Ordinanza 37027/2022
Consulenza tecnica d’ufficio – Mancata ammissione da parte del giudice di merito – Onere di motivazione
La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento, specie a fronte di una domanda di parte, costituisce una grave carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che, nel giudizio avente ad oggetto la domanda proposta dagli eredi di un gestore di una stazione di servizio carburanti, per l’accertamento dell’origine lavorativa di una patologia tumorale ad eziologia multifattoriale (linfoma non Hodgkin) contratta dal dante causa, aveva respinto la richiesta di disporre una c.t.u. medico legale volta all’accertamento del nesso causale tra l’attività lavorativa e l’esposizione a benzene, e rigettato la domanda, limitandosi a rilevare la mancanza di connessione tra la patologia tumorale del “de cuius” con il suo ambiente di lavoro).
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 16-12-2022, n. 37027 (CED Cassazione 2022)
RILEVATO CHE:
1. la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza di rigetto delle domande proposte dagli eredi di (OMISSIS) contro (OMISSIS) S.p.A., dirette: all’accertamento che il dante causa – gestore dal 1974 al 1995 di una stazione di servizio carburanti – aveva contratto linfoma non Hodgkin diagnosticatogli nel (OMISSIS) a causa dell’esposizione a benzene ed agenti mutageni di cui sono composti gli idrocarburi; alla declaratoria che la società – quale stipulante con il dante causa un contratto di lavoro di tipo parasubordinato – era responsabile del decesso avvenuto in data (OMISSIS); alla condanna della società al risarcimento dei danni iure hereditatis e iure proprio;
2 la Corte di merito, in particolare, ha ritenuto generica l’indicazione, da parte dei ricorrenti, delle misure precauzionali non adottate e delle condizioni di rischio ambientale; carente l’allegazione dell’origine lavorativa della patologia; indimostrata la prova della nocività dell’ambiente, e quindi ininfluenti le prove testimoniali dedotte; non confermata l’allegazione circa l’essere “tabellata” la patologia all’origine del decesso; corretta la scelta del Tribunale di non procedere a consulenza tecnica d’ufficio, per mancanza di connessione tra la patologia tumorale del de cuius con il suo ambiente di lavoro e con le omissioni informative imputate dai ricorrenti alla società, a fronte di uno studio del 1996 prodotto da questa circa l’esposizione controllata entro i limiti di accettabilità previsti dalle normative per gli addetti all’erogazione carburanti;
3 avverso la predetta sentenza gli eredi di (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione, affidato a nove motivi; resiste con controricorso la società; entrambe le parti hanno comunicato memoria.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata viene censurata per avere affermato in maniera contraddittoria che alla fattispecie era applicabile l’art. 1218 c.c., salvo applicare l’art. 2087 c.c. ai fini della distribuzione dell’onere probatorio (art. 360 c.p.c., n. 3 e 4);
2. con il secondo per violazione e falsa applicazione della tabellazione della patologia e dell’agente patogeno (art. 360 c.p.c., n. 5);
3. con il terzo, per omesso esame dell’evoluzione normativa del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, quale fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5);
4. con il quarto, per nullità del procedimento e della sentenza per mancata ammissione della CTU (art. 360 c.p.c., n. 4);
5. con il quinto per aver invertito l’onere probatorio a carico delle parti in materia di tabellazione della malattia linfoma NH (art. 360 c.p.c., n. 5);
6. con il sesto, per violazione del principio della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” (art. 360 c.p.c., n. 3);
7. con il settimo, per omessa indicazione degli elementi a base del convincimento del giudice (art. 360 c.p.c., n. 5);
8. con l’ottavo, per travisamento dell’onere probatorio e della prova, con conseguente errata ricostruzione del fatto (art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5);
9. con il nono, per violazione dell’art. 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3 e 4);
10. il primo, quarto ed ottavo motivo sono fondati per quanto di ragione, con assorbimento dei restanti, che, in parte, prospettano vizi di natura analoga, seppure sotto diverse angolazioni, ed in parte si pongono come successivi in ordine logico;
11. la sentenza impugnata presenta, infatti, anomalie motivazionali nella misura in cui ha ritenuto non provati nè la nocività dell’ambiente di lavoro nè, a cascata, il possibile nesso di causa tra questa ed il decesso, in via aprioristica, senza avvalersi di pareri tecnici aggiornati oppure acquisiti nel contraddittorio delle parti (si fa riferimento acritico ad uno studio di parte del 1996), così alterando l’ordine logico degli oneri di allegazione e prova in materia;
12. osserva il Collegio, in primo luogo, che, in tema di malattie ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro o della speciale nocività dell’ambiente di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità (Cass. n. 10818/2013);
13. d’altra parte, nel rito del lavoro, che si caratterizza per la circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova (cfr. Cass. n. 25148/2017), a fronte di una tempestiva e compiuta allegazione nel ricorso introduttivo dei presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, la mancata ammissione della prova tecnica richiesta si risolve (non in un difetto di dimostrazione del diritto) ma in un impedimento in radice alla prova e quindi alla tutela processuale del diritto;
14. corollario di tale impostazione è che, come già rilevato da Cass. n. 17438/2012 (v. anche Cass. n. 8773/2018), fermo restando che la prova della causa di lavoro della patologia accertata gravante sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza (con esclusione della rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, ma con ravvisabilità coincidente con un rilevante grado di probabilità), occorre a tal fine che il giudice consenta al lavoratore (o ai suoi eredi) di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, e faccia ricorso, se del caso, ad iniziative d’ufficio, tenuto conto di elementi quali l’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio, la tipologia della lavorazione, la durata della prestazione, l’assenza di altri fattori causali extralavorativi alternativi o concorrenti;
15. invero (cfr. Cass. n. 8297/2005), la consulenza tecnica in genere ha la funzione di fornire al giudice la valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti, ma può costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva anche in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche; in tale ipotesi, il rifiuto della sua ammissione sotto il profilo del mancato assolvimento, da parte dell’istante, dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. costituisce un’aporia logica, perchè viene imputato ala parte di non avere provato ciò che le è stato impedito di provare nonostante lo abbia allegato e ritualmente richiesto;
16. nel caso in esame, deve dunque essere ribadito il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra sì nel potere discrezionale del giudice del merito, ma va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, con conseguente sindacabilità in sede di legittimità, sotto il profilo della mancata adeguata motivazione, della decisione di procedere (o non procedere, come nel caso in esame) alla richiesta di intervento di ausiliare tecnico in materia (v. Cass. n. 72/2011); nell’esercizio di tale potere discrezionale in ordine alla decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio, il giudice, nel motivare il rigetto dell’istanza di ammissione, deve dimostrare di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare; pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono che si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico-legale, specie a fronte di una domanda di parte in tal senso, costituisce una carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza (cfr. Cass. n. 17399/2015), segnatamente in materia (accertamento di eventuale nesso causale tra attività lavorativa con esposizione a fattori di rischio e patologie tumorali ad eziologia multi-fattoriale) che presuppone nozioni tecniche non sostituibili con sole allegazioni di parte ed a fronte di doveri informativi gravanti sul datore di lavoro;
17. la sentenza impugnata, che risulta in contrasto con i suddetti approdi della giurisprudenza di legittimità, deve pertanto essere cassata per procedere ai necessari accertamenti di natura tecnica sul rischio professionale e sulle eventuali conseguenze sulle salute del dante causa degli odierni ricorrenti, a base delle domande di risarcimento danni azionate, in termini non di mera possibilità ma di elevata probabilità, anche alla luce delle pertinenti tabelle INAIL, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, altresì per provvedere sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.