex USL n. (OMISSIS) di (OMISSIS);

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) con 4 motivi, illustrati anche da memoria; ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria; per la Gestione Liquidatoria l’Avvocatura dello Stato ha depositato “atto di costituzione”;

4. la proposta del relatore ex art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

CONSIDERATO CHE:

1. con il primo motivo del ricorso si denuncia, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo rappresentato da una prima richiesta di esonero dai turni di pronta disponibilità inoltrata in data 20 luglio 1994 che, se fosse stata correttamente valutata dalla Corte di Appello, secondo parte ricorrente, avrebbe condotto ad una diversa quantificazione del danno;

il Collegio reputa il motivo inammissibilmente formulato in relazione alla novità della censura;

secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; più di recente: Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017);

in particolare, nel motivo di ricorso per cassazione avrebbe dovuto essere riportato il contenuto dell’atto introduttivo nella parte rilevante in cui la questione era stata introdotta nel giudizio; poi la pronuncia di primo grado che aveva eventualmente statuito sul punto; infine il contenuto dell’atto di appello che aveva devoluto il gravame sulla questione al giudice di secondo grado; mentre parte ricorrente si limita a riferire della questione alla pag. 5 del ricorso per cassazione, nell’ambito della “ricostruzione del processo di appello”, in termini generici e senza riprodurre i contenuti testuali;

2. il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, criticando la CTU per la stima del danno che si reputa riduttiva e la Corte territoriale per non aver proceduto ad una adeguata personalizzazione;

la censura è inammissibile in quanto richiede una diversa valutazione di una quaestio facti qual è indubbiamente la quantificazione dell’ammontare del risarcimento dovuto in ragione della violazione dell’art. 2087 c.c., da parte del datore di lavoro;

inoltre neanche vengono adeguatamente rispettati gli enunciati espressi da SS.UU. n. 8053 e 8054 del 2014, senza, in particolare, enucleare fatti storici realmente decisivi, nel senso che, se fossero stati esaminati, avrebbero condotto ad un esito diverso della controversia, con prognosi di certezza e non di mera possibilità;

3. il terzo mezzo lamenta ancora “omesso esame di un fatto decisivo della controversia […] per avere il giudice del gravame omesso di pronunciarsi in merito alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale per inadempimento del datore di lavoro”;

il motivo è inammissibile perchè il fatto decisivo cui si riferisce il n. 5 novellato dell’art. 360 c.p.c., deve essere un fatto storico, principale o secondario, che ha dato origine alla controversia ed il vizio non è invocabile laddove si denuncia un error in procedendo in cui sarebbe incorso il giudice nel non considerare una domanda (cfr. Cass. n. 25761 del 2014; Cass. n. 1539 del 2018); nè il Collegio reputa nella specie possibile una riqualificazione della censura in quanto, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite della Corte, ciò è possibile “purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013);

4. il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224 e 1282 c.c., “per omessa liquidazione degli interessi moratori e della rivalutazione monetaria”, essendosi la Corte limitata a riconoscere gli interessi legali sulla somma dichiarata dovuta;

il motivo non può trovare accoglimento;

il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria (v. Cass. SS.UU. n. 16990 del 2017); ne consegue che il giudice di merito può procedere alla liquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore, ad esempio, riconoscendo gli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria o dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, oppure applicando, dalla data in cui si è verificato il danno fino a quella della liquidazione, un saggio equitativo d’interessi sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all’epoca dell’illecito ovvero sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno (Cass. SS.UU. n. 8520 del 2007; Cass. n. 21396 del 2014); si è, inoltre, chiarito che, oltre alla rivalutazione, possono essere sì liquidati gli interessi compensativi, ma la determinazione non è automatica, nè presunta iuris et de iure, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento, analogamente a quanto richiesto, sul piano probatorio, per la dimostrazione del maggior danno nelle obbligazioni di valuta, ma secondo criteri differenti (Cass. n. 22607 del 2016); successivamente, sull’importo costituito dalla sommatoria di capitale e accessori maturano interessi al saggio legale, ai sensi dell’art. 1282 c.c., comma 1;

nella specie è da ritenere che i giudici d’appello abbiano stimato il risarcimento del danno all’attualità del momento decisorio (udienza di discussione del 22 gennaio 2019) sulla base delle tabelle milanesi del 2018, riconoscendo poi gli interessi legali sulla somma complessiva risultante con decorrenza dalla sentenza; il che si pone in coerenza con la pluralità e alternatività dei criteri liquidativi individuati dalla giurisprudenza di legittimità, senza che la ricorrente offra alcun diverso apporto ermeneutico (cfr. Cass. SS.UU. n. 7155 del 2017);

quanto al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria successiva alla aestimatio, per detti importi opera comunque il divieto di cumulo con gli interessi stabilito per i dipendenti privati di enti pubblici non economici per i quali ricorrono, ancorchè i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le ragioni di contenimento della spesa pubblica che sono alla base della disciplina differenziata secondo la ratio decidendi prospettata da Corte Cost. n. 459 del 2000 (v. Cass. n. 4705 del 2011; Cass. n. 535 del 2013; Cass. n. 20765 del 2018; Cass. n. 18897 del 2019; Cass. n. 28498 del 2019); il richiamato principio non è stato derogato neanche in relazione a somme aventi contenuto risarcitorio, riconosciute ex art. 32 della L. n. 183 del 2010 (cfr. Cass. n. 15272 del 2017) o liquidate ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 (cfr. Cass. n. 21192 del 2018), considerando la ratio del divieto di cumulo, valorizzata invece dalla Corte Costituzionale, alla luce della quale si deve ritenere che il legislatore abbia utilizzato l’ampia dizione “emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale” per ricomprendere tutti i crediti ai quali, in difetto della previsione derogatoria, sarebbe stata applicabile la norma speciale prevista dal richiamato art. 429 c.p.c. (in termini: Cass. n. 12877 del 2020);

5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con liquidazione delle spese come da dispositivo in favore della controricorrente; nulla per le spese nei confronti della Gestione Liquidatoria che non ha svolto attività difensiva;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17,1. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00p per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori secondo legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 10 giugno 2021