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Cassazione Civile 36918/2021 – Pronuncia giudiziale di risoluzione del contratto – Natura costitutiva o dichiarativa – Differenze

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Ordinanza 36918/2021

Pronuncia giudiziale di risoluzione del contratto – Natura costitutiva o dichiarativa – Differenze

La pronuncia di risoluzione del contratto può avere natura costitutiva o meramente dichiarativa, in conseguenza della causa di scioglimento del rapporto prospettata ed accolta; in particolare, l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c., è volta ad ottenere una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale, previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, e differisce perciò sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., poiché in tali ipotesi l’azione intende conseguire una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo previsto dalle parti come determinante lo scioglimento del rapporto.

Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 26-11-2021, n. 36918   (CED Cassazione 2021)

Art. 1453 cc (Risoluzione del contratto per inadempimento) – Giurisprudenza

Art. 1454 cc (Diffida ad adempiere) – Giurisprudenza

Art. 1456 cc (Clausola risolutiva espressa) – Giurisprudenza

Art. 1457 cc (Termine essenziale per una delle parti) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 5590/2018, respingeva le domande formulate da (OMISSIS) s.r.l. nei confronti di A.M. Gu. volte ad ottenere la risoluzione del contratto preliminare di permuta/vendita concluso con la convenuta e la condanna di quest’ultima alla restituzione della somme ricevute in esecuzione del contratto oltre che al pagamento di un indennizzo per le prestazioni svolte, non ravvisando in capo alla promittente alcun inadempimento contrattuale; rigettava altresì la domanda di ingiustificato arricchimento proposta in via subordinata dall’attrice, per carenza di prove.

In virtù dell’impugnazione interposta da (OMISSIS) s.r.l. la Corte di appello di Torino, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 1920/2019, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, dichiarando risolto il contratto stipulato inter partes e per l’effetto condannava l’appellata alla restituzione in favore dell’appellante della somma di euro 53.825,00, oltre interessi legali dalla domanda di risoluzione al saldo.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, A.M. Gu. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi, cui resiste la (OMISSIS) s.r.l. con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto, con la conseguente definibilibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma.1 n. 5) c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata alle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.

Atteso che:

– in via preliminare va evidenziato, quanto all’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza dei requisiti di cui all’art. 366, comma 1, n. 3 e 6 c.p.c. sollevata nel controricorso, che per quel che concerne la sommaria esposizione dei fatti, secondo cui in relazione al giudizio di primo grado sarebbe stata riportata la sola comparsa di costituzione della Gu. seguita da una brevissima illustrazione della decisione del Tribunale mentre in ordine al processo di secondo grado sarebbe riportato il solo testo della sentenza impugnata, le modalità di trascrizione degli atti contengono comunque una rappresentazione ragionata e funzionale a riprodurre la vicenda sostanziale e processuale in modo sufficientemente chiaro ed univoco, senza necessità di attingere “aliunde” gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia (Cfr. Cass. SS.UU. n. 22575/2019).

Il ricorso è dunque ammissibile;

– passando al merito del ricorso, il Collegio non condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti e ritiene che il ricorso debba essere respinto per le ragioni di seguito esposte;

– con il primo motivo la ricorrente lamenta “l’omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, per non avere la Corte distrettuale tenuto conto della missiva del 2006 avente ad oggetto la dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento della (OMISSIS) s.r.l.

La ricorrente afferma che detta missiva avrebbe determinato la risoluzione del contratto, per cui controparte avrebbe dovuto agire in giudizio entro il termine di prescrizione ordinaria – decorrente dalla data della lettera (22.11.2006) – per far valere il proprio diritto alla restituzione delle somme versate all’odierna ricorrente in esecuzione del compromesso di permuta stipulato inter partes.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia “la violazione e la errata applicazione dell’art. 1458 c.c. in relazione agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c.“, per non aver il giudice del gravame considerato che le norme evocate consentirebbero alla parte adempiente di chiedere la risoluzione del contratto per inosservanza del termine essenziale, ovvero per inadempimento della clausola risolutiva espressa, o ancora per inadempimento della diffida ad adempiere, assumendo in siffatte ipotesi che la sentenza avrebbe natura meramente dichiarativa di una realtà giuridico fattuale già esistente, ossia di recepimento della risoluzione di diritto del contratto.

I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione argomentativa, sono infondati e pertanto vanno rigettati sebbene previa correzione della motivazione.

Va in primo luogo rilevato che nella motivazione la sentenza erroneamente afferma che “il momento dell’insorgenza degli obblighi restitutori deriva dalla sentenza che, nel pronunciare la risoluzione del contratto, ha, quanto a tali obblighi, natura costitutiva […]”. Di converso, a seconda della natura della causa di risoluzione del contratto può aversi una pronuncia costitutiva o una pronuncia meramente dichiarativa.

Difatti, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento ex art.1453 c.c., tendendo ad una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale, previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, differisce sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., poiché in tal caso l’azione sarebbe tendente ad un pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo previsto dalle parti come determinante lo scioglimento del rapporto (cfr. Cass. n. 26508 del 2009; Cass. n. 594491 del 2007; Cass. n. 5121 del 1990).

Tuttavia l’errore non appare decisivo, tale cioè da inficiare la determinazione della Corte distrettuale per essere le doglianze della Gu. aspecifiche non riportando il contenuto della missiva del 2006 che – ad avviso dell’odierna ricorrente – avrebbe determinato una sorta di risoluzione di diritto del contratto; né tantomeno chiariscono quale ipotesi di risoluzione stragiudiziale sarebbe intervenuta nella fattispecie in esame.

La parte, quindi, non avendo provato la decisività del documento dedotto, pertanto, le censure non possono trovare accoglimento.

In conclusione il ricorso, così corretta la motivazione ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., dev’essere, dunque, rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P . Q . M .

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente che vengono liquidate in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori previsti come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-qualer D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1 comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 14 aprile 2021.